Uccisa dal jihadista, silenzio “elettorale”

venerdì 14 aprile 2017


Secondo il rabbino capo di Parigi, all’unisono con la Comunità ebraica della Francia, il governo e i politici che lo sostengono temono con terrore la vittoria di Marine Le Pen alle prossime elezioni presidenziali. Un timore persino più alto degli omicidi di vittime inermi.

La consegna è “minimizzare gli episodi di antisemitismo”, anche violenti, perpetrati da residenti mussulmani delle banlieue ai danni degli ebrei. Ne sono convinti anche i parenti israeliani di Sarah Halimi (nella foto), la 66enne ebrea che nella notte tra il 3 e il 4 aprile scorsi è stata brutalmente assassinata dal depresso vicino di casa jihadista, che abitava al piano di sotto rispetto all’abitazione della Halimi. Jihadista che, dopo essersi introdotto nell’abitazione dell’anziana signora ebrea, l’ha picchiata e pugnalata e poi l’ha scaraventata dal balcone sul selciato sottostante. L’assassino pare abbia anche urlato “Allahu akbar” mentre la donna implorava pietà. Pare, inoltre, secondo i primi testimoni dell’inchiesta condotta in gran sordina dalla Procura generale di Parigi, che la polizia locale urbana, chiamata dai vicini che avevano sentito le urla disperate della donna nella notte, non abbia ritenuto di intervenire in attesa delle teste di cuoio, peraltro mai giunte sul posto dell’omicidio. In pratica un omicidio perpetrato sotto gli occhi dei “flics” che stavano nella strada sottostante guardando in alto come dei gatti chi butta loro il cibo dalla finestra. Intanto, però, il solito “depresso islamico” buttava dal terzo piano la povera donna.

Questa storia ha portato, in contemporanea a Parigi, a Gerusalemme e a Tel Aviv, a una marcia di solidarietà con la famiglia della vittima e con tutti gli ebrei francesi. Cioè le scomode vittime sotto elezioni per via delle temute reazioni pro Marine Le Pen. E ha determinato un caso diplomatico tra Parigi e Gerusalemme. Fatto inevitabile dopo le dichiarazioni a numerosi giornali francesi e israeliani dei parenti della vittima e dello stesso gran rabbino di Francia, massima autorità spirituale ebraica d’Oltralpe. Va detto che i principali giornali francesi, nonché l’autorità giudiziaria, rischiano di non fare una gran bella figura. I primi hanno confinato la notizia nella cronaca nera. Le seconde hanno rilasciato dichiarazioni che tenderebbero a minimizzare il movente antisemita del crimine. Per loro hanno parlato i vicini di casa di Rue de Vaucouleurs, nell’undicesimo arrondissement, enclave islamica della banlieue parigina, uno dei quartieri più pericolosi per densità criminale. Infatti hanno riferito che la donna era già stata minacciata in quanto ebrea da altri membri della famiglia dell’arrestato del piano di sotto, il cui nome ancora non è stato diffuso. E che tutti sapevano della radicalizzazione del giovane 27enne sospettato. Yonathan Halimi, figlio della vittima, ha cercato invano, al contrario, una sponda nella stampa francese. L’ordine di scuderia è quello di evitare, sotto elezioni, di dare troppo risalto a episodi che possano tramutarsi in milioni di voti per Marine Le Pen. Cui paradossalmente si rimprovera il passato antisemita del padre. E anche il rabbino della Grande synagogue de Paris, Moshé Sebbag, si dice convinto di questo problema definito di “cinismo politico mascherato da politically correct”.

Insomma, se a Stoccolma non si parla altro dei problemi che la finta integrazione con l’Islam radicale sta provocando in tutta l’Europa, a Parigi, a una settimana dal delitto, la polizia, la magistratura e gran parte dei giornali esitano a definire lo spietato omicidio della signora Halimi come un attentato terroristico o quanto meno un episodio di antisemitismo. E i correligionari della donna sono stati costretti a promuovere la suddetta marcia di testimonianza in contemporanea a Parigi, a Gerusalemme e a Tel Aviv, cui hanno partecipato alcune migliaia di persone, affinché questo omicidio venga semplicemente chiamato con il proprio nome.


di Rocco Schiavone