Bambini palestinesi: vittime dell’Apartheid

lunedì 4 febbraio 2019


Mohammed Majdi Wahbeh, un bambino palestinese di tre anni del campo profughi di Nahr al-Bared, nel nord del Libano, è l'ultima vittima delle leggi discriminatorie e segregazioniste che colpiscono i palestinesi presenti in un Paese arabo.

Il piccolo Mohammed è stato dichiarato morto in dicembre dopo che gli ospedali libanesi si sono rifiutati di curarlo perché i suoi genitori non erano in grado di coprire i costi dell'assistenza sanitaria. Secondo quanto riportato dai media libanesi, un ospedale ha chiesto alla famiglia del bambino di pagare 2mila dollari per la degenza. Il bimbo è rimasto in coma per tre giorni prima di morire, ma nessun ospedale ha accettato di ricoverarlo perché i suoi genitori non potevano sostenere le spese sanitarie.

La morte del piccolo palestinese avvenuta all'ingresso dell'ospedale ha scatenato un'ondata di rabbia fra molti libanesi e palestinesi. Rivolgendosi al ministro della Salute libanese, Ghassan Hasbani, la giornalista libanese, Dima Sadek, ha scritto su Twitter:

"Signor Ministro, da cittadini, le chiediamo: perché un bambino di tre anni è morto all'ingresso di un ospedale, e chi ha dato l'ordine di negargli le cure? Il suo ministero ne è responsabile? Da quand'è che si fa distinzione tra un bambino palestinese malato e uno libanese? Qual è la sua responsabilità relativamente a questo crimine?"

La nota giornalista e conduttrice televisiva libanese Neshan Der Haroutiounian ha postato sui social media un video del bimbo morto disteso su un letto d'ospedale, mentre sua nonna piange lì accanto. Nel video, la nonna si lamenta dicendo: "A nessuno importa di noi palestinesi". In un tweet che accompagna il video, la giornalista ha scritto: "Questo bambino palestinese è morto in Libano. Aveva tre anni".

Rabia Zayyat, un'altra famosa giornalista libanese, ha espresso la sua indignazione.

"Oh mio Dio! Come può un bambino morire all'ingresso di un ospedale a causa di un mucchio di dollari? Se l'ospedale non ha avuto pietà, la sua amministrazione non avrebbe potuto telefonare a un funzionario per chiedere di coprire le spese sanitarie invece di chiedere il rimborso del denaro speso per una festa o un banchetto? Come si può continuare a vivere in un paese che non riconosce i diritti umani?"

Anche Hussein Banjak, un cittadino libanese, ha espresso sdegno e disgusto per la morte del bambino a causa dell'incapacità della famiglia di pagare le spese sanitarie:

"Il bambino è stato ucciso nel mio Paese, dove non c'è la guerra, da gente senza coscienza. È morto per 2mila dollari – il costo delle cravatte di un dirigente, di un paio di scarpe della moglie di un leader, di una boccetta di colonia per il figlio di un funzionario, di una valigetta di un dirigente, di un medicinale per il cane di un esponente di punta".

Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che il bambino palestinese era stato precedentemente ricoverato in tre differenti ospedali, dove era stato sottoposto a un intervento chirurgico alla testa. Secondo il dicastero, Wahbeh era stato ricoverato al Tripoli Government Hospital, il 17 dicembre, e le spese mediche precedenti erano state pagate dall'Unrwa. "È morto all'interno dell'ospedale", ha affermato il ministero, negando che il bimbo è morto all'ingresso.

Il dicastero ha incolpato l'Unrwa della mancata copertura delle spese sanitarie sostenute dall'ultimo ospedale. L'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi, da parte sua, ha negato la propria responsabilità e i suoi rappresentanti hanno dichiarato di aver fornito la copertura finanziaria e l'assistenza medica al bambino. Secondo l'Unrwa, i medici hanno cercato di trasferire il piccolo Wahbeh in un reparto di terapia intensiva di un altro ospedale, ma è stato loro detto che non c'era posto in nessun ospedale libanese.

Per protestare contro la morte del bimbo, i palestinesi del campo profughi di Nahr al-Bared sono scesi in piazza, dove hanno bruciato gomme e bloccato le strade, scandendo slogan contro l'Unrwa e le autorità libanesi per non essere riuscite a salvare la vita del bambino. La tragedia del piccolo palestinese non è la prima di questo tipo in Libano. Nel 2011, un altro ragazzino palestinese, l'11enne Mohammed Nabil Taha, perse la vita all'ingresso di un ospedale libanese, dopo che i medici si erano rifiutati di ricoverarlo poiché la sua famiglia non poteva permettersi di pagare le cure mediche. L'ultimo fallimento serve a ricordare l'apartheid e le discriminazioni a cui i palestinesi devono far fronte in Libano. Secondo varie organizzazioni per i diritti umani, i palestinesi subiscono discriminazioni sistematiche in quasi ogni aspetto della vita quotidiana. È vietato loro esercitare gran parte delle professioni, come quelle che interessano il settore medico e quello dei trasporti.

Secondo l'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): "...continuano i divieti giuridici per i profughi palestinesi di accesso a 36 professioni libere o sindacalizzate (come quelle che interessano il settore medico, l'agricoltura, la pesca e i trasporti pubblici) (...) Inoltre, i profughi palestinesi in Libano avrebbero accesso soltanto al Fondo nazionale di previdenza sociale. Per lavorare, i profughi palestinesi sono obbligati a ottenere un permesso di lavoro annuale. A seguito di una modifica delle legge, avvenuta nel 2001, ai profughi palestinesi sarebbe impedito di acquisire giuridicamente, trasferire o ereditare proprietà immobiliari in Libano".

Come se ciò non bastasse, l'Unhcr rileva inoltre che i palestinesi in Libano non hanno accesso ai servizi sanitari pubblici libanesi e dipendono principalmente dall'Unhcr per i servizi sanitari, così come dalle organizzazioni senza scopo di lucro e dalla Mezzaluna Rossa Palestinese. Ai palestinesi viene inoltre negato l'accesso alle scuole pubbliche libanesi. I leader libanesi, tuttavia, sembrano negare l'evidenza e preferiscono mentire. Invece di ammettere che i palestinesi subiscono discriminazioni e sono soggetti a un regime di apartheid in questo paese arabo, i leader libanesi cercano di puntare il dito contro Israele. Molti di loro, tra cui il presidente Michel Aoun, continuano ad accusare Israele di praticare il "razzismo" nei confronti dei palestinesi. Tali accuse sono il colmo dell'ipocrisia da parte di un paese arabo che nega ai palestinesi i diritti più elementari. Spostando la colpa a Israele, i leader del regime di apartheid libanese cercano di nascondere i loro maltrattamenti e le discriminazioni che subiscono i palestinesi che vivono in mezzo a loro. Un Paese che nega cure mediche urgenti a un bambino di tre anni non ha il diritto di continuare a mentire al mondo, affermando di appoggiare i palestinesi e di sostenere la loro causa.

E per finire, la domanda che dobbiamo porci ogni volta che si sente parlare di tragedie del genere è la seguente: dove sono tutte le organizzazioni internazionali per i diritti umani e i gruppi pro-palestinesi di tutto il mondo che fingono di preoccuparsi delle sofferenze dei palestinesi? Rimarranno in silenzio per il disinteresse mostrato nei confronti di Wahbeh perché è morto in un paese arabo e Israele con c'entra nulla con la sua morte?

(*) Gatestone Institute                                                            

Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Khaled Abu Toameh (*)