martedì 4 dicembre 2018
Le relazioni con il Qatar si fanno sempre più pericolose per l’Italia. Non solo sul piano dell’aumento dell’insicurezza interna dovuto all’avanzata dell’agenda estremista dei Fratelli Musulmani, che si avvalgono del sostegno finanziario e della copertura politica degli emiri di Doha. Anche sul versante estero, la scelta del Qatar come interlocutore privilegiato nel Mediterraneo e in Medio Oriente si sta rivelando sempre più controproducente per gli interessi strategici nazionali. Il caso della Libia è emblematico.
La stabilizzazione del Paese è di vitale importanza per l’Italia, sia in termini di sicurezza contro il terrorismo jihadista, che per la questione migranti e gli approvvigionamenti energetici. Tuttavia, le fazioni politiche e le milizie armate espressione dei Fratelli Musulmani verso cui continuano a propendere tutti i governi di Roma sin dalla caduta di Gheddafi, hanno dato prova di essere “canaglie” almeno tanto quanto gli Stati che li sponsorizzano: il Qatar, appunto, e il suo grande alleato, la Turchia islamista di Recep Tayyip Erdoğan.
Sono stati infatti i Fratelli Musulmani a far deragliare il processo che sotto l’egida delle Nazioni Unite avrebbe dovuto condurre la Libia alla riconciliazione nazionale, a partire dal rifiuto di accettare la sconfitta alle elezioni del giugno 2014. Le milizie di “Fajr Libya”, l’Alba Libica della Fratellanza, hanno costretto i vincitori a fuggire da Tripoli e a spostare il parlamento a sud-est, nella città di Tobruk, divenuta poi roccaforte del generale Khalifa Haftar, capo dell’esercito regolare e strenuo oppositore della Fratellanza.
Riuniti nell’Alto Consiglio di Stato, organo illegittimo che pretende di ricoprire funzioni legislative, sono sempre stati i Fratelli Musulmani a impedire che nuove elezioni venissero svolte nel dicembre 2018, come concordato da Haftar e Fayez al-Sarraj, presidente del Consiglio presidenziale, l’esecutivo benedetto dall’Onu, nell’incontro di Parigi del maggio scorso mediato dal presidente francese Emmanuel Macron. La Fratellanza, che ha le chiavi dell’insicurezza di Tripoli, non ha permesso lo svolgimento di una nuova tornata elettorale, nell’evidente timore di subire un’altra sconfitta. Sconfitta che avrebbe travolto anche l’Italia a favore della rivale Francia, quale partner privilegiato della Libia in Europa.
La Conferenza che si è svolta a Palermo il 12 novembre è stata un tentativo d’inserirsi nella trattativa tra Haftar e al-Sarraj, sottraendo l’iniziativa a Parigi nel dossier libico. Ma Haftar non ha reso la vita facile al Governo italiano, tenendolo a lungo con il fiato sospeso circa la sua partecipazione al summit. Il generale ha fatto pesare all’Italia la vicinanza ai Fratelli Musulmani, manifestando assoluta contrarietà verso l’ipotesi di sedersi allo stesso tavolo con gli islamisti. L’arrivo a Palermo a lavori già iniziati ha consentito al primo ministro Giuseppe Conte di salvare la faccia, lasciandogli intendere di essere disposto a collaborare strettamente, ma a una condizione: che Roma dica basta ai Fratelli Musulmani.
Nel capoluogo siciliano, Haftar ha evitato con cura ogni contatto con gli esponenti della Fratellanza, mentre la sua presenza ha scosso le acque in casa islamista, spingendo la delegazione turca ad abbandonare la Conferenza. La mano tesa del generale, tuttavia, è stata raccolta da Conte solo in occasione della photo opportunity con al-Sarraj, vista la successiva accoglienza riservata agli emiri del Qatar in visita a Roma. Dalla visuale di Tobruk, osservare l’intero establishment italiano gettarsi nelle braccia di Doha durante l’ultima cena al Quirinale, deve essere stato uno spettacolo poco edificante. Le dichiarazioni rilasciate a “Il Giornale” dal deputato Ali al Saidi non lasciano dubbi al riguardo. Tra gli esponenti della delegazione di Tobruk presente a Palermo, Ali al Saidi ha lanciato all’Italia un avvertimento inequivocabile: “Se vuole avere un ruolo nel futuro della Libia, si allontani dal Qatar. La relazione con Doha è sconveniente”, ha poi affermato, consigliando “al Governo italiano di stare lontano da quello del Qatar”.
Al Saidi ha anche messo in guardia dal considerare al-Sarraj un leader neutrale, in grado di portare a compimento la tanto agognata riconciliazione nazionale, poiché “molto vicino ai Fratelli Musulmani”. Nel Consiglio presidenziale siedono infatti membri della Fratellanza, da cui al-Sarraj fa certamente fatica a svincolarsi per assumere una linea indipendente. A Palermo, al momento dell’intervento di uno dei componenti della delegazione di Tobruk vicino ad Haftar, la delegazione di al-Sarraj ha lasciato la sala insieme a quella del presidente dell’Alto Consiglio di Stato, Khaled al Meshri, come riporta ancora “Il Giornale”.
L’aver accettato d’incontrare Haftar a Parigi e Palermo sembra dunque rispondere all’esigenza di dover dare una giustificazione al ruolo d’interlocutore ufficiale assegnatogli dalla comunità internazionale. Ma di fatto al-Sarraj non dispone di alcun mandato reale, né da parte del popolo libico e neppure da parte dei Fratelli Musulmani, di cui resta ostaggio in quel di Tripoli. L’ultimo assalto al Consiglio presidenziale avvenuto il 2 dicembre da parte di centinaia di manifestanti, guidati dai miliziani di “Fajr Libya”, è un esempio delle modalità adottate dalla Fratellanza per impedire ad al-Sarraj di agire in maniera indipendente e negli interessi della Libia. Pertanto, al di là delle ambizioni personali, se Haftar continua a mostrarsi reticente di fronte alla possibilità di cedere il comando dell’esercito ad al-Sarraj, è per evitare di consegnarlo nelle mani dei Fratelli Musulmani.
Se gli equilibri tra le forze restano quelli di oggi, l’intento manifestato a Palermo di svolgere le elezioni entro la fine del 2019, seguendo la strada indicata dall’inviato speciale Onu Ghassan Salamé, è destinato a rimanere tale. Invece, se l’Italia si sganciasse dal polo islamista formato da Qatar, Turchia e Fratelli Musulmani per far valere il proprio peso a favore delle fazioni moderate, giocherebbe finalmente un ruolo decisivo nella stabilizzazione della Libia e nel perseguimento del proprio interesse nazionale. Meglio troppo tardi che mai.
di Souad Sbai