lunedì 6 agosto 2018
Dopo essere stati per oltre due anni senza Presidente della Repubblica, i libanesi sono pronti a restare a lungo anche senza Primo Ministro. Il Parlamento uscito dalle urne il 6 maggio scorso ha designato nuovamente Saad Hariri per l’incarico di premier. Tuttavia, la formazione dell’esecutivo è tuttora bloccata dai veti incrociati posti dalle varie formazioni politiche. Hezbollah vorrebbe capitalizzare la vittoria elettorale insediando una compagine ministeriale politicamente sbilanciata a suo favore, con il sostegno del blocco cristiano del Presidente Michel Aoun e del genero Ministro degli Esteri Jibran Bassil. Si oppongono a tale disegno Hariri, Samir Geagea del partito cristiano delle Forze Libanesi e il leader druso Walid Jumblatt. In realtà, Hezbollah, insieme all’altro partito sciita Amal e agli aounisti, disporrebbe della maggioranza parlamentare per dar vita a un esecutivo espressione esclusiva della cosiddetta e presunta “resistenza”, ma ad impedirglielo è la consuetudine di formare governi di unità nazionale il più possibile rappresentativi della realtà pluriconfessionale del Paese. Il processo politico libanese si trova dunque nuovamente in fase di stallo. Il malumore comincia a serpeggiare nell’opinione pubblica e non sono in pochi a puntare il dito contro l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, accusati di manovrare il trio Hariri, Geagea, Jumblatt affinché si opponga a qualunque possibilità di accordo con Hezbollah e Aoun, rivendicando l’assegnazione di un quantitativo di ministeri sproporzionato rispetto al numero dei parlamentari conseguiti nella tornata elettorale di maggio.
A diffondere questa distorta interpretazione dell’attuale situazione politica libanese è il giornale Al Akhbar, fedele organo di stampa non ufficiale di Hezbollah. Quello che Al Akhbar e i suoi seguaci non dicono, è che la ridefinizione in Libano di uno schieramento politico di netta opposizione a Hezbollah - una riedizione della coalizione “14 marzo” - risponde all’esigenza di contrastarne le ambizioni egemoniche, che poggiano sulla potente milizia armata di cui dispone, totalmente patrocinata dal regime khomeinista al potere in Iran.
Non c’è motivo di dubitare del fatto che alle capacità militari Hezbollah unisca una spiccata abilità di amministrare la cosa pubblica, specie a livello locale. Ma ciò rende ancor più preoccupante la prospettiva che Hezbollah riesca a consolidare la propria egemonia, attraendo nella sua trappola del consenso un sempre maggior numero di libanesi. Il buon governo e l’abile esercizio del soft power non sono al servizio del Libano e dell’interesse nazionale, bensì al servizio delle mire espansionistiche di Teheran.
Attraverso Hezbollah, sua principale propaggine regionale, il regime khomeinista intende sottomettere il Libano, integrandolo completamente nella sua orbita geopolitica e ideologica. Eventualità che non può non incontrare l’opposizione innanzitutto degli stessi libanesi, che rifiutano l’idea di vivere in una Repubblica islamica sul modello khomeinista, e poi di quei Paesi nella regione che fronteggiano da anni l’aggressività delle politiche iraniane: nello Yemen e nel Golfo, in Siria, Iraq e in Libano appunto. Inoltre, va considerata la crescente convergenza tra Iran e Qatar, che vede questi due stati canaglia sempre più dalla stessa parte anche in Libano.
Nel Paese dei cedri, Doha sta intensificando la sua tipica campagna acquisti, soprattutto nel mondo della politica e dei media, mentre i buoni rapporti instaurati in precedenza con Hezbollah, deterioratisi a causa della crisi siriana, sono in fase di ripresa. Ciò non può non destare preoccupazione nel Quartetto arabo anti-terrorismo, guidato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, impegnati nello Yemen a supporto del governo legittimo e internazionalmente riconosciuto per liberare il Paese dall’occupazione delle milizie Houthi armate dall’Iran e supportate anche dall’intelligence del Qatar.
La vicenda libanese, per poter essere letta correttamente, va inserita nel più ampio contesto regionale. In tale ottica, una convergenza tra importanti esponenti politici libanesi e il Quartetto arabo antiterrorismo non è altro che una risposta legittima di fronte ai progetti di Iran ed Hezbollah per il Libano e l’intero Medio Oriente. Parimenti legittima è la richiesta di attendere il raggiungimento di una soluzione politica nella crisi siriana per normalizzare le relazioni Beirut-Damasco, poiché l’urgenza di ristabilire relazioni diplomatiche con Assad serve prevalentemente gli interessi iraniani e di Hezbollah, non quelli nazionali libanesi.
La resistenza di coloro che non intendono soggiacere all’equivalenza tra l’interesse iraniano e di Hezbollah e quello nazionale libanese, annovera nuovamente anche Hariri. Hezbollah ha concorso con il voto in Parlamento alla sua ridesignazione nell’incarico di Primo Ministro, nella convinzione di ritrovare di fronte a sé la figura malleabile e accondiscendente del passato. Hariri ha invece modificato impostazione e scelto finalmente da che parte stare.
di Souad Sbai