Crisi migratoria in Grecia: “Una polveriera pronta a esplodere”

martedì 10 marzo 2020


Un piano del governo greco per costruire nuovi campi profughi in cinque isole dell’Egeo ha scatenato la violenta opposizione da parte dei residenti locali, che temono che le strutture incoraggeranno un’ulteriore migrazione di massa dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente.

Il governo afferma che i nuovi campi, che dovrebbero essere operativi entro luglio 2020, sono necessari per alleviare il sovraffollamento in altri luoghi che sono stati al centro delle critiche internazionali. I residenti locali ribattono che i migranti dovrebbero essere trasferiti nella Grecia continentale.

Il 25 febbraio, più di 500 abitanti autoctoni hanno impedito ai lavoratori edili di accedere al sito di costruzione di un nuovo campo profughi di Karava Mantamadou a Lesbo. La polizia antisommossa ha utilizzato i gas lacrimogeni e le granate stordenti per disperdere la folla.

Scontri simili si sono verificati a Chios, una grande isola greca situata a meno di 20 km dalla Turchia, da dove decine di migliaia di migranti partono ogni anno nella speranza di riuscire a raggiungere l’Europa continentale. Il nuovo sito di Lesbo sarà un cosiddetto centro d’accoglienza chiuso che controllerà rigidamente l’accesso e sostituirà l’attuale campo aperto di Moria. I campi chiusi consentiranno ai migranti di uscire durante il giorno, ma non di notte. L’obiettivo è quello di controllare i loro movimenti e impedirgli di fuggire sulla terraferma.

Oltre a Lesbo, le autorità greche prevedono di costruire delle strutture chiuse sulle isole di Chios, Kos, Leros e Samos. Le isole sono tutte vicine alla Turchia.

Il campo di Moria – una struttura tentacolare costruita per accogliere non più di 3mila migranti, ma che ora ne ospita almeno 20mila, di cui circa un terzo di età inferiore ai 18 anni – ha attirato ampie critiche internazionali per le sue squallide condizioni di vita.

Una portavoce di Medici Senza Frontiere (Msf), Sophie McCann, ha spiegato: “Vivono in squallide condizioni medievali (...) con servizi di base, come cibo, acqua, elettricità e cure, del tutto limitati. Ogni giorno i nostri staff sanitari si occupano del conseguente deterioramento della salute e del benessere”.

Nel 2016, le autorità greche, con il sostegno dell’Ue, hanno introdotto la cosiddetta politica di contenimento volta a dissuadere i migranti dal raggiungere la Grecia dalla Turchia. Questa politica prevede che i migranti rimangano sulle isole – senza alcuna speranza di raggiungere la terraferma – fino a quando le loro richieste d’asilo non saranno prese in esame. Con decine di migliaia di pratiche arretrate, il sistema d’asilo ha subìto una battuta d’arresto. Circa 40mila migranti sono di fatto intrappolati sulle isole.

La politica di contenimento ha fatto infuriare i residenti locali, i quali lamentano che i migranti sono responsabili dell’aumento dei reati. “Le persone si sono viste distruggere le loro proprietà, le pecore e le capre sono state massacrate, le case scassinate”, afferma Nikos Trakellis, un leader della comunità di Moria. “Qualche anno fa, quando c’erano 5mila migranti sull’isola, le cose andavano abbastanza male. Ora c’è la sensazione che la situazione sia davvero sfuggita di mano”.

Nell’ottobre del 2019, il governo greco ha annunciato un piano per trasferire 20 mila migranti dalle isole alla terraferma. Ma una successiva ondata di arrivi di nuovi profughi dalla Turchia ha lasciato i centri di accoglienza sulle isole più sovraffollati che mai.

Le autorità greche affermano che stanno facendo del loro meglio per soddisfare la popolazione locale, i migranti e i gruppi per i diritti umani. “Il governo si sta impegnando per cambiare qualcosa, per attuare un piano”, ha detto all’agenzia di stampa Reuters un funzionario governativo. “Se non costruiamo nuove strutture, le condizioni di vita non miglioreranno”.

Il governatore regionale dell’Egeo settentrionale Kostas Moutzouris, che si oppone al piano del governo di costruire dei campi profughi permanenti sulle isole, ha definito la situazione a Lesbo come “una polveriera pronta a esplodere”. E ha aggiunto: “È fondamentale che venga dichiarato lo stato di emergenza”. Ha inoltre avvertito: “Temo per la sicurezza della nostra gente, i residenti di Lesbo. Perché la situazione cambi, molti rifugiati devono essere trasferiti sulla terraferma e i nuovi arrivi dalla Turchia devono essere fermati. Altrimenti, saremo condannati”.

Il portavoce del governo Stelios Petsas, che ha descritto le strutture esistenti come “bombe per la salute pubblica”, ha dichiarato: “Chiediamo alle comunità locali di comprendere che queste strutture chiuse saranno a beneficio del Paese e delle loro comunità. In questo momento, c’è una mancanza di fiducia che è stata coltivata negli anni precedenti e che deve essere ripristinata. Costruiremo questi centri chiusi, ma chiuderemo anche quelli aperti già esistenti. Questa è la promessa del governo. I nuovi campi renderanno molto più semplice l’obiettivo di accelerare il processo d’asilo in modo che coloro che hanno diritto all’asilo possano essere trasferiti a ovest e quelli che non ne hanno possano essere rispediti in Turchia”.

Il governo ellenico di centrodestra, guidato dal primo ministro Kyriakos Mitsotakis, entrato in carica dopo le elezioni legislative del luglio 2019, ha adottato un approccio più rigido nei confronti dei flussi migratori rispetto al precedente governo di sinistra guidato da Alexis Tsipras:

Il premier Mitsotakis ha di recente dichiarato che a differenza di quanto deciso dal precedente governo, la Grecia non è più aperta a chi voglia raggiungerla: “Sono benvenuti in Grecia solo coloro che hanno diritto a rimanere. Chi non è il benvenuto sarà rispedito indietro. Chiuderemo definitivamente la porta ai trafficanti illegali di esseri umani, a coloro che vogliono entrare anche se non hanno diritto di asilo”.

Dal 2015, oltre un milione di migranti provenienti dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente sono entrati nei Paesi dell’Unione europea attraverso la Grecia.

Un accordo raggiunto nel marzo del 2016 tra l’Unione europea e la Turchia ha ridotto i flussi di migranti verso l’Europa, ma il numero di arrivi è ripreso nel 2019 dopo che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e altri membri del suo governo hanno minacciato di inondare l’Europa di migranti.

Funzionari greci hanno affermato che Erdoğan controlla personalmente i flussi migratori verso la Grecia e li attiva e disattiva per estorcere più denaro e altre concessioni politiche dall’Unione europea.

Il ministro per l’immigrazione greco Giorgos Koumoutsakos ha osservato che quando la Turchia “continua a ripetere che apriremo le porte, ciò che i migranti fanno è che si avvicinano alle porte e aspettano che si aprano”. E ha aggiunto: “L’Europa non può agire sotto minaccia o ricatto. Gli europei dovrebbero comprendere la situazione in cui si trovano i turchi e Ankara dovrebbe da parte sua rendersi conto che questo non è il modo di trattare con l’Europa”.

Nel 2019, secondo l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, circa 60mila migranti – una media di 164 al giorno – hanno raggiunto la Grecia. Quasi l’80 per cento è arrivato a Chios, Lesbo e Samos.

La tendenza continua: più di 6mila migranti – una media di 133 al giorno – sono arrivati in Grecia nelle prime sei settimane del 2020, secondo l’Unhcr. I principali Paesi d’origine sono: Afghanistan (50 per cento), Siria (21 per cento), Congo (6 per cento) e Iraq (3,5 per cento).

I recenti combattimenti a Idlib, una provincia nordoccidentale della Siria devastata dalla guerra, hanno sradicato quasi un milione di persone – molte delle quali donne e bambini – che hanno cercato rifugio vicino al confine turco.

La Turchia, che attualmente ospita quattro milioni di profughi siriani, ha detto di non poter gestire un nuovo afflusso. Ha ripetutamente minacciato di riaprire le porte dell’Europa all’immigrazione di massa.

(*) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Soeren Kern (*)