Idlib Europa: la croce e la Mezzaluna

mercoledì 4 marzo 2020


Idlib una nuova Gerusalemme? Per chi come me segue da anni le analisi dei forum di politica internazionale, le ricadute della guerra turco-siriana (oggi palese, ieri strisciante) sono di evidenza immediata, sia per quanto riguarda la minaccia dell'afflusso incontrollato (alla Gheddafi) di milioni di profughi dall'area martoriata di Idlib, sia per la tenuta politica della Nato, che rischia di essere chiamata a soccorso di Erdogan nel caso di uno scontro aperto con la Russia. In termini di geostrategia, la Siria è stata un protettorato di fatto dell'Unione Sovietica per tutta la durata della Guerra Fredda e le sue basi militari sono a tutt'oggi di fondamentale importanza per la presenza in Medio Oriente della nuova Russia di Putin, che ha riconquistato le sue ambizioni di player mondiale. Siria e Iran, entrambi dominate da componenti religiose sciite (qui è opportuno ricordare come per gli Uiguri in Cina e i ceceni in Russia, la minaccia irredentista e fondamentalista abbia il volto del sunnismo musulmano), sono il cuneo nella diga occidentale che ha rivelato tutte le sue crepe, fino a sprofondare sotto il proprio peso, a seguito dell'isolazionismo americano bypartisan di Obama-Trump e dell'assoluta inconsistenza del blocco che fa capo alla Unione Europea e ai processi decisionali onusiani, costantemente bloccati dai veti di Cina e Russia.

La Siria (la Libia viene in secondo piano ma, come si vedrà, non è di certo meno importante) è stato un test plateale per misurare, da parte russa, l'estrema debolezza e disinteresse dell'Europa e dell'Occidente per la tenuta dell'area, come dimostra l'incontrastato e progressivo coinvolgimento militare, a partire dal 2011, della Russia a fianco di Assad, con l'aviazione di Mosca a puntellare con successo la sopravvivenza del regime di Damasco. La ripresa del territorio da parte dell'esercito siriano ha progressivamente confinato nell'area di Idlib, al confine turco-siriano, quello che rimaneva delle milizie fondamentaliste ribelli (che si sono distinte per innumerevoli violazioni dei diritti umani a danno della popolazione civile, abbandonandosi a esecuzioni sommarie e saccheggi con la protezione dell'esercito turco), alcune delle quali sostenute apertamente da Ankara in funzione antisiriana e anticurda. Ma Erdogan ha già perso la sua sfida contro Assad, da quando decise di intervenire, a partire dal 2012, a fianco dei ribelli lasciando entrare in territorio siriano jihadisti accorsi da ogni parte del mondo, armandoli e curandone i feriti oltrefrontiera.

All'inizio, Erdogan era riuscito persino a ottenere l'appoggio dell'Occidente, che aveva inviato armi e finanziamenti ai miliziani anti-Assad credendoli dei sinceri combattenti pro-democrazia, mentre invece si trattava in larga maggioranza di milizie islamiche fondamentaliste. Oggi, quel che resta di queste ultime, dominate dal Fatah al-Cham che rappresenta la fazione siriana di Al-Qaeda, è stato progressivamente risospinto per poi concentrarsi nella sua ultima roccaforte nella provincia di Idlib. Ancora una volta, così come nel 2015, in questi giorni drammatici il diritto d'asilo viene strumentalizzato politicamente in termini antioccidentali da Paesi in guerra tra di loro. Ma sarà molto difficile che i fondamentalisti cedano le armi, perdendo così ogni ruolo politico e militare, accettando di transitare per il confine greco e bulgaro al fine di chiedere asilo in Europa, con il rischio fondato di essere arrestati per gravi delitti contro l'umanità. Era chiaro fin dal primo momento che la prossimità tra eserciti nemici in armi avrebbe moltiplicato le occasioni di scontro diretto, soprattutto nel caso di incursioni delle rispettive forze aeree per colpire obiettivi civili e militari a terra.

La rappresaglia di Erdogan nell'aprire le frontiere turche ai profughi di Idlib ha come giustificazione la morte di 33 soldati turchi, rimasti vittime dei bombardamenti russo-siriani. Per rappresaglia, Ankara ha diretto i suoi droni (approfittando di una pausa dell'aviazione russa nel controllo dello spazio aereo di confine e sfruttando gli accordi di Soci del 2018 che consentono il sorvolo dei suoi droni nella striscia di Idlib) contro obiettivi militari siriani, al fine di evitare uno scontro diretto con Mosca che, assieme a Trump, sono gli avversari forti che Erdogan non osa sfidare in campo aperto. Nell'attacco sono stati duramente colpiti anche miliziani sciiti di Hezbollah e altri combattenti di origine pakistana e afgana inviati dall'Iran. Dopo una settimana di sospensione dei voli, i russi sono nuovamente intervenuti con la loro aviazione appoggiando la controffensiva siriana. Questo cat-and-mouse game è particolarmente interessante: con una simile tattica Putin intende dimostrare ad Assad l'indispensabilità del suo supporto militare e tattico, saggiando contestualmente a spese dei suoi alleati l'arsenale di Erdogan e il livello di efficacia sia dei droni (perennemente in volo sull'area) che dell'artiglieria turche.

Come accade per le onde d'urto, i primi assaltatori che hanno tentato di forzare le barriere del confine greco-turco sono giovani musulmani che già si trovavano sul territorio turco provenienti da altri Paesi mediorientali e dall'Afganistan, ai quali si sono affiancati altri profughi economici dirottati dai trafficanti del Mediterraneo che hanno immediatamente approfittato dei confini aperti di Erdogan.  Quest'ultimo vorrebbe che l'aiuto europeo (che finora ha erogato all'incirca 3,2 dei 6 miliardi pattuiti) andasse allo stato turco, a copertura dei 30 miliardi spesi per garantire un minimo di sussistenza a 3,6 milioni di rifugiati siriani ospitati nel proprio territorio, e non a finanziare singoli progetti amministrati da soggetti terzi, come la costruzione di scuole e di centri di accoglienza per rifugiati. L'accordo tra Ue Turchia del marzo 2016 prevedeva un regime di liberalizzazione dei visti a favore di cittadini turchi e lo scambio tra 70.000 rifugiati siriani ospitati nelle isole greche e un pari numero di quelli già presenti in Turchia, questi ultimi da trasferire successivamente in Europa in modo da compensare i nuovi arrivi dalla Grecia.

Ma non sarà facile garantire a Erdogan ulteriori aiuti economici per far fronte alla nuova ondata di rifugiati, viste le difficoltà che attualmente attraversa il bilancio comune dell'Ue dopo l'uscita della Gran Bretagna.  Tra l'altro, l'accoglienza di milioni di rifugiati siriani (e non solo) ha creato notevoli problemi interni a Erdogan, a causa del crescente risentimento popolare contro gli immigrati, che potrebbe infliggere un colpo mortale alla sua vacillante popolarità, tenuta artificialmente in piedi da un ritorno esasperato ai temi nazionalistici. Il probabile compromesso Putin-Erdogan sarà quello di  accordarsi su di una safe zone in modo da creare un'area cuscinetto tra il confine turco e quello siriano facendo di Idlib una città franca, con pattugliamento congiunto di Russia e Turchia per il disarmo delle fazioni jihadiste ribelli, mentre ad Assad sarà garantito il pieno controllo sull'Autostrada M5 che collega Aleppo a Damasco.


di Maurizio Guaitoli