Palestinesi: sciopero o fumo negli occhi?

martedì 25 aprile 2017


I palestinesi hanno un’abitudine radicata di regolare i conti interni concentrando il loro malcontento e la violenza su Israele. Questa prassi è chiara a coloro che hanno seguito negli ultimi decenni gli sviluppi in ambito palestinese ed è parte integrante della strategia palestinese volta a minare, isolare, delegittimare e distruggere Israele. Ma coloro che conoscono meno la cultura e le tattiche palestinesi hanno difficoltà a comprendere la mentalità palestinese.

Le autorità di Washington, Londra, Parigi e di altre capitali occidentali raramente incontrano il palestinese medio, che rappresenta la voce autentica dei palestinesi. Piuttosto, questi funzionari incontrano i politici e gli accademici palestinesi di Ramallah – gli “esperti” che in realtà non sono altro che truffatori. Questi palestinesi capiscono molto bene la mentalità occidentale e utilizzano questo per abbindolare i funzionari occidentali come vogliono.

La reazione occidentale allo sciopero della fame indetto il 17 aprile dai palestinesi detenuti nelle carceri israeliane è un esempio calzante. Lo sciopero è stato organizzato da Marwan Barghouti, un alto dirigente di Fatah, che sta scontando una condanna a cinque ergastoli per il ruolo avuto in una serie di attacchi terroristici contro civili israeliani. Barghouti è in carcere da 15 anni.

Va notato che, nonostante il lungo periodo di reclusione, questo è il primo sciopero della fame indetto da Barghouti, malgrado le pessime condizioni di detenzione che lo hanno presumibilmente spinto a intraprendere questa iniziativa. Oppure potrebbe esserci qualche altro fattore dietro l’improvviso e profondo disagio di Barghouti?

In realtà, lo sciopero della fame non è affatto correlato alle condizioni di vita nelle carceri israeliane. Piuttosto, esso è direttamente collegato alla lotta di potere che infuria da tempo all’interno della fazione di Fatah. Più che una mossa contro Israele, questo digiuno a oltranza lancia un messaggio rivolto al presidente dell’Autorità palestinese (Ap) Mahmoud Abbas (che è anche presidente di Fatah).

Lo scorso novembre, Barghouti è risultato vincitore delle elezioni interne di Fatah. Il suo status di prigioniero e il coinvolgimento nel terrorismo continua ad essere il principale motivo per cui Barghouti è così popolare tra i palestinesi. La sua vittoria elettorale avrebbe dovuto fargli ricoprire il ruolo di numero due dopo Abbas e molti si aspettavano che il presidente dell’Ap lo nominasse come suo vice.

Nel mese di febbraio, però, il Comitato centrale di Fatah, un organismo dominato dai fedelissimi di Abbas, ha inferto uno schiaffo a Barghouti, ignorando la sua vittoria schiacciante e nominando qualcun altro (Mahmoud Aloul) come vicepresidente di Fatah. La nomina di Aloul ha fatto infuriare i sostenitori di Barghouti, che si sono affrettati ad accusare Abbas e i suoi sostenitori di emarginare il leader di Fatah in carcere e di cercare di “seppellirlo”.

La moglie di Barghouti, Fadwa, è arrivata perfino ad accusare Abbas di “soccombere” alle minacce di Israele. I funzionari israeliani hanno criticato aspramente l’esito delle elezioni interne di Fatah, vinte da Barghouti, definendolo come un voto per il terrorismo. Fadwa Barghouti ha asserito che il marito si è piazzato al primo posto nelle elezioni “il che significa che è il numero due di Fatah. Non si può ignorare la posizione di Marwan Barghouti”.

Non è la prima volta che la moglie del leader di Fatah lancia accuse contro Abbas. In passato, la donna ha accusato Abbas e la leadership dell’Autorità palestinese di imporre il silenzio stampa su suo marito. In una lettera indirizzata al presidente dell’Ap, Fadwa ha espresso “rammarico e dolore” per il fatto che Abbas non l’abbia aiutata nella sua campagna per la liberazione del marito. E ha inoltre affermato che tanto Fatah quanto la leadership dell’Autorità palestinese non hanno elargito fondi a sostegno della campagna per il rilascio del suo consorte.

Non è un segreto che Abbas detesti la concorrenza. Dichiara guerra a chiunque osi sfidare il suo potere, soprattutto all’interno della sua stessa fazione Fatah. Mohammed Dahlan, ad esempio, un ex comandante della sicurezza preventiva dell’Ap nella Striscia di Gaza e considerato il nemico numero uno di Abbas, è stato espulso da Fatah su ordine del presidente dell’Autorità palestinese. Dahlan, deputato di Fatah, è stato privato dell’immunità parlamentare dallo stesso Abbas. Attualmente vive negli Emirati Arabi Uniti, ma è ricercato dal presidente dell’Ap perché accusato di “corruzione” e “omicidio”. Barghouti, però, rappresenta per Abbas un problema immediato. Il palestinese medio non tollererà la diffamazione, almeno non in pubblico, di nessun palestinese rinchiuso in una prigione israeliana. Abbas vede Barghouti come una reale minaccia, soprattutto in seguito ai sondaggi di opinione che mostrano che Barghouti potrebbe facilmente vincere qualsiasi elezione presidenziale. Barghouti a piede libero sarebbe un incubo per Abbas.

Pertanto, non c’è altro che odio tra Abbas e Barghouti, i due sono impegnati in una lotta di potere combattuta dietro le quinte. Barghouti vuole succedere ad Abbas, mentre quest’ultimo lavora sodo per emarginarlo. Secondo fonti palestinesi, Abbas non è contento dello sciopero della fame indetto da Barghouti. Egli ritiene che Barghouti stia cercando di rubargli la luce dei riflettori, soprattutto alla vigilia della sua visita a Washington per incontrare il presidente Donald Trump. Abbas, che vuole essere sempre al centro dell’attenzione mediatica, non può sopportate che Barghouti occupi i titoli dei giornali e sia stato addirittura invitato a scrivere un editoriale nel New York Times.

Tuttavia, Abbas non è il solo ad avere problemi. Anche Marwan Barghouti sa bene che non deve lavare i panni sporchi di Fatah in pubblico. E allora che cosa bisogna fare? Attuare la tradizionale tattica diversiva: dirigere la colpa verso Israele. Barghouti tutto d’un tratto è molto preoccupato per le condizioni di vita in carcere e chiede più privilegi. Egli afferma che Israele imprigiona i palestinesi per la loro “resistenza pacifica”. Barghouti sa che non aiuta la sua popolarità dichiararsi pubblicamente contro Abbas. E allo stesso modo, Abbas utilizza lo sciopero della fame per incitare contro Israele ed esigere che tutti i terroristi palestinesi, compresi quelli che hanno le mani sporche di sangue, siano rilasciati senza condizioni. Lo sciopero della fame è solo fumo negli occhi per coprire i reali problemi esistenti all’interno di Fatah e non ha nulla a che fare con le condizioni dei detenuti nelle carceri israeliane.

Privato dei suoi orpelli occidentali, lo “sciopero della fame” indetto da Barghouti è in realtà una lotta tra Abbas e un altro pretendente al trono di Fatah. E ancora una volta, viene incolpato Israele – lo Stato che presumibilmente “maltratta” i terroristi palestinesi incarcerati.

 

(*) Gatestone Institute

(**) Lo sciopero della fame indetto dal terrorista palestinese Marwan Barghouti (nella foto a sinistra), in carcere da 15 anni, è una protesta contro il presidente dell'Autorità palestinese (Ap) Mahmoud Abbas (nella foto a destra). I sostenitori di Barghouti accusano Abbas e i suoi fedelissimi di aver emarginato il leader di Fatah e di cercare di “seppellirlo”.

Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Bassam Tawil (*)