Venezuela 2019: atto di forza democratico, non colpo di Stato

giovedì 2 maggio 2019


Usando i soliti toni della propaganda anti-occidentale, il ministro della difesa di Nicolás Maduro denuncia “un tentativo di golpe” che sarebbe “espressione dell’ultra-destra venezuelana e dell’imperialismo nordamericano”. Anche in Europa, l’accelerazione che l’opposizione venezuelana ha impresso in questi ultimi giorni alla propria azione per rovesciare il regime di Maduro è stata definita, non solo dalla stantia propaganda della sinistra radicale, ma anche da alcuni analisti e da media poco attrezzati concettualmente, come un tentativo di colpo di stato. Si tratta però di una definizione sbagliata e fuorviante, perché l’offensiva lanciata da Juan Guaidó, affiancato da un finalmente libero Leopoldo López, è solo l’ultimo atto di un’azione politica, interna e internazionale, avviata da molti mesi e, in realtà, iniziata da anni, perché Guaidó ha raccolto il vessillo di libertà che era stato brandito dall’ex-sindaco di Caracas Antonio Ledezma e, appunto, da López.

L’“Operazione libertà” assomiglia dunque più a un’azione di logoramento che a una mossa fulminea, a una lunga marcia che ha saggiamente utilizzato il fattore tempo, prima dilatando ed estendendo le mosse, e ora stringendo il nodo, con tutta la durezza che la situazione richiede. L’aumento di intensità dell’opposizione, incluso l’atto di forza, si rende necessario perché il sistema istituzionale venezuelano non prevede, come per esempio consentirebbe quello italiano, che la maggioranza parlamentare, che rappresenta ovviamente la maggioranza degli elettori, sfiduci un governo e un presidente che hanno condotto il Paese in un baratro del quale non si riesce ancora a vedere il fondo.

Non siamo dunque in presenza di un colpo di stato, anche perché l’appoggio di una parte dell’esercito è solo un supporto, per quanto rilevante, al movimento di liberazione, guidato dal potere legislativo, che si oppone alla semi-dittatura impostata da Chavez e proseguita da Maduro. Questo movimento è popolare e trasversale, unito dall’avversione per il regime e dall’aspirazione a un sistema liberaldemocratico. La sua ampiezza e la sua determinazione rappresentano l’ennesima prova della tossicità dell’ideologia comunista applicata alla società e all’economia, la prova che il comunismo è non solo infernale ma anche fallimentare. Per l’Occidente, sostenere concretamente l’opposizione a un regime così strutturato dev’essere un obbligo e un motivo di onore; e ora che la maggioranza parlamentare venezuelana ha deciso di forzare i tempi del rovesciamento, il sostegno dovrebbe farsi ancora più robusto.

Maduro infatti è un presidente sostanzialmente abusivo, che non solo ha usurpato la carica ma che, con l’instaurazione di un apparato di nomenclatura corrotto, con un uso massiccio della demagogia e con l’appoggio fino a oggi totale da parte dei vertici dell’esercito, ha affamato il popolo (tutto il popolo: anche coloro che scendono in piazza per sostenerlo sono infatti colpiti dalla carestia provocata dalla politica economica comunista chavista). Un despota che si è arroccato nel fortilizio del potere senza alcun rispetto per la democrazia e perfino senza alcuna pietas per i suoi connazionali che stanno, quasi letteralmente, morendo di fame e, cosa forse non meno grave, soffrendo l’ingiuria della privazione della libertà.

Solo ideologi marxisti o politici cinici possono continuare a sostenere quel regime o a dirsi equidistanti fra Guaidó e Maduro. Al di fuori di queste categorie, ci dovrebbe essere un appoggio incondizionato alla spinta democratica e di libertà messa in campo dall’opposizione. Il Parlamento Europeo, sotto l’impulso del suo presidente Antonio Tajani, ha riconosciuto già da mesi la legittimità del presidente dell’Assemblea nazionale, come hanno fatto più di sessanta Paesi, con gli Stati Uniti in testa (l’Italia purtroppo non fa parte di questo gruppo, a causa della posizione filo-madurista del Movimento 5 Stelle; e nemmeno il Vaticano, che insiste sulla tesi capziosa e cripto-socialista dell’equivalenza tra due fazioni che, invece, non sono comparabili). Ma la pressione politica appare ormai insufficiente per rovesciare il direttorio di Maduro.

Che la situazione sia diventata insostenibile e non modificabile in tempi sufficientemente rapidi da impedire il crollo e perfino la morte di una parte non marginale della popolazione, appare evidente. E di ciò si sono resi conto i dirigenti dell’opposizione venezuelana, che con un alto senso di responsabilità hanno deciso ora di passare dalla contestazione di piazza alla sollevazione, anche militare, affiancando all’azione di popolo l’intervento armato. Non si sa come andrà a finire, ma certamente si tratta di un atto ponderato e di alto valore morale oltre che politico. Nessun golpe, bensì un’azione popolare di massa.

Ma da molte parti si continua a parlare un linguaggio diverso. Con una certa avventatezza, il portavoce dell’Unione Europea ha sconfessato l’accelerazione di Guaidó, affermando la necessità di una soluzione pacifica della crisi. C’è da chiedersi dove viva quel portavoce e dove vivano i rappresentanti istituzionali a nome di cui parla: come riescono a travisare a tal punto la realtà, da parlare di soluzioni pacifiche? La violenza, palese e sfrontata, è già quella del regime. Maduro infatti è un satrapo, uno degli ultimi di una lunga serie che da alcuni decenni ha sequestrato la libertà e imposto regimi filocomunisti in America Latina (Castro, Chavez, Kirchner, Lula, Morales, Correa, Ortega, Vazquez, solo per citare i più noti), un dittatore anomalo ma non meno tirannico di quelli propriamente definibili come tali, che si avvinghierà al potere anche trascinando nell’inferno di un conflitto l’intera popolazione.

Se il prudente Guaidó ha deciso di dare avvio a una sollevazione con ogni mezzo, è evidente non solo che reputa opportuno il momento presente, ma anche che non c’è altra via d’uscita da questa crisi che si protrae da anni e che con il passare dei mesi sta esponenzialmente debilitando tutti i venezuelani, senza distinzione di censo e di professione. Questo è dunque un atto di forza necessario, che va sostenuto con la consapevolezza che il fine della libertà talvolta esige prove supreme e mezzi risoluti. Un’azione meditata, con la coscienza che per l’affermazione dell’etica non bastano le declamazioni pacifiste, ma richiede soprattutto la responsabilità nei confronti delle persone in carne ed ossa, dei popoli e della storia. Ed è di questa, durissima ma altissima, responsabilità che si stanno facendo carico oggi Guaidó, López e Ledezma.


di Renato Cristin