Turchia, la Merkel costretta al dialogo

sabato 5 novembre 2016


Di fronte a un Erdogan scatenato, la Merkel appare in imbarazzo: la cancelliera è oltremodo allarmata per il tabù abbattuto dalla magistratura in Turchia arrestando il leader politico curdo Selahattin Demirtas e quindi ha reagito con il passo diplomatico della convocazione dell’incaricato d’affari turco. Ma per ora la cancelliera non va oltre ben sapendo che la Turchia, attraverso il vacillante accordo con l’Unione europea sui profughi, è un argine fondamentale contro gli esodi di massa che dall’anno scorso continuano a danneggiarla politicamente.

La convocazione dell’incaricato d’affari turco al ministero degli Esteri di Berlino è stata annunciata dal dicastero sottolineando che la lotta al terrorismo e ai golpisti di luglio “non può servire come giustificazione” per azzittire l’opposizione politica “o addirittura metterla dietro le sbarre”. Su ulteriori misure il portavoce della cancelliera, Steffen Seibert, non ha voluto pronunciarsi anche se quello che avviene in Turchia è “altamente allarmante”: con Ankara, ha detto, “discutiamo” sui “dubbi” nutriti da Berlino circa la legittimità degli arresti di giornalisti e politici, per i quali l’esecutivo chiede un processo in linea con lo Stato di diritto. E non altro. Seibert e il portavoce degli Esteri, nelle conferenze stampa trisettimanali, evitano di pronunciare la parola “condanna” per la repressione in Turchia e sottolineano l’importanza di Ankara nello scacchiere mediorientale.

La Merkel, che definisce la Turchia una “pietra angolare” della lotta all’Isis, dichiaratamente vorrebbe replicare in Egitto e Tunisia l’accordo tra Ankara e l’Unione europea sulla gestione dei flussi dei migranti. In maniera inconfessabile ma chiara vorrebbe quindi estendere la paratia turca che ha alleggerito la pressione sul filo spinato balcanico del premier ungherese Viktor Orbán: un percorso a ostacoli che ha contribuito ad abbattere il numero di migranti arrivati in Germania da 890mila dell’annus horribilis 2015 a 213mila dei primi nove mesi di quest’anno.

L’apertura straordinaria delle frontiere tedesche del settembre dell’anno scorso ancora insegue la cancelliera, con ripercussioni politiche di ogni genere: dalla storica ascesa dei populisti di destra dell’Afd, ai cali nei sondaggi di gradimento, alle bizze dell’ala bavarese (Csu) del suo partito che vuole porre un tetto al numero di profughi da accogliere annualmente. Un limite che Angela Merkel, per motivi costituzionali ma anche di strategia politica nei confronti del fenomeno migrazioni, non vuole porre. L’attrito con la Csu, anche se in via di ricomposizione, è così forte che per la prima volta la cancelliera non partecipa a un congresso della formazione bavarese: la sua assenza alla due giorni di assise di Monaco iniziata in queste ore rompe una tradizione decennale dell’Unione cristiano-democratica e sociale (Cdu-Csu). E slitta anche di settimana in settimana l’annuncio che molti si aspettano: non c’è nessuno che può candidarsi al suo posto per le politiche dell’anno prossimo.

(*) Per gentile concessione dell’Ansa


di Rodolfo Calò (*)