Congo, Usa ed Europa: la guerra del “Codice Minerario”

venerdì 1 marzo 2019


Gli Usa, evidentemente non soddisfatti dell’esito delle elezioni in Congo, hanno iniziato quello che in un precedente articolo ho definito il “piano B. Infatti l’insuccesso del candidato Martin Fayulu, sponsorizzato oltre che dagli Stati Uniti da Lamuka, da Soros, dalla Chiesa Cattolica Congolese, dal Belgio e Francia, tanto per citare solo i più visibili, ha sovvertito i programmi dei su citati Stati e magnati, che prevedevano, tra l’altro, anche una riforma a loro favorevole della legislazione mineraria.

L’applicazione del previsto “piano B”, suppone il tentativo di una destabilizzazione della società congolese causata da varie tipologie di criticità, da quella economica e sociale a quella istituzionale. Alcuni giorni fa gli Usa hanno imposto delle sanzioni a carico di cinque alte personalità congolesi, tali disposizioni, come dichiara Serge Kadiba porta voce dei “cinque” e addetto alla Comunicazione del Fronte Comune per il Congo (FCC), sono finalizzati ad ottenere, tramite atteggiamenti oppressivi, la rivisitazione del “Codice Minerario”.

I personaggi oggetto di tali “attenzioni americane” sono: Corneille Nangaa Yobeluo, presidente della Commission Electorale Nationale Indépendante (Ceni), Aubin Minaku Ndjalandjoko, uomo politico, magistrato e Sostituto Procuratore del Congo-Kinshasa e Presidente dell’Assemblea Nazionale, Benoit Lwamba Bindu, Presidente della Corte Costituzionale, Marcel Mokolo, Consigliere della Repubblica Democratica del Congo e Consigliere del Ceni e Norbert Basegezi, Vice Presidente della Ceni. La motivazione ufficiale delle sanzioni a carico dei cinque alti rappresentanti del Congo è stata motivata, dal Dipartimento di Stato Americano, dalla giustificazione che i su citati si sarebbero fatti corrompere e sarebbero implicati in violazioni dei Diritti umani. 

In realtà queste sanzioni imposte dagli Usa hanno l’obiettivo di esercitare pressioni morali sui collaboratori di Joseph Kabila (ed ora anche di Felix Tsihedi), che come sappiamo avrà un ruolo determinante anche nel nuovo assetto governativo, al fine di ottenere la rivisitazione del “Codice Minerario“ che è, nella configurazione attuale, favorevole al popolo congolese. La ragione dell’atteggiamento statunitense sembra sia dovuta anche al fatto che non hanno potuto inviare degli osservatori durante le elezioni del 30 dicembre; questa mancanza di “testimoni” viene ritenuta da Kadiba portavoce dei “cinque” sanzionati, una negatività in quanto tali presenze avrebbero più facilmente fatto accettare, agli Stati Uniti ed altri, l’esito delle elezioni, o quantomeno avrebbero reso più difficile sostenere che la tornata elettorale sarebbe stata falsata da brogli

La sensazione che predomina nella società, negli opinionisti e nei politici congolesi indipendenti e tendenzialmente avulsi da condizionamenti particolari, è che in virtù di quel principio internazionale che vede gli Stati Uniti decretare ciò che è “bene o male” per il popolo africano, si esercitano pressioni sociali che danneggiano gli equilibri politici che faticosamente e non senza duri sacrifici, si stanno costruendo. Inoltre il ruolo che Donald Trump cerca di dare agli Usa, quello di “governo mondiale”, non facilita la vita ne ad alcuni Stati asiatici, né agli Stati dell’America del Sud come il Venezuela.

La diffidenza generalizzata verso le “missioni americane” in Africa è causata anche da quella che viene definita da molti africani, come l’opera più dannosa creata dagli Stai Uniti a livello planetario, cioè il “pantano siro-iracheno”; inoltre questa convinzione porta di conseguenza ad un apprezzamento verso chi questo pantano sta “bonificando”, cioè la Russia. È opinione comune credere che Russia, Cina, India, Turchia, Indonesia, Corea ed altri, operano e contribuiscono allo sviluppo economico e sociale africano senza invadere ambiti della politica interna degli Stati Africani.

Va osservato che la maggior parte dei “sans papiers” in Europa sono africani, ma c’è il convincimento che gli africani, in Africa, possano cavarsela anche senza Europa, ma che alcuni Stati europei senza le risorse africane hanno poche speranze. Considerando, inoltre, che Africa, “l’Occidente” e l’Europa in particolare, hanno, in linea generale, le stesse “malattie sociali”, ma che il “corpo” africano, anche se apparentemente più debole, ha “anticorpi sociali” resistenti.


di Fabio Marco Fabbri