lunedì 28 gennaio 2019
Papa Francesco ha rinunciato al controllo parziale della Chiesa cattolica cinese a favore del Partito comunista cinese (PCC). Sua Santità ha acconsentito a concedere al Partito una considerevole autorità sulle questioni relative alla nomina dei vescovi. Dopo aver rifiutato per decenni di concedere alla Cina il diritto di nominare i vescovi cattolici, come condizione necessaria per normalizzare le relazioni, il Vaticano ha finito per accettare la richiesta del regime di consentire al PCC di avere un ruolo decisivo nella selezione dei vescovi a capo delle diocesi cattoliche.
La concessione del Vaticano è avvenuta nonostante la continua persecuzione in Cina della Chiesa Cattolica non ufficiale, indipendente e clandestina – o sotterranea – da parte del Partito comunista. Eppure, il Vaticano probabilmente non considera questo una sconfitta, ma un mezzo per un fine. La gerarchia diplomatica della Chiesa Cattolica può essere certa che la verità del suo messaggio spirituale durerà anche dopo che il PCC si dissolverà nel secchio della spazzatura della storia come è accaduto ad altre ideologie totalitarie.
Il fatto che la Chiesa accetti di piegare la propria posizione politica indipendente all’apparato del Partito comunista del regime cinese concede a Pechino la facoltà di nominare dei vescovi che siano politicamente accettabili dal PCC. Nell’accordare alla Cina questo diritto, il Vaticano sta implicitamente legittimando il Partito comunista a infiltrarsi nel Cattolicesimo romano in Cina e a controllarlo attraverso uno strumento del regime qual è l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi (ACPC).
Papa Francesco ha inoltre riabilitato alcuni vescovi pro-regime che erano stati scomunicati dal Vaticano per aver accettato di buon grado di seguire le direttive della Cina comunista, abiurando la fedeltà alla Chiesa di Roma. Infine, la burocrazia della Santa Sede ha altresì accettato la richiesta di Pechino di ridurre e ristrutturare 137 diocesi della Chiesa cattolica in tutta la Cina.
Quest’ultima concessione fatta dal Vaticano potrebbe distruggere l’autorità religiosa di molti vescovi segretamente nominati in alcune di queste diocesi eliminate da Papa Francesco e dai precedenti pontefici. Da quasi 70 anni, dopo la presa del potere in Cina da parte del PCC, i cattolici frequentano chiese riconosciute dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi o chiese allineate con il Vaticano. Alcuni cattolici partecipano perfino a messe celebrate in abitazioni private per evitare la sorveglianza da parte degli agenti del regime.
Dopo una serie di recenti incontri tra la Santa Sede e l’Amministrazione statale per gli Affari religiosi, a metà dicembre, Papa Francesco ha inviato una delegazione in Cina per incontrare i principali vescovi della “Chiesa sotterranea” fedele al Vaticano e i funzionari governativi cinesi. La delegazione si è recata in Cina per muovere ”passi concreti” verso l’attuazione dell’accordo provvisorio raggiunto dalla Santa Sede con Pechino.
Di fatto, la delegazione pontificia potrebbe essere stata inviata in Cina per accertarsi che l’attuazione definitiva dell’accordo proceda agevolmente. A capo della delegazione c’era il presidente emerito del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, l’arcivescovo Claudio Maria Celli. Il prelato aveva con sé un documento firmato dal segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, e dal cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.
La direttiva papale della delegazione ha invitato almeno due importanti vescovi cattolici della “Chiesa sotterranea” ad andare in pensione o a condividere i loro compiti ufficiali con i vescovi riconosciuti dal Partito comunista cinese. Se il testo esatto della lettera della Santa Sede rimane segreto, alcuni osservatori del Vaticano, che presumibilmente condividono la decisione del Papa di ribaltare anni di opposizione alle richieste di Pechino, hanno citato diversi motivi per cedere. Innanzitutto, la Chiesa deve probabilmente eliminare la confusione che alberga tra i cattolici in Cina in merito allo scisma fra i vescovi riconosciuti dal Vaticano e quelli approvati dal regime. Un’altra possibile ragione per l’apparente flessibilità della Santa Sede è che sarebbe necessario un compromesso tra Stato e Chiesa per migliorare la cura pastorale dei fedeli cattolici. Tuttavia, la decisione del Vaticano di non pubblicare la lettera potrebbe indicare che il regime esige inoltre che la Santa Sede interrompa i rapporti con Taiwan prima di normalizzare i legami diplomatici con la Cina. Questa ipotesi si basa sul carattere dei precedenti accordi di Pechino che stabiliscono relazioni bilaterali con altri paesi, fra cui Panama. Tra gli altri paesi che hanno tagliato i rapporti con Taiwan per aprire ambasciate in Cina figurano la piccola nazione africana di São Tomé e Príncipe e anche El Salvador. La conditio sine qua non, secondo la quale gli Stati che desiderano avere legami formali con la Cina devono innanzitutto interrompere le relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan, si fonda su ciò che Pechino definisce la politica della “One China“.
La Cina comunista considera Taiwan parte integrante della Cina, respingendo così l’affermazione di Taiwan di rappresentare il governo legittimo della Cina.
I diplomatici pontifici sembrano aver cercato di far fronte nel migliore dei modi al loro accordo con Pechino. Gregory Burke, che di recente si è dimesso da capo dell’ufficio stampa della Santa Sede, ha affermato che questo accordo con il Partito comunista cinese è stato concepito con un obiettivo pastorale e non politico, sottintendendo che ciò avrebbe potuto contribuire a unificare i cattolici cinesi. Tuttavia, il Vaticano, nel tentativo apparente di porre fine alle congetture, si è rifiutato di rispondere alla domanda se l’accordo sia un primo passo nella creazione di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese. Circa la metà delle 98 diocesi cinesi non hanno vescovi riconosciuti dal Vaticano, pertanto, le loro parrocchie rimangono spesso senza preti che si occupino dei fedeli. Si evince chiaramente dalla campagna intimidatoria anti-cattolica che la leadership del Partico comunista è determinata a cooptare, se non a distruggere, l’indipendenza della Chiesa in Cina. Le vessazioni del regime includono l’invio di agenti di sicurezza interna per portare via le statue dalle chiese e rimuovere le croci dai campanili. A volte, vengono sequestrate le Bibbie, se pubblicamente visibili. Spesso le messe vengono celebrate nelle abitazioni private per evitare che siano monitorate dallo Stato. All’inizio del 2018, un’intera chiesa cattolica è stata demolita, inducendo i suoi parrocchiani a organizzare una manifestazione di protesta in strada.
Forse il Vaticano potrebbe essere segretamente preoccupato del fatto che la continua opposizione del Partico comunista cinese possa complicare i tentativi di evangelizzare la popolazione cinese. Il desiderio del Vaticano di raggiungere un accordo con Pechino potrebbe anche essere, in parte, una reazione ai tentativi del regime di seminare discordia nella Chiesa sostenendo l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi come chiesa alternativa. Con l’appoggio del presidente Xi Jinping, al Congresso del Partito comunista cinese tenutosi il 19 ottobre 2018, Pechino ha lanciato una campagna di “sinizzazione” per allineare tutte le religioni con la cultura e i valori cinesi. Questa tattica del governo mira probabilmente a cooptare o a contenere la crescita di una Chiesa Cattolica indipendente, rafforzando in tal modo il controllo sulla religione in Cina da parte del Partito comunista. Stando a quello che si dice, l’evangelizzazione cattolica del popolo cinese è stagnante, in netto contrasto con la rapida espansione del Cristianesimo protestante nel paese. Questa discrepanza sottolinea l’importanza della presenza del cardinale Filoni nella delegazione pontificia in visita in Cina, essendo Filoni il responsabile delle campagne mondiali di evangelizzazione del Vaticano.
L’accordo tra la Santa Sede e il governo di Pechino sta suscitando numerose e forti critiche da parte dei principali intellettuali cattolici e dei crociati dei diritti umani. Il cardinale Joseph Zen, emerito di Hong Kong, ha criticato aspramente l’accordo definendolo un “incredibile tradimento” il che sarebbe come dare “il gregge in pasto ai lupi”. Sophie Richardson, responsabile della sezione cinese di Human Rights, ha dichiarato che “il Papa ha di fatto dato al presidente cinese Xi Jinping il timbro di approvazione quando l’ostilità di quest’ultimo verso la libertà religiosa non potrebbe essere più chiara”.
Anche mentre Pechino e il Vaticano stavano negoziando il futuro status della Chiesa Cattolica in Cina, il regime comunista ha continuato a esercitare le sue pressioni sulla Chiesa Cattolica sotterranea affinché quest’ultima andasse avanti con i propri tentativi di convincere il Vaticano ad accondiscendere ai desiderata dello Stato di gestire la Chiesa Cattolica in Cina. Il governo ha perseguitato e arrestato il vescovo Joseph Guo Xijin nel periodo dei negoziati tra la Santa Sede e la Cina. Durante i colloqui, un altro prelato cattolico, l’88enne vescovo filo-vaticano Peter Zhuang, è stato trascinato davanti all’Amministrazione statale per gli affari religiosi. Sebbene il vescovo Zhuang sia stato rilasciato sotto la custodia di una delegazione vaticana, il fatto è accaduto in presenza di funzionari del Partito comunista cinese e il prelato è stato costretto a dare le dimissioni e a lasciare la cattedra alla luce dell’accordo tra il Vaticano e la Cina.
Forse le vere intenzioni del regime comunista sono state meglio definite nel dicembre 2018 dal sinologo gesuita della Santa Clara University, padre Paul Mariani:
“Il governo non ha abbandonato le sue speranze di esercitare il controllo. Vuole che la Chiesa sia un altro strumento dello Stato. È normale in Cina, nei sindacati o nelle ONG: tutti devono essere subordinati al partito in qualche modo”.
Il Vaticano può imparare a proprie spese che il governo comunista cinese non onora i propri accordi. Pechino potrebbe tentare di estorcere ulteriori concessioni dal Vaticano, proprio come il regime cinese esige una maggiore rinuncia alla sovranità da parte delle aziende occidentali che fanno affari in Cina. Queste pretese possono comprendere l’obbligo di costituire una joint venture con una società cinese, in cui la Cina detiene una partecipazione di maggioranza; possono includere la richiesta che tutte le informazioni sensibili siano memorizzate localmente e venga “ripulita” qualsiasi lingua su cui Pechino ha da eccepire.
È anche molto dubbio che il Vaticano acquisterà tranquillità con questo accordo: il regime continuerà a perseguitare la Chiesa. Se il regime comunista non si smentirà, migliaia di croci saranno rimosse dalle chiese cristiane, soprattutto nelle zone dove si trova una forte concentrazione di popolazione cristiana. Nel 2015, nella provincia di Zhejiang, nella città sudorientale di Wenzhou, dove un cittadino su otto è cristiano, furono abbattute circa 1.200 croci.
L’unico vantaggio possibile che il Vaticano potrebbe trarre da questo accordo in stile Monaco con il regime cinese è un invito ufficiale a Papa Francesco a visitare la Cina. Tuttavia, questo privilegio potrebbe essere controbilanciato dal potenziale danno inferto al futuro del Cattolicesimo in Cina. I coraggiosi vescovi del Cattolicesimo cinese, che hanno subìto decenni di persecuzioni da parte del governo e hanno dovuto sopportate i tentativi del regime di dividere la Chiesa, potrebbero essere visti dal gregge dei fedeli come ignorati dal Vaticano. Molti cattolici cinesi, rendendosi conto che la loro gerarchia è stata fusa con riluttanza da parte del Vaticano in un’unione con la Chiesa controllata dallo Stato, potrebbero ritirarsi nelle abitazioni private per partecipare alle funzioni religiose. Numerosi cattolici cinesi, se non la maggior parte, potrebbero considerare questo accordo come un cinico tradimento politico da parte del Vaticano piuttosto che come una decisione basata sulla fede.
L’eminente scrittore cattolico americano George Weigel riassume i precedenti fallimenti del Vaticano nelle sue politiche di negoziazione con i regime totalitari, scrivendo così: “Alla luce di questa situazione, sembra che la prudenza e la cautela siano all’ordine del giorno nei negoziati vaticani con i totalitaristi in carica a Pechino, al cui più recente Congresso del Partito la religione è stata ancora una volta dichiarata nemica del comunismo”.
Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Lawrence A. Franklin (*)