Perché gli arabi odiano i palestinesi

venerdì 4 ottobre 2019


È vero? E se lo fosse, perché? Purtroppo, i palestinesi si sono guadagnati la triste fama di traditori dei loro fratelli arabi, pugnalandoli perfino alle spalle. I palestinesi, ad esempio, hanno appoggiato l’invasione del Kuwait perpetrata da Saddam Hussein nel 1990, sebbene questo Paese del Golfo e i suoi vicini dessero annualmente ai palestinesi decine di milioni di dollari in aiuti. Un numero crescente di arabi, in particolar modo quelli che vivono negli Stati del Golfo, definisce sleale il comportamento tenuto dai palestinesi negli ultimi anni.

Tuttavia, negli scorsi mesi, le critiche mosse dagli arabi nei confronti dei palestinesi si sono intensificate, tanto da parte dei mezzi di informazione tradizionali quanto dei social media, e talvolta sono diventate sgradevoli. Alcuni giornalisti e scrittori arabi hanno espresso la loro indignazione per l’opposizione dei palestinesi ai piani di pace, in particolare al cosiddetto “accordo del secolo”, annunciato dall’amministrazione statunitense, ma non ancora svelato. Hanno accusato i palestinesi di aver perso innumerevoli opportunità e hanno affermato che “l’accordo del secolo” potrebbe essere per i palestinesi “l’ultima e la migliore occasione di ottenere uno Stato”.

Khalid Ashaerah, un saudita, ha stigmatizzato i palestinesi come “traditori” e ha espresso la speranza che Israele sia “vittorioso” sui palestinesi. Gli attacchi arabi contro i palestinesi sono il riflesso di un’intensa e crescente sfiducia che regna nel mondo arabo nei confronti dei palestinesi e riguardo a qualsiasi cosa ad essi collegata. Questo profondo disappunto è alimentato dalla convinzione che, nonostante tutto ciò che gli arabi hanno fatto negli ultimi settant’anni per aiutare i loro fratelli palestinesi, questi ultimi si sono dimostrati costantemente ingrati. L’immagine dominante dei palestinesi è oggi quella di traditori dei loro fratelli arabi e musulmani. Per citare un adagio arabo, i palestinesi sputano nel pozzo dal quale hanno bevuto. L’immagine fa riferimento agli aiuti finanziari che essi ricevono da decenni da molti Paesi arabi.

Fino a pochi anni fa, gli egiziani guidavano la campagna antipalestinese nei media. Giornalisti, scrittori e uomini politici sembravano fare a gara per sferrare gli attacchi più duri. Gli egiziani hanno concentrato le loro critiche contro Hamas, il gruppo terroristico palestinese che controlla la Striscia di Gaza – un’enclave costiera confinante con l’Egitto. Le critiche mosse dagli egiziani che sono per lo più affiliati al regime del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, ravvisano in Hamas – un ramo dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani ora bandita in Egitto – una minaccia alla sicurezza nazionale e alla stabilità dell’Egitto.

Tali detrattori sembrano anche indignati per le critiche palestinesi nei confronti di al-Sisi, a causa degli ottimi rapporti da lui instaurati con Israele e l’amministrazione statunitense. I palestinesi sembrano convinti che il presidente egiziano cospiri contro di loro, insieme a Israele e all’amministrazione Usa. Sottolineano, ad esempio, che lo scorso maggio, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito al-Sisi “mio amico”. Netanyahu aveva ringraziato al-Sisi per i due elicotteri messi a disposizione per spegnere gli incendi in Israele. “Vorrei ringraziare il mio amico, il presidente egiziano al-Sisi, per aver inviato i due elicotteri”, ha dichiarato Netanyahu.

“Anziché difendere la loro causa, i palestinesi insultano al-Sisi e il popolo egiziano”, ha affermato Azmi Mujahed, un eminente giornalista egiziano. “Ho un messaggio da inviare ai mendicanti palestinesi che hanno venduto la loro terra e il loro onore: voi maledite l’Egitto, il suo esercito e il presidente. Siete spregevoli. Chi insulta il nostro presidente insulta tutti noi”.

L’apice degli attacchi lanciati dagli egiziani ai palestinesi ha avuto luogo nel 2014, quando diversi scrittori e giornalisti di spicco esortarono il loro governo a espellere i palestinesi e a lanciare un attacco militare contro la Striscia di Gaza. Tali attacchi fecero seguito alle notizie che i governanti di Hamas a Gaza aiutavano i gruppi terroristici vicini all’Isis che combattevano contro le forze di sicurezza egiziane nella penisola del Sinai.

La scrittrice egiziana Lamis Jaber ha esortato il governo a espellere tutti i palestinesi e a confiscare i loro beni. Ha anche chiesto di arrestare chiunque fosse solidale con i palestinesi. “Diamo aiuto alla Striscia di Gaza e in cambio [i palestinesi] uccidono i nostri figli. Sono cani e traditori”.

La Jaber ha inoltre sottolineato che mentre i pazienti palestinesi vengono curati gratuitamente negli ospedali egiziani, i leader di Hamas si rilassano negli “hotel a sette stelle” in Turchia e in Qatar. La Jaber è solo una delle tante eminenti figure egiziane che negli ultimi anni hanno condotto una campagna contro i palestinesi – un comportamento che è indice del disappunto arabo per “l’arroganza” e per “l’ingratitudine” dei palestinesi.

Il messaggio che gli egiziani inviano ai palestinesi è il seguente: siamo stufi di voi e della vostra incapacità di mettere la testa a posto e di comportarvi da adulti. Siamo anche stufi di voi perché dopo tutti questi anni passati a sostenervi e a lottare per la vostra causa, alla fine ci state sputando in faccia e offendete il nostro presidente. Ora sembra che sia il turno dei sauditi di “dire ai palestinesi le cose come stanno”. Parimenti ai loro colleghi egiziani, molti scrittori, blogger, attivisti e giornalisti sauditi hanno scelto i social media per denunciare i palestinesi in un modo senza precedenti. Alcuni sauditi, ad esempio, accusano i palestinesi di essere dei terroristi e di aver venduto la loro terra agli israeliani.

Tali denunce non solo arrivano dai sauditi, ma anche da un numero crescente di cittadini di altri Paesi arabi e musulmani, in particolare del Golfo.

Come gli egiziani, i sauditi sembrano infuriati per i ricorrenti attacchi palestinesi contro la famiglia reale saudita, soprattutto nei confronti del principe ereditario Mohammed bin Salman. Negli ultimi due anni, i palestinesi hanno bruciato le bandiere saudite e le foto di bin Salman durante le manifestazioni di protesta in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Per quale motivo? Perché il principe saudita è visto dai palestinesi come “troppo vicino” a Israele e all’amministrazione statunitense.

Proprio come gli egiziani, i sauditi si sentono traditi dai palestinesi. L’Arabia Saudita per anni ha dato miliardi di dollari ai palestinesi in aiuti, ma ciò non ha impedito ai palestinesi di insultare i leader sauditi in ogni occasione. Anche i sauditi stanno dicendo che sono stufi. La loro indignazione ha raggiunto il culmine nel giugno scorso, quando i palestinesi hanno aggredito un blogger saudita durante la sua visita nel complesso della Moschea di al-Aqsa, nella Città Vecchia di Gerusalemme. I palestinesi hanno sputato addosso al blogger, Mohammed Saudaccusandolo di promuovere la “normalizzazione” dei rapporti con Israele, recandosi nel Paese.

In seguito a quell’incidente nel luogo sacro, molti sauditi e cittadini degli Stati del Golfo attaccano quotidianamente i palestinesi, soprattutto sui social media.

Il blogger saudita Mohammed al-Qahtani ha scritto: “A tutti coloro che in Israele ascoltano la nostra voce noi diciamo questo: chiediamo di trasferire la custodia della Moschea di al-Aqsa dalla Giordania allo Stato di Israele in modo che non si ripetano deplorevoli aggressioni come quella perpetrata contro il cittadino saudita Mohammed Saud”.

Questa insolita dichiarazione da parte di uno scrittore saudita sarebbe stata del tutto impensabile fino a pochi anni fa. Un cittadino saudita afferma che preferisce vedere un luogo sacro dell’Islam sotto la custodia israeliana (anziché giordana), perché solo in tal caso i musulmani si sentiranno sicuri nel visitare la loro moschea. Altri sauditi sembrano assolutamente scontenti delle relazioni instaurate dai palestinesi con l’Iran. Hamas e la Jihad islamica, i due gruppi terroristici che controllano la Striscia di Gaza, ricevono aiuti finanziari e militari da Teheran e hanno il sostegno politico della Turchia. I sauditi e gli altri Stati del Golfo considerano l’Iran, e non Israele, come la principale minaccia alla loro stabilità. Per questo motivo, negli ultimi anni, tali Stati si sono avvicinati a Israele e hanno un nemico comune che è l’Iran.

Sorprendentemente, uno scrittore saudita, Turki al-Hamad, ha fatto ciò che anche molti leader occidentali si rifiutano di fare: ha osato condannare Hamas e altri gruppi che operano a Gaza per aver lanciato razzi verso Israele. Al-Hamad ha stigmatizzato i palestinesi per essere diventati dei burattini nelle mani di Turchia e Iran. Commentando una recente raffica di attacchi missilistici su Israele sferrati dalla Striscia di Gaza, egli ha dichiarato: “L’Iran e la Turchia stanno affrontando una crisi [un chiaro riferimento alle crisi economiche e politiche in Iran e in Turchia] e i palestinesi stanno pagando il prezzo”. In altre parole, i palestinesi hanno scelto di allinearsi con i due Paesi che danno il loro sostegno ai Fratelli Musulmani e ad altri gruppi estremisti come Hamas, la Jihad islamica e Hezbollah.

Un altro scrittore saudita, Mohammed al-Shaikh, ha reiterato la vecchia accusa che imperversa nel mondo arabo, secondo la quale, i palestinesi causano problemi ovunque vadano.

“I palestinesi sono una calamità per chiunque li accolga. La Giordania li ha accolti, e c’è stato il “settembre nero”; il Libano li ha accolti e c’è stata una guerra civile; anche il Kuwait li ha accolti e si sono trasformati in soldati di Saddam Hussein. Ora utilizzano i loro podi per maledirci.”

In un altro commento su Twitter, al-Shaikh ha chiesto di vietare ai palestinesi di fare l’hajj, il pellegrinaggio alla Mecca, dopo la comparsa di un video girato durante l’ultimo hajj, in cui si vedono i palestinesi che sventolano le loro bandiere e scandiscono: “Con il nostro sangue, con la nostra anima, noi ti redimiamo, Moschea di al-Aqsa!”.

L’Arabia Saudita ha delle regole severe che vietano le attività politiche durante l’hajj. Secondo al-Shaikh, i palestinesi che utilizzano il pellegrinaggio alla Mecca per organizzare una manifestazione di protesta, creano disordini durante l’hajj e mettono in imbarazzo le autorità saudite.

“Il prossimo anno, l’hajj dovrebbe essere interdetto ai cani di Hamas, a causa del loro comportamento turpe”, ha dichiarato al-Shaikh dopo aver visto il video.

Fahd al-Shammari, un giornalista saudita, ha attaccato i palestinesi definendoli ”mendicanti senza onore”. È arrivato al punto di dire che “una moschea in Uganda è più benedetta della Moschea di al-Aqsa, che è un luogo sacro per gli ebrei”.

I palestinesi possono solo incolpare se stessi per aver danneggiato le loro relazioni con gli Stati arabi. Mordere la mano che ti nutre è sempre stata una politica per la quale i palestinesi hanno pagato un pesante tributo. Dare fuoco alle foto dei leader e dei capi di Stato arabi per le strade della Cisgiordania è stato un grosso errore. Non si possono bruciare le foto del principe ereditario saudita e poi precipitarsi il giorno dopo a Riad a elemosinare denaro. Non si possono urlare slogan contro il presidente egiziano e poi recarsi l’indomani al Cairo in cerca di sostegno politico.

Molte persone nei Paesi arabi ora affermano che è giunto il momento per i palestinesi di iniziare a pensare ai loro interessi e ad un futuro migliore per i loro figli. Non considerano più la questione palestinese come il principale problema del conflitto arabo-israeliano. Gli arabi sembrano dire ai palestinesi: “Noi vogliamo andare avanti, ma se voi desiderate continuare a regredire, siete liberi di farlo!”

Gli arabi attribuiscono la stagnazione palestinese principalmente ai leader dell’Autorità palestinese e di Hamas, che sono troppo occupati ad avvelenare la mente della loro popolazione e a sbranarsi tra di loro per avere il tempo per qualcosa di positivo. I palestinesi potrebbero risvegliarsi un giorno per scoprire che i loro fratelli arabi non vogliono più essere raggirati.

Ahmad al-Jaralah, direttore di uno dei principali quotidiani online kuwaitiani, è stato ancora più schietto, asserendo: “La causa palestinese non è più una preoccupazione araba. Finanziamo i palestinesi e loro ci maledicono e si comportano male. Gli arabi e i musulmani non applaudono più i palestinesi. Non dovremmo vergognarci di instaurare relazioni con Israele”.

(*) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Khaled Abu Toameh (*)