Per la V Repubblica ultimo tango a Parigi

martedì 25 aprile 2017


Dal voto francese si attendeva la conferma di alcune novità decisive per il futuro unitario dell’Europa. Conferme che ci sono state a cominciare dalla conclamata crisi dei partiti tradizionali, espressioni dei due blocchi della sinistra e della destra di governo. Dopo decenni di alternanza alla guida del Paese, per la prima volta sono entrambi fuori dal ballottaggio. Fuori dalla corsa il socialista Benoît Hamon e il gollista François Fillon, dentro invece Marine Le Pen e il nuovo astro della politica transalpina, Emmanuel Macron. La sconfitta, tuttavia, non pesa in egual misura sugli schieramenti tradizionali. Mentre “les Républicains” hanno subito un forte ridimensionamento (19,91 per cento), il Partito Socialista, con il 6,35 per cento, è stato annientato nelle urne. Il che è in linea con quanto accaduto progressivamente in tutti gli altri Stati d’Europa che sono andati al voto nel recente passato. Grecia, Spagna, Austria, Olanda, il leitmotiv non è cambiato: socialdemocrazia filo-europeista asfaltata, blocco liberal-conservatore fortemente penalizzato.

In sintesi, gli elettori, ovunque se ne abbia occasione, si esprimono per bocciare l’asse destra-sinistra che in Europa ha sorretto la Grosse Koalition. Se è chiaro chi ha perso, bisogna intendersi invece su chi abbia vinto il primo turno. I dati. Passa in testa Emmanuel Macron con il 23,7 per cento dei consensi. Al secondo posto Marine Le Pen al 21,53 per cento.

Chi è Macron? Attualmente potrebbe definirsi un oggetto misterioso. Di certo è un prodotto dell’alta burocrazia francese con un vissuto nel mondo della grande finanza. Dopo una parantesi di governo al fianco di François Hollande, il giovanissimo aspirante alla presidenza, privo di excursus politico, si è messo in proprio per fondare nel 2016 un movimento nuovo, “En Marche!”, di stampo progressista, in grado di drenare l’elettorato in fuga dalla sinistra moderata. Macron è un post-ideologico che ama definirsi né di destra né di sinistra. E neppure centrista in senso classico. Macron è il nuovo che piace all’establishment che su di lui ha puntato nella sfida all’euroscetticismo e al sovranismo montante.

Sul fronte opposto: Marine Le Pen. Di lei si sa molto, ma non abbastanza. È la portabandiera della lotta alla mondializzazione selvaggia e allo strapotere dell’eurocrazia. È sovranista, anti-immigrazione e si batte per il ripristino delle frontiere, anche all’interno dell’Unione europea. Tutto lascerebbe intendere che le prossime due settimane di campagna elettorale saranno poco più che una formalità per il favorito Macron. Soprattutto dopo le dichiarazioni di sostegno ricevute, a caldo, dai due grandi sconfitti: il socialista Hamon e il repubblicano Fillon. Ma niente è scontato. Vi sono due circostanze che potrebbero rendere incerto l’esito finale: il mancato endorsement del candidato dell’estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon in favore di Macron e i fischi rimediati dai suoi stessi sostenitori da Fillon quando ha annunciato l’appoggio a Macron. Nel 2002 si era verificata una situazione solo apparentemente analoga: al ballottaggio con il gollista francese Jacques Chirac era andato Jean-Marie Le Pen. In quell’occasione funzionò l’appello alla difesa della “Republique” contro l’avanzata del neo-fascismo lepenista. La sinistra, sconfitta al primo turno, pur turandosi il naso corse in massa a votare il candidato di destra per impedire la vittoria di Jean-Marie Le Pen.

Oggi il quadro è profondamento cambiato. Marine Le Pen ha condotto il suo Front National a una transizione verso la modernità che di fatto l’ha disancorato dall’appartenenza a una tradizione ambigua e negativa della storia di Francia. Il percorso di Marine ha delle similitudini con quello che, a cavallo degli anni Ottanta/Novanta, condusse il Movimento Sociale Italiano a evolversi in Alleanza Nazionale. Tuttavia, con una differenza sostanziale. Mentre il partito di Gianfranco Fini puntava alla conquista di un ruolo nell’ambito del blocco sociale del ceto medio moderato, Marine percorre la strada all’inverso. Da una consolidata presenza nella difesa degli interessi dei ceti medi tradizionali, il nuovo Front National si fa interprete dei bisogni e delle aspettative della classe operaia abbandonata dalla sinistra. L’analisi dei flussi di domenica va nella direzione indicata. Marine Le Pen ottiene consensi nei distretti industriali del nord-est, flagellati dalla crisi. Il popolo degli ultimi, dei deboli, dei vinti della globalizzazione si schiera dalla sua parte. E se Macron raccoglie maggior consenso dove il reddito medio pro capite è più alto, Marine vince tra i disoccupati. Non è un elemento secondario, giacché il voto di protesta anti-europeista, che al 19,64 per cento è andato all’ultra sinistra di Jean-Luc Mélenchon, potrebbe confluire, almeno in parte, al ballottaggio su “Blu Marine”. Bisognerà valutare quanto la pregiudiziale antifascista faccia aggio rispetto alla naturale repulsione che i ceti operai e meno abbienti nutrono verso un candidato espressione di quell’establishment causa del depauperamento sociale della popolazione e della perdita del potere d’acquisto dei salari.

Secondo elemento determinante. A fronte del discorso di ringraziamento pronunciato da Macron che si è rivelato vuoto di contenuti e Macron stesso è apparso un burocrate freddo come un ghiacciolo, Marine Le Pen, nel saluto agli elettori, insieme ai temi tradizionali della sua proposta politica ha lanciato un sasso nello stagno che potrebbe avere significative conseguenze. A un certo punto del discorso Marine ha citato Charles De Gaulle. Agli osservatori italiani può non voler dire granché, ma alla destra francese dice moltissimo. Racconta di una rivoluzione copernicana che va compiendosi. Il Front National nasce nel 1972 per raccogliere l’eredità dispersa del poujadismo e dei movimenti nostalgici dell’imperialismo coloniale francese al quale il generale De Gaulle aveva inferto un colpo mortale. A fianco del fondatore Jean-Marie Le Pen sfilano i reduci dell’Algeria e delle organizzazioni paramilitari come l’Organisation de l’armée secrète (Oas) che avevano tentato d’impedire la perdita della colonia nord-africana. L’odio coltivato dall’estrema destra verso il “Generale” era, se possibile, maggiore di quello nutrito contro la sinistra “comunista”. Odio che non ha mai permesso un processo di sintesi unitaria nel campo della destra francese. Oggi il colpo di scena. Marine richiama il pensiero di De Gaulle nel chiaro intento di costruire un ponte verso una porzione di quel 19,91 per cento di elettorato “repubblicain” che non vede di buon occhio la scelta di arrendersi senza condizioni al progressista Macron.

Una svolta “gollista” di Marine Le Pen determinerebbe una saldatura del voto a destra nella grande provincia francese che è fatta di agricoltura penalizzata dalla globalizzazione, di desertificazione industriale e di ceti medi produttivi tradizionali messi in ginocchio dall’egemonia delle grandi concentrazioni capitalistiche transnazionali favorite dalle politiche di Bruxelles. Se le due combinazioni dovessero trovare riscontro nei prossimi giorni, insieme alla confluenza sulla Le Pen dei votanti per l’altro candidato dell’estrema destra Nicolas Dupont-Aignant, che ha conseguito un non trascurabile 6,3 per cento, e incrociare l’astensionismo dei delusi del primo turno, la partita del ballottaggio potrebbe rivelarsi tutt’altro che scontata.

La fotografia elettorale di domenica restituisce un nuovo assetto della politica con il quale, nostro malgrado, dovremo imparare a fare i conti. Al tradizionale binomio dell’alternanza destra/sinistra si sostituisce, nella fase post-ideologica, la coppia assiologica alto/basso: establishment versus antisistema. Prepariamoci dunque a introiettare questo schema di gioco perché di Macron e di Le Pen in giro per l’Occidente se ne vedranno ancora molti.


di Cristofaro Sola