Trump, Putin e il ritorno dell'incubo nucleare

mercoledì 6 febbraio 2019


Sabato 2 febbraio, sia gli Usa che la Russia hanno comunicato ufficialmente l'intenzione di uscire dall’Inf, l’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty, il trattato sulla graduale eliminazione dei missili a medio raggio firmato, nel 1987, da Washington e Mosca. Come atteso dall'opinione pubblica americana, Donald Trump ha mantenuto la promessa fatta ai primi di dicembre, quando aveva concesso alla Russia 2 mesi di tempo per rientrare nelle regole poste dal Trattato. Con una lunga dichiarazione, l’amministrazione Trump ha fatto sapere che solo se la Russia, entro 6 mesi, “tornerà alla piena e verificabile” (in sede internazionale, coi rituali controlli da parte delle agenzie Onu) conformità dei propri armamenti nucleari ai parametri Inf, il trattato potrebbe ancora restare in vigore.

Dopo questa sostanziale denuncia, da parte americana, del Trattato, Vladimir Putin ha annunciato - durante un incontro con i ministri della Difesa, Shoigu, e degli Esteri, Lavrov - che anche Mosca sospende l'accordo, che potrebbe essere cancellato tra sei mesi. “Rispondiamo simmetricamente”, ha precisato Putin: aggiungendo però, come riportato dalla Tass, che la Russia, comunque non schiererà nuovi missili a breve e media gittata, a meno che non lo facciano gli Usa.

Ma cosa prevedeva esattamente il trattato Inf dell’87, e quali risultati ha dato sinora la sua applicazione? E soprattutto, cosa si rimproverano, reciprocamente, i due firmatari? Concluso a Washington, a dicembre del 1987, dai leader di allora, Reagan e Gorbaciov (quando quest'ultimo era al culmine della “Perestrojka”, prima del crollo dei Muri dell’89), il Trattato Inf - cui si era giunti grazie anche a una forte mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale, terrorizzata dallo spettro del “Day after” - prevedeva, negli anni successivi, la graduale distruzione delle testate nucleari a medio raggio russe e americane.

Dal 1990, poco dopo la firma dell’Inf, al 2018, queste testate sono scese, per gli Usa, da 12.718 a 1.550, e, per la Russia, da 10.779 a 1.550. Mentre il numero complessivo delle testate presenti negli arsenali di tutte le potenze nucleari (delle armi atomiche a lunga gittata, ricordiamo, si occupano invece i Trattati Salt, di cui il primo firmato già addirittura da Kennedy e Kruscev) è sceso dalle circa 70.300 dell’86 alle stimate 14.485 del 2018. Il 93 per cento di tutte queste testate nucleari è in mano a Russia ed Usa. Tutti gli altri (anzitutto Regno Unito e Francia) ne hanno al massimo qualche centinaio; Cina, Pakistan, India e Corea del Nord, però, stanno ampliando i loro arsenali.

A Mosca, l’amministrazione Trump rimprovera anzitutto di proseguire nella costruzione dei missili da crociera “Novatot 9M729” (dislocati ai confini orientali della Federazione) e di quelli balistici “Isklander”, installati verso Polonia e Repubbliche Baltiche (con raggio d'azione di 415 km., però facilmente estensibile), che violerebbero il raggio previsto dall'accordo Inf (tra i 500 e i 5500 km.). Se entro agosto prossimo i missili del Cremlino non sanno distrutti, gli Usa a loro volta, secondo l'ultima dichiarazione di Trump, “procederanno con lo sviluppo delle proprie opzioni di risposta militare”, e “lavoreranno con la Nato e gli altri alleati per negare alla Russia qualsiasi vantaggio militare derivante dal suo comportamento illegale”.

Termini, questi, che lasciano la porta aperta a pericolose escalation del confronto russo-americano: lo si è visto, ad esempio, con la forte tensione registrata tra le due super potenze a novembre scorso, nel Mar Nero, con l’arresto, deciso da Mosca, dei marinai ucraini sconfinati nelle acque territoriali russe, oltre lo Stretto di Kerch.

Le repliche di Mosca e le ansie della Germania

La Nato, nel suo ultimo documento ufficiale, appoggia sostanzialmente la posizione americana; la Russia ribatte sostenendo che tutti i suoi missili non violano i limiti fissati dall’Inf, e accusando anzi gli Usa di aver violato loro il Trattato, installando, negli ultimi anni, lo “Scudo antimissile” tra Polonia e Repubblica Ceca, da subito oggetto di forti polemiche anche perché dotato di radar capaci di guardare in profondità lo spazio aereo russo.

Il clima, insomma, sembra tornato a quello dei primi anni Ottanta, quando americani e sovietici litigavano sugli “euromissili” e cercavano febbrilmente di raggiungere un’intesa ad ampio respiro sule armi nucleari. “Senza il trattato Inf ci sarà meno sicurezza”, ha commentato, su Twitter, il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas: dando voce, come negli anni Ottanta, alle ansie di un Paese che sin dagli anni Cinquanta , trovandosi esattamente a metà strada tra i 2 blocchi, si è sentito particolarmente nel “mirino nucleare”. “Non abbiamo bisogno di un dibattito sul riarmo ma di un controllo comprensivo sugli armamenti”, ha insistito Maas: “Purtroppo la Russia non è pronta a ristabilire la fedeltà al trattato”.

Le opzioni per il futuro

Diversamente che negli anni Ottanta, però, oggi le due superpotenze non possono far finta di dimenticare che la pace mondiale, con l’eliminazione dell'incubo nucleare, non dipende solo da loro. Vari sono, oggi, i Paesi forniti di armi atomiche, o che stanno cercando di costruirle (vedi l’Iran, che non caso, data anche la sua storica alleanza con Mosca, nella polemica sull’Inf, tramite il suo ministro degli Esteri, Mohammed Javad Zarif, si è schierato completamente con le tesi russe).

Ma l'impressione dei politologi più attenti è proprio che l’amministrazione Trump, consapevole di tutto questo, stia uscendo dall’Inf con l’intenzione appunto di promuovere, in seguito, la conclusione di un nuovo trattato con Mosca, stavolta multilaterale. Volto ad includere anche la Corea del Nord (con cui è in programma, in Vietnam, un nuovo importante vertice entro questo mese) e, soprattutto, la Cina, quinta delle superpotenze nucleari. La quale, però, anche per il protrarsi della “guerra dei dazi” con gli Usa, almeno per adesso non ha alcuna intenzione di partecipare.


di Fabrizio Federici