martedì 30 aprile 2019
La “Questione armena”, o meglio il genocidio del popolo armeno, è uno di quei “momenti” della Storia che per opportunità “politiche” ed economiche, si tende e si è teso a trascurare. Emmanuel Macron ha voluto mantenere una promessa elettorale fatta nel 2017 istituendo, il 24 aprile, il giorno della “Memoria armena”, in ricordo della retata di intellettuali armeni avvenuta a Costantinopoli nel 1915. La “Questione armena” ha una genesi di matrice geopolitica, e si inserisce all’interno della “Prima Questione d’Oriente”; ricordo, che l’Impero Ottomano assunse la definizione di “malato d’Europa”, dopo la storica sconfitta inflitta dall’Alleanza Cattolica, guidata da Giovanni III Sobieski, a Kara Mustafa sotto i bastioni viennesi, il 12 settembre 1683; inizia da quella data la contrazione territoriale della Porta, che si conclamerà, con la sconfitta nella guerra russo-turca del 1878.
La conseguente e controversa Pace (trattato) di Santo Stefano regolata dalla Russia il 3 marzo 1878, riduce l’Impero ottomano a circa le dimensioni dell’attuale Turchia; ricordando che se l’esercito russo non fosse stato fermato “diplomaticamente” dalla Gran Bretagna, dall’Impero Austro Ungarico e dalla Francia, a pochi chilometri da Costantinopoli, si sarebbe realizzato il “Progetto Greco” di Caterina II, programmato un secolo prima, che prevedeva il ritorno della Capitale ottomana nell’ambito del Cristianesimo dopo la conquista islamica del 1453. La vittoria russa liberò dal dominio della Porta quasi tutta l’area danubiano-balcanica e allentò la “pressione” anche nel Vicino oriente. Tuttavia i termini del Trattato di pace non furono ne condivisi ne recepiti dalle altre potenze europee (ovviamente escluse dal Tavolo), che spinsero il Sultano a temporeggiare sui termini dell’applicazione dell’accordo, a causa della grande e legittima ascendenza che la Russia avrebbe esercitato sui territori liberati dal giogo ottomano. Il successivo trattato di Berlino del 13 giugno 1878, convocato da Andrássy, aprì una conferenza internazionale nella quale la Pace di Santo Stefano sarebbe stata esaminata per apportare le variazioni idonee ad un bilanciamento d’interessi tra le nazioni europee, a scapito della Russia vincitrice e tracciando un nuovo assetto dei Balcani. E’ proprio da questo nuovo “assetto” geostrategico che nascono, dai popoli liberati dall’oppressione turca, le rivendicazioni sui territori, sui diritti in generale e sulla necessità di riformare i sistemi sociali e politici che per secoli erano stati disciplinati da una supremazia su base religiosa ed etnica (nonostante qualche sfumata pseudo Costituzione liberale). Dopo la Serbia, il Libano, la Grecia e la Bulgaria, anche l’Armenia e la Palestina diventano temi di “interesse” internazionale. Il territorio tradizionalmente abitato dagli armeni, a inizio Ottocento, era diviso tra l’Impero Ottomano, quello Persiano e quello Russo, La parte anatolica subì un processo di islamizzazione e turchizzazione che si accentuerà per tutto il XIX secolo, favorito dal regime fondiario ottomano. La maggior parte degli armeni erano contadini, legati alla famiglia patriarcale, alla Chiesa e al villaggio, ma era presente anche una minoranza urbana di mercanti, architetti, medici, finanzieri, che vivevano a Costantinopoli o in altre grandi città. L’avido interesse internazionale, presente al “capezzale” ottomano, suscitò grandi aspettative nel popolo armeno, conscio della propria fragilità e generalmente sfiduciato; le mancate riforme, però, indussero alla nascita di partiti tendenzialmente radicali-rivoluzionari, come l’Amenakat fondato a Van nel 1885, il partito Hunchakian nato a Ginevra 1887, ed il Dashnak Suction a nato a Tblisi nel 1990 di ispirazione socialista. Brevemente, la conseguenza della nascita di correnti ideologiche “sovversive”, da l’inizio ad una escalation di violenze diffuse ed articolate ai danni della popolazione armena, che portò, già tra il 1890 ed il 1896, ad una prima forte oppressione dei Turchi contro l’antica comunità cristiana degli armeni, che si manifestò con stragi, distruzioni di chiese, sostituite da moschee, circa duecentomila uomini armeni furono uccisi ed iniziarono le prime consistenti deportazioni. L’entrata nel primo conflitto mondiale dell’Impero ottomano a fianco dell’Impero tedesco, nasce su un principio che sarà il filo conduttore delle azioni turche, cioè l’identificazione della Guerra nel jihad; lo scopo del Sultano Abd ul-Amid, era quello di andare oltre lo spirito di sopraffazione, identificando il “conflitto” su principi religiosi, etnici e nazionalisti, in una visione della politica, per la prima volta centripeta. L’arresto di quasi 3mila armeni, dirigenti politici, leader di comunità, commercianti, intellettuali, uomini d’affari, giornalisti, funzionari pubblici e studenti, segna l’inizio, il 24 aprile 1915, dell’eccidio degli armeni. La “ripulitura” etnica dell’Anatolia, della Cilicia, della città di Zeytun, seguita dalla regione di Van lungo la linea del Mar Nero, fino al confine persiano, dalla presenza della popolazione armena era l’obiettivo principale delle direttive del Ministero dell’Interno di Costantinopoli. Varie risoluzioni di “valore” internazionale hanno rilevato la gravità del genocidio, fino alla risoluzione del 1946 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che definiva l’azione turca come: “… il rifiuto al diritto all’esistenza di un intero gruppo umano …”. Da quel momento venne istituito un Comitato giuridico, che tra varie ratifiche, nel 1950, approva la Convenzione sul genocidio armeno. Il 26 novembre 1968 le Nazioni Unite votarono la decisione che prolungava indefinitamente la responsabilità dei crimini, con la Convenzione dell’imprescindibilità dei crimini di guerra contro l’Umanità.
Molti studiosi hanno scritto su tale tragico evento: Vahakn Dadrian, Bernard Bruneteau, Guenter Lewy, Marcello Flores ed altri, tutti con lo scopo di analizzare le cause e gli effetti sociologici che hanno tracciato il destino ed il “profilo” del popolo armeno, ma con il sicuro e voluto “effetto collaterale” di “rimarcare”, con varie letture, l’oggettività imprescindibile delle realtà storiche. Tuttavia la giornata della “Memoria armena” di Emmanuel Macron, non lo ha visto, per ora, in prima linea, è stato compito del primo ministro, Edouard Philippe, di partecipare ad una cerimonia, a Parigi, nell’ottavo arrondissement, davanti alla statua dell’armeno Padre Komitas, morto a Parigi nel1935; altrove sono stati autorizzati i prefetti ad organizzare analoghe manifestazioni e cerimonie nei loro dipartimenti di competenza.
Le dinamiche ideologiche del Genocidio, non possono essere comprese se si riducono le cause alle componenti di breve e medio periodo, e che si sono catalizzate all’inizio della Guerra, esse devono essere analizzate inserendole nel processo di crisi e “modernizzazione” dell’Impero ottomano, valutando soprattutto il ruolo avuto dal nazionalismo nel contesto della Prima guerra mondiale, che costituisce il sub strato ideologico che ha permesso deportazioni e massacri. Ritengo, inoltre, che i problemi fondamentali del Genocidio sconfinano le considerazioni sul destino di un particolare gruppo di vittime o le peculiarità di un rapporto tra il carnefice e la sua vittima; quello che considero pertinente sono i concetti di memoria e “impunità”, che non dovrebbero prevedere ne oblio ne tempi di “prescrizione”. Le dinamiche e gli interessi economici e politici hanno spesso condizionato la Storia, rendendone parziale o errata la conoscenza pubblica; è rilevante ricordare ed analizzare i tragici eventi del secolo passato e di questo secolo, al fine di non occultare le spesso controverse considerazioni che vengono date su drammatici momenti storici, specialmente quando si parla di genocidi. Il tardivo riconoscimento, il frequente schizofrenico revisionismo, l’ignoranza ed il negazionismo (turco in questo caso), sono un altro aspetto del “genocidio mentale” che purtroppo spesso subisce una sempre più rilevante parte della massa.
di Fabio Marco Fabbri