Se Tafazzi detta la linea all’Occidente

giovedì 11 agosto 2016


Tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan torna il sereno. L’incontro a San Pietroburgo dei leader di Russia e Turchia ha di fatto chiuso il contenzioso aperto con la vicenda dell’abbattimento del cacciabombardiere russo ad opera della contraerea di Ankara sul confine turco-siriano. Acqua passata, insomma.

Putin ha sapientemente sfruttato l’ambiguo comportamento degli Stati Uniti e dell’Europa nei confronti del presidente turco, nelle concitate fasi del fallito colpo di stato, per attrarlo a sé. Ufficialmente agli occidentali non è piaciuta la reazione particolarmente brutale che Erdogan ha avuto nei riguardi dei golpisti. In realtà, ciò che l’Occidente non perdona, ma non può dirlo, al “Sultano” di Ankara è l’essere sopravvissuto alla sua defenestrazione. Si vocifera di imbarazzati malumori delle cancellerie europee e di Washington per la piega che hanno preso gli eventi nel Vicino Oriente. Ma si tratta di lacrime di coccodrillo. Dovrebbero prendersela con se stessi, i governanti occidentali, per la serie infinita di stupidaggini che sono riusciti a inanellare negli ultimi cinque anni: dalla favoletta delle primavere arabe, al flop ucraino, fino al fiasco del golpe in Turchia. Ce l’hanno spinto loro, i capi dell’Occidente, Putin tra le braccia di Erdogan. E per essere sicuri che i due s’incontrassero hanno fatto la medesima cosa con Erdogan. L’aberrazione di aver tentato di ricacciare la Federazione Russa in un passato di Guerra Fredda e di cortine di ferro ha agevolato l’aggregazione di un fronte ostile di “emarginati” che è destinato ad avere un peso decisivo negli assetti del Medio e Vicino Oriente.

Non è un caso se l’incontro di San Pietroburgo sia stato seguito con interessata attenzione dagli ayatollah della repubblica iraniana. Un asse tra Mosca, Ankara e Teheran, magari non pregiudizialmente osteggiato da Israele, potrebbe cambiare la storia dei prossimi vent’anni, e forse più. Intanto si apprezzano gli effetti immediati della ritrovata armonia tra Putin ed Erdogan. Cadono le sanzioni economiche stabilite da Mosca contro Ankara come ritorsione per l’abbattimento del suo jet. Ciò significa che riprenderanno le esportazioni di prodotti agroalimentari dalla Turchia verso il mercato russo. Ripartono i flussi turistici dalla Russia verso le coste turche. Riprende quota il progetto Turkish Stream, il metanodotto, alternativo al defunto “South Stream” affondato per colpevole volontà dai “signori” di Bruxelles, che trasporterà il gas dalla sorgente russa fino in Turchia, aggirando il territorio ucraino. Il patto prevede anche l’implementazione della partnership nei settori della difesa e della manifattura industriale.

Questo bel risultato lo si deve al capolavoro di strategia compiuto da Barack Obama, Angela Merkel, François Hollande e David Cameron, finché c’è stato. Tutti costoro hanno dilapidato un patrimonio di rapporti faticosamente intessuti dai governi dell’Occidente con la Federazione Russa sul finire dello scorso secolo e culminati con quella genialata da libri di storia, “made” nell’Italia del miglior Berlusconi, che va sotto il nome di “Accordo di Pratica di Mare”. Quell’intesa fondava sul presupposto che una graduale integrazione della Russia post-sovietica nel contesto occidentale avrebbe reso lo scenario geopolitico globale più stabile e più sicuro. Invece, con l’avvento di Obama e della signora Merkel, si è andati in direzione opposta. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. E pesano principalmente nelle tasche dei produttori dell’agroalimentare italiano i quali, dopo l’accordo di San Pietroburgo, potranno dire addio alle residue speranze di tornare competitivi sui mercati della Federazione Russa.

Grazie allora Europa, grazie Obama per come ci avete ridotto. E grazie a te, Matteo Renzi, per quel tuo non contar nulla sul piano internazionale che sta portando il Paese al disastro. Si potrà mai fare peggio di così?


di Cristofaro Sola