Qual è la politica di Trump sui visti per i musulmani?

venerdì 2 settembre 2016


Il dibattito è iniziato lo scorso dicembre, quando Donald Trump ha chiesto una “completa e totale chiusura all’ingresso dei musulmani negli Stati Uniti, fino a quando i nostri rappresentanti non avranno capito cosa sta succedendo”.

Questo proclama ha suscitato così tanta opposizione che Trump ha cambiato posizione, più volte, a dire il vero. Come stanno ora le cose riguardo a questo tema assai controverso e cosa ci si può aspettare se egli fosse eletto presidente? La posizione di Trump ha cominciato ad evolversi il 14 luglio, quando ha invocato “controlli estremamente scrupolosi” dei migranti: “Se una persona non può provare qual è il suo Paese di origine e se una persona non può provare quello che deve essere capace di provare non potrà entrare in questo Paese”. Nessun accenno ai musulmani qui, solo un’accurata identificazione.

Il 17 luglio, in un’intervista congiunta con il candidato repubblicano alla vicepresidenza degli Stati Uniti, Mike Pence, è stato chiesto a quest’ultimo di spiegare la discrepanza tra la sua precedente condanna del divieto d’ingresso per i musulmani negli Stati Uniti proposta da Trump e il suo nuovo sostegno alla proposta. Ma prima che Pence potesse rispondere, Trump è intervenuto dicendo: “Così si chiamano territori. Va bene, li chiameremo territori. Non permetteremo che la gente venga qui dalla Siria senza sapere chi sia”. Trump ha elaborato così il suo divieto d’ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di ciò che ha chiamato “Stati terroristi e nazioni terroriste”.

Accettando la nomina repubblicana, il 21 luglio, Trump ha fatto una dichiarazione più articolata e autorevole di questa nuova posizione: “Dobbiamo sospendere immediatamente l’immigrazione da qualsiasi nazione si sia compromessa con il terrorismo fino a che non sono stati messi a punto dei meccanismi di controllo funzionanti. Non li vogliamo nel nostro Paese.”

Il 24 luglio, Trump ha specificato il nome di due di queste “nazioni compromesse con il terrorismo”: “Parlo di territori e non di musulmani. (...) Abbiamo Paesi (...) e nelle prossime settimane vi riveleremo il nome di un certo numero di essi. È molto complesso. Abbiamo problemi in Germania e in Francia. Pertanto, non sono solo Paesi con...” (sembra che stesse per dire “una maggioranza musulmana” ma è stato interrotto prima di terminare la frase).

Qualche settimana dopo, il 15 agosto, Trump non ha detto quali fossero questi Paesi. Al contrario, ha proposto l’introduzione di “nuovi test di accertamento” per escludere chiunque abbia “atteggiamenti ostili verso il nostro Paese o i suoi principi o che crede che la Sharia debba rimpiazzare la legge americana. Coloro che non credono nella nostra Costituzione o sostengono il fanatismo e l’odio, non saranno ammessi nel nostro Paese. I visti dovranno essere rilasciati solo a chi si pensa possa prosperare nel nostro Paese e accetterà una visione tollerante della società americana”. Ancora una volta, egli ha chiesto la sospensione temporanea dell’immigrazione, ma stavolta “da alcune delle regioni più pericolose e instabili del pianeta che hanno una storia di esportazione del terrorismo”.

Questo miscuglio di incongruenze e contraddizioni porta a diverse conclusioni. Ovviamente, Trump non è un politico navigato ma un dilettante che formula le sue idee sotto il bagliore di riflettori più grandi. In altre parole, egli risponde alle critiche, anche modificando sostanzialmente una delle politiche del suo programma elettorale. In effetti, Trump è andato oltre ed a maggio ha mostrato di essere assolutamente flessibile: “Guardi, quello che sto per dire – non sono il presidente – è solo un suggerimento”. Così gli americani sono stati avvertiti che lui si riserva il diritto di cambiare idea quando vuole su qualsiasi argomento.

In secondo luogo, il fatto di aver modificato il suo divieto d’ingresso negli Stati Uniti ai musulmani, proponendo ora di bandire l’ingresso ai cittadini provenienti da Paesi “compromessi con il terrorismo”, ha segnato il passaggio da una politica coerente, anche se terribile, a una che è palesamene irrealizzabile. Se tedeschi e francesi sono sgraditi a causa dei loro jihadisti, chi potrebbe entrare negli Stati Uniti? Il confine sarà chiuso a tutti, salvo che per i cittadini di Paesi fortunati come l’Islanda e il Costa Rica. Israele, che Trump ha definito il “nostro più grande alleato”, sarà quasi in cima alla lista nera del tycoon newyorkese.

Il più recente cambio di posizione è sensato ed encomiabile. In effetti, Trump segue il consiglio – e ne sono lieto – che gli ho dato otto mesi fa, quando gli ho suggerito di “bandire l’ingresso agli islamisti, non ai musulmani”. Egli non sta più rifiutando tutti i musulmani, ma discerne gli amici dai nemici, una distinzione fondamentale che può essere operata con risorse sufficienti, tempo e intelligenza. Questa serie di cambiamenti indica che Trump è in grado di imparare – lentamente e in modo pericoloso – dai suoi errori. Indica anche che, se fosse eletto presidente, avrebbe mandato di adottare ogni politica che desidera sostenendo che “ogni cosa è solo un suggerimento”.

(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Daniel Pipes (*)