Siria, la strage dei soldati turchi

venerdì 28 febbraio 2020


Idlib è una città di circa 200mila abitanti situata nel nord ovest della Siria a pochi chilometri dal confine turco, confinante con la provincia di Aleppo. È l’ultimo centro rimasto in mano ai ribelli e da qualche settimana è teatro di aspri combattimenti con le forze governative di Bashar al-Assad che stanno concentrando gli sforzi per riconquistare l’area, peraltro di grande valore strategico poiché si trova sulla superstrada M5 che collega Damasco, Aleppo e il mare. Questa è la fotografia di una situazione che letta in una contrapposizione di lotta tra esercito regolare e insorgenza sarebbe abbastanza comune ma quello che è successo nelle ultime ore in altri tempi avrebbe costituito ben altro interesse giornalistico. Decine di soldati turchi, alcune agenzie parlano di almeno 60, in appoggio alle forze antagoniste ad Assad, sono stati uccisi da un attacco dell’aviazione siriana appoggiata da quella russa che, come noto, staziona da anni in area a sostegno di quel governo.

Questo dimostra che l’armata turca non è presente in quella fascia di confine con poche forze speciali o addestrative ma con preponderanti unità corazzate e di fanteria, incurante di tutte le raccomandazioni della comunità internazionale. Dopo lo sconfinamento per neutralizzare i curdi perché Recep Erdoğan rafforza il suo interesse al confine sud sino ad appoggiare i ribelli siriani tra cui si annidano altresì forze jihadiste, nonostante i costanti contatti con Vladimir Putin a riguardo? Per il premier turco quella zona è fondamentale per la gestione dei profughi. La riconquista dell’intera provincia da parte di Assad comporterebbe la necessità di protezione per più di un milione di persone che se rimanessero sotto il regime non avrebbero vita facile e costituirebbero, pertanto, motivo di destabilizzazione per il governo turco già alle prese con più di due milioni di profughi siriani. La gravità della situazione è stata confermata dal Consiglio di sicurezza nazionale convocato con urgenza da Erdogan che ha contattato anche il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per discutere le possibili misure da prendere nel quadro dell’Alleanza atlantica.

In realtà non si intravede alcuno dei presupposti per cui dovrebbe intervenire l’Alleanza in quanto la Turchia ha intrapreso l’azione militare in piena autonomia configurando nell’attacco ai curdi dello scorso mese di ottobre addirittura il possibile reato di   aggressione. Gli Usa, non più interessati strategicamente all’area, sono orientati a sostenere una “no–fly zone” nel teatro degli scontri e hanno chiesto ai protagonisti in campo di fermare l’offensiva. Il mondo è maggiormente interessato al nuovo virus che si sta espandendo nel mondo ma c’è da porre attenzione anche a questa gravissima crisi internazionale sperando che la Turchia desista da un attacco di larghe proporzioni che porrebbe la Russia davanti a profonde riflessioni sulla risposta da dare. Intanto Erdogan ha messo le mani avanti: ha dichiarato che non sarà in grado di fermare l’imponente flusso di sfollati che inevitabilmente si avvierà verso la rotta balcanica. E qui entrerà in gioco il ruolo dell’Europa. Che farà, riuscirà a esprimere qualcosa o dovrà andare con il cappello in mano a chiedere a Donald Trump di occuparsi nuovamente di quella fetta di mediterraneo sempre più monopolio di contesa russo–turco?


di Ferdinando Fedi