Iran nell’incertezza e nel terrore: una rivolta a porte chiuse

venerdì 22 novembre 2019


La “cappa di piombo” che copre l’Iran, nonostante qualche “crepa”, ombreggia drammaticamente sulle vicende che il popolo iraniano, da tempo, tenta di rendere di dominio mondiale. Dal 16 novembre, le autorità iraniane hanno spinto il Paese verso un processo di “oscurantistico mediatico” senza precedenti, che mutila, in modo pressoché assoluto, le comunicazioni via Internet. Il 19 novembre, il Governo ha dichiarato che: “Questo non è il posto dove la popolazione può abusare dell’utilizzo di Internet”. Gli operatori della “Rete” della Repubblica islamica sono Tic, Ipm e Itc, tutti controllati rigidamente dal regime, ciò ha permesso il blocco totale, in un solo giorno, dell’accesso alla rete nell’ambito nazionale ed anche quasi la totalità dei collegamenti extra nazionali.

La protesta ha avuto come causa scatenante l’aumento dei prezzi del carburante, la notizia è stata data dal Governo iraniano, senza alcuna “avvisaglia” ne giustificazione; tale “scelta economica” aggrava la già difficile situazione sociale che da tempo affligge il popolo iraniano, mettendo sempre più in luce la fisiologica fine di un ciclo storico-sociologico iniziato con l’”avvicendamento” tra lo Scià Mohammad Reza Pahlavi ed l’imam Ruhollah Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī (1978-1979). La “parabola sociologica discendente” si palesa con le classiche modalità: l’”oppressione” ed il “sospetto”, che “soffocano” ogni aspetto della vita sociale; agiscono nell’intimo della società tramite intercettazioni ossessive, i relativi arresti, il terrore di comunicare qualsiasi pensiero tramite ogni mezzo, “comprimendo” ogni tipo di espressione.

Nonostante il blocco quasi totale di Internet, la protesta si è diffusa in tutto il Paese ed i morti, causati dalla repressione, secondo Amnesty International che è riuscita a monitorare ventuno città iraniane, sono oltre un centinaio. “Origliando” e intuendo le rare “voci” che escono dall’Iran, si possono definire gli articolati schieramenti politici; tra essi appaiono i nostalgici richiami allo Scià Reza Pahlavi, rappresentati più all’estero che in Iran e da una classe sociale media e medio–alta e laica; i mujahidin del popolo iraniano (Mek), membri del l’omonimo Partito (diversi dal “profilo” dei mujahidin sunniti, jihadisti), formazione “pseudo riformista” che “scorrono” su una ideologia di socialismo islamico e anti teocratico. Detto movimento fondato nel 1965, ha sempre osteggiato il regime teocratico istaurato da Khomeini dal 1979, a causa di tale “posizione” ha attratto “attenzioni particolari” dal Governo iraniano che ha reso il “gruppo” fuori legge e che ha emanato una sorta di “fatwa” verso chi, all’estero (dove fino ad alcuni anni fa erano considerati terroristi), li sostiene.

In generale i movimenti popolari che “palesemente” (con numerose riserve) o no possono manifestare la propria “etichetta”, sono legati da una “visione” politica laica, rivendicata anche e soprattutto dalle classi sociali medie che sono il “propulsore” della richiesta di cambiamento del Paese.

Tuttavia dalle “coraggiose” fonti Twitter, provengono slogan anti regime come il seguente: “Uno, due, tre, ci proviamo. Senti la nostra voce dalla Corea del Nord”, questa frase, in codice come molta della comunicazione che si sviluppa tramite i vari mezzi di informazione, è stata twittata da un account di nome Ghaffar; il riferimento alla Corea del Nord, per indicare l’Iran, è emblematico. La quota di connettività degli iraniani a Internet, secondo le misurazioni effettuate dalla Ong Net Blocks, dovrebbe essere ad un livello del 5% della sua normale attività.

La svolta politica del massiccio movimento di protesta, si sta spingendo fino a sfidare la stessa legittimità della Repubblica islamica. Il governo iraniano, sottovalutando le vittime civili, ha solo parlato della morte di quattro membri della polizia e denunciato i saccheggi “opera” dei rivoltosi; inoltre, come da “banale prassi”, la causa delle sommosse è addebitata all’ingerenza straniera, sminuendo la “crisi” interna e “gestendo” la brutale repressione a “porte chiuse”.

Nonostante il capillare controllo della rete Internet da parte del Governo, le informazioni arrivano ugualmente, anche se frammentate ed in numero molto limitato; i video, le foto, le storie, sono trasmessi da ingegnosi utenti della “Rete” che, con grande difficoltà, aggirano il Blocco di Internet. In tale modo la comunità mondiale è stata resa conscia e ha potuto unirsi testimoniando l’atmosfera di terrore e incertezza in cui il paese è piombato. Le proteste di molti manifestanti hanno spesso un carattere geo-economico, esprimendo rabbia e dissenso per l’uso del denaro pubblico da parte di Teheran e per i suoi piani di dominare l’Iraq, avendo gli sciiti un ruolo importante nel governo di Bagdad con Abdul Mahdi al-Muntafiki Primo Ministr sciita, sostenendo gli Hezbollah (Partito di Dio), organizzazione libanese e partito politico sciita del Libano, che appoggia la “causa palestinese” e influendo pesantemente sulla politica e sull’economia della Siria alawita, legata confessionalmente allo sciismo iraniano.

Intanto l’ambasciata iraniana a Bagdad è stata assaltata da gruppi di manifestanti iraniani anti governativi, la bandiera “patria” è stata divelta e bruciata; il figlio dell’ex Scià, Reza Ciro Pahlavi, dagli Stati Uniti, oltre che favorire i movimenti nostalgici, è diventato un necessario simbolo per la protesta iraniana, fungendo da “collante ideologico”, insieme all’immagine della madre Farah Diba Pahlavi che vive in Francia. Una speranza laica per l’estenuato popolo “persiano” che ormai ha uno sbiadito ricordo del Re Mohammad Reza Pahlavi, un sovrano laico che purtroppo non riuscì a portare a termine un’opera di modernizzazione che non ha paragoni in tutto il Medio Oriente.


di Fabio Marco Fabbri