Jihad, il pericolo che l’Europa non vede

sabato 24 dicembre 2016


Non si può dire che non eravamo stati avvertiti sul terrorismo islamico. Per quindici anni, dall’inizio della Seconda Intifadah, in Israele, opinion-makers, commentatori, politici israeliani, avvertivano l’Europa: oggi tocca a Israele e agli Usa, un domani toccherà a voi europei. Inutile fare gli schizzinosi di fronte alle eliminazioni mirate israeliane, o all’intervento militare statunitense in Afghanistan e in Iraq, dunque. Quello del jihad, che allora era un concetto legato soprattutto ad Al Qaeda e Hamas (e Hezbollah, nel mondo sciita), è un problema che riguarda tutti, prima o poi avrebbe riguardato anche noi. Era solo una questione di tempi e numeri. Eppure, in quel primo decennio del secolo, la “chattering class” europea, più o meno titolata a parlare, considerava il terrorismo esclusivamente come una questione regionale mediorientale, legata al conflitto israelo-palestinese e dovuta, pressoché unicamente, alla “politica coloniale” dello Stato ebraico.

Nella metà degli anni ’10 di questo secolo, evidentemente, sia i tempi che i numeri sono giunti a maturazione. Avvisaglie c’erano già. Nel 2004 era stato pugnalato a morte il regista olandese Theo Van Gogh e Ayaan Hirsi Alì, musulmana somala convertita all’ateismo, era minacciata di morte, in fuga perenne prima in Olanda e poi in America. Ma si pensava fosse un caso isolato. Poi, l’anno successivo, era scoppiato il caso delle vignette su Maometto danesi e in tutto il mondo musulmano si inneggiava alla morte dei blasfemi. I vignettisti, a dieci anni di distanza, sono tuttora minacciati, la Danimarca è ancora a rischio di attentati. E anche in quel caso, la prima reazione era stata l’auto-censura: attenti a non “abusare” della libertà di espressione, si era detto.

Quando sono stati uccisi i redattori, i vignettisti e il direttore del Charlie Hebdo, la risposta intellettuale europea è stata all’incirca la stessa. Ma ancora nessuno, nel gennaio del 2015, pensava a un’ondata di terrorismo. Adesso è pressoché impossibile negarla. Basta fare un piccolo ripasso di quanto è avvenuto in un anno e due mesi. Massacro del Bataclan a Parigi, violenze sessuali di massa a Colonia e in altre città renane a capodanno, attentato multiplo all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles, massacro di stranieri (fra cui italiani) a Dacca, massacro di francesi alla Promenade des Anglais a Nizza, tentata strage sul treno Wuerzburg-Heidingsfeld (Germania), tentata strage di un attentatore suicida a un concerto ad Ansbach (sempre in Germania), decapitazione di un prete nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, fallito attentato di un bimbo trasformato in attentatore suicida a Friedrichshaven (Germania), strage in un mercatino di Natale a Berlino. E questo per limitarci solo a fatti di cronaca finiti in prima pagina. Poi ci sono gli attentati sventati, che sono molto più numerosi, ma si conoscono solo in parte e a mesi di distanza. E micro-attentati, di cui si parla meno, come lo stillicidio di azioni violente compiute da fanatici in Francia prima della grande strage di novembre a Parigi.

Esattamente come ci avvertivano gli israeliani e gli opinionisti più “politicamente scorretti” americani, l’Europa è diventata una grande Israele. Nonostante non abbia suoi “territori occupati”, non abbia una contesa sulla spianata delle Moschee e sia composta da Stati che, con il mondo islamico, hanno un atteggiamento amichevole, buoni rapporti d’affari e molto rispetto culturale e religioso. Se non altro per esclusione, si dovrebbe giungere alla conclusione che il terrorismo jihadista colpisce gli occidentali, anche i più amichevoli, perché siamo occidentali. Cioè: perché siamo laici, perché le nostre donne sono libere, gli omosessuali sono liberi, perché riconosciamo libertà di culto e libertà di espressione, perché seguiamo un comportamento che, dal loro punto di vista, è puramente blasfemo. Se tutte le religioni sono comunitarie, l’Islam così come è vissuto dai fondamentalisti, ha caratteristiche addirittura totalitarie. Non solo non ammette deviazioni da parte dei membri della sua stessa comunità (e non a caso il maggior numero di vittime dei terroristi è composto da musulmani, in Paesi musulmani come Iraq e Pakistan), ma non ammette che, nel mondo intero, esistano comportamenti “devianti”. Dove non colpiscono, è solo perché non hanno la capacità fisica di farlo. Ma ovunque ne abbiano la possibilità, puniscono gli infedeli e gli apostati con la morte.

Eppure i commenti delle nostre classi dirigenti, intellettuali e politiche, dimostrano che l’Europa non ha affatto accettato questa realtà. Non l’ammette. Il primo argomento è la negazione. Si nega che il terrorismo sia riconducibile, in qualunque modo, all’Islam. Si nega che gli episodi di terrorismo in Europa siano legati fra loro. A giudicare dalla fretta con cui i terroristi sono liquidati come “folli” o “lupi solitari”, si direbbe proprio che non si voglia vedere l’ondata di terrorismo in corso. Di fatto: si finge di non vedere. Perché, purtroppo, l’Europa sta diventando una gigantesca Israele, ma senza gli israeliani. Senza la cultura dell’anti-terrorismo, senza una popolazione addestrata e pronta a reagire, classe dirigente capace di dare una risposta, culturale, politica e militare al problema.


di Stefano Magni