venerdì 30 settembre 2016
Alla fine spunta il Trump che non ti aspetti. E un po’ te ne dispiaci. Perché “The Donald” ha avuto più di un’occasione per affondare il colpo, ma ha preferito rimandare. Mentre la Clinton (che ti aspetti) è sembrata preparata, in salute, lucida e cattiva. Forse un pizzico troppo cattiva per qualcuno che ha un livello di unlikeability alto come il suo. Poi, dopo il dibattito, guardi la faccia dei componenti dell’inner circle clintoniano (Clinton News Network compreso) e ti accorgi che non se l’aspettavano neanche loro un Trump così. Intuisci che non hanno troppa voglia di festeggiare un successo, almeno apparentemente, così largo. Eppure i primi sondaggi sono un plebiscito per Hillary. Indecisi, elettori della Pennsylvania, simpatizzanti trumpisti, semplici passanti: è tutto un coro a favore della quasi-incumbent.
Ma Trump non ha commesso gaffe, è andato meglio dell’avversaria nella prima mezz’ora del dibattito (quella che guardano le persone normali), non è quasi mai sceso sul livello dell’attacco personale (come ha fatto lei per un’ora abbondante), ha resistito più o meno brillantemente al bias di un moderatore non all’altezza. E soprattutto è rimasto incollato ai suoi talking point: sull’anti-politica, sul commercio internazionale (qui la Clinton è stata abbondantemente al di sotto della sufficienza), sull’Iran Deal, perfino sulla guerra in Iraq. Troppo prolisso nel difendersi dagli attacchi di Hillary, non c’è dubbio, troppo vago sui dettagli delle proposte politiche (come sempre, del resto), ma chi si aspettava uno scatto di nervi o la perdita del controllo è rimasto deluso.
Trump è sembrato normale, terribilmente normale. E questo era probabilmente il suo principale obiettivo nel primo dibattito. Per le scappatelle seriali di Bill, per la Clinton Foundation, per le email scomparse, per Benghazi, per i fuochi d’artificio, insomma, c’ancora tempo. Tanto tempo.
di Andrea Mancia