mercoledì 29 giugno 2016
A prescindere dal giudizio sulla loro scelta, dovrebbe far riflettere che una maggioranza di elettori britannici abbia resistito a una pressione enorme, senza precedenti, esercitata per settimane, a tamburo battente, da tutti i principali poteri politici, tecnici ed economici, tutti schierati dalla parte del Remain. Un esito che rivela ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, l’incapacità politica dell’Unione europea, delle sue istituzioni e dei professionisti dell’europeismo in servizio permanente effettivo, di rispondere alla sfida della critica e del dissenso.
Al contrario di quanto per settimane hanno cercato di far credere, a far leva sulla paura e sugli allarmismi, avanzando come unici argomenti scenari catastrofici, senza idee né ideali, è stato il fronte pro-Ue, sia all’interno che al di fuori del Regno Unito. Dichiarazioni quotidiane più o meno minacciose di capi di stato e di governo, banchieri centrali, organismi internazionali, centri di ricerca, politici e della maggior parte dei media. A prescindere dalla fondatezza o meno di questi foschi scenari (lo scopriremo non oggi ma nel prossimo futuro, anche se appaiono un poco esagerati), in maggioranza i britannici si sono comunque rifiutati di cedere a minacce e lusinghe che erano lontanissime dal dare risposte concrete alle loro preoccupazioni. La paura ha giocato nel campo del Remain, mentre in quello della Brexit ha giocato il coraggio e sì, persino un pizzico d’incoscienza, perché un simile ribaltamento dello status quo è sempre un rischio, un salto nel buio.
Ma ad inquietare di più sono le reazioni degli sconfitti al di qua della Manica. L’esito del referendum è una sconfitta solo per il premier britannico David Cameron e una sciagura (ammesso che sia così) solo per la Gran Bretagna? Non è forse una sconfitta anche per questa Europa e per chi ne è alla guida? A Londra, Cameron si è dimesso un’ora dopo, assumendosi le sue responsabilità e dando una lezione a tutti. E a Bruxelles? Ancora attaccati alle poltrone? L’hanno capita la lezione della Brexit? Pronto Bruxelles, c’è nessuno? Abbiamo un problema, che dite? Qualcuno ci mette la faccia? Se l’Unione europea avesse compreso la lezione, oggi si parlerebbe di dimissioni dei vertici Ue (Juncker in primis), non solo di Cameron.
Invece niente. Al di qua della Manica si pontifica, o ci si nasconde dietro la solita retorica o, peggio, si evocano infantili vendette: dispiace, ma ora Londra via subito. Nessuno neppure sfiorato dal dubbio che gran parte della responsabilità sia proprio di chi ha guidato l’Ue in questi anni e che lo scossone Brexit possa rappresentare un’occasione per riformare a fondo l’Unione (sì, nonostante tutto anche con gli inglesi). Quelli che non hanno ancora capito niente li potete facilmente riconoscere perché sono quelli che testa bassa e rancore a mille se la prendono con Cameron e persino con quell’“abuso della democrazia” (parole di Mario Monti) che sarebbe stato il referendum.
Il premier britannico può aver sbagliato. Anche se ad essere onesti, quando ha convocato il referendum non poteva prevedere che l’Ue avrebbe gestito in modo letteralmente folle l’emergenza immigrazione, che è stata un fattore decisivo del voto di ieri. Ma Cameron si è dimesso, mentre avrebbero dovuto dimettersi tutti i vertici europei. La Brexit ha rottamato un’intera generazione di leader europei ed europeisti, nonché la maggior parte dei mainstream media la cui pigrizia intellettuale ha ormai superato qualsiasi rischio di servilismo.
Se Cameron è il capro espiatorio, l’alibi è l’“abuso della democrazia”. Il referendum non si doveva fare. Ma sa, caro Monti, gli inglesi hanno questa malattia incurabile dell’abuso di democrazia. Sono drogati di democrazia, noi invece quasi astemi… L’altra sera, finché il Remain sembrava prevalesse, trasmissioni tv e social network a reti unificate celebravano la democrazia britannica, con le immagini di quei fantastici ragazzi che trasportavano di corsa le ceste pieni di voti. La mattina dopo ti svegli e li trovi tutti a maledire il fatto stesso che il referendum si sia tenuto. Il problema, dicono, è far decidere il popolo così, su questi temi, per queste ragioni. È da irresponsabili… Né mancano le analisi sulla composizione del voto. Naturalmente i pro-Brexit sono solo vecchi, poveri, ignoranti, razzisti, cattivi, e anche, scopriremo a breve, un po’ sporchi e puzzolenti…
Anche la narrazione, così consolatoria per gli europeisti, dei giovani britannici che avrebbero votato in massa Remain si è rivelata una bufala. I dati dell’affluenza per fasce d’età raccontano tutt’altra storia: i giovani britannici in massa se ne sono proprio strafregati di votare… Solo il 36% degli elettori nella fascia 18-24 è andato a votare, mentre ha votato l’83% degli over 65. Quindi, solo un giovane su quattro ha espresso la volontà di restare nell’Ue. È l’esatto contrario: proprio i giovani hanno tradito il Remain, e l’Ue, mostrando tutta la loro indifferenza.
Ma naturalmente, quando l’esito non è quello che piace o ci si aspetta, allora si scopre che la democrazia è “abusata”, che su “certi” temi con implicazioni globali “le piazze” non dovrebbero potersi esprimere, che c’è il rischio “plebiscitario”, il risveglio dei nazionalismi eccetera… L’analogia tra ciò cui stiamo assistendo oggi in Europa e l’ascesa dei nazionalismi negli anni Trenta ci sta. Tuttavia, non sta nell’uso degli strumenti della democrazia (negarli per paura di perdere sarebbe la sua negazione preventiva), ma nell’inadeguatezza di un establishment che si crede “liberale” ma che sta sottraendo sovranità ai cittadini nascondendola e accentrandola in un Superstato inefficiente e dispendioso.
No, non li sfiora nemmeno il dubbio che questo esercizio di chiedersi su cosa il “popolino” possa esprimersi e su cosa no, sia molto, molto scivoloso. La democrazia sì, purché si decida per “il meglio”, indicato da chissà quali sapienti o tecnici? Ma la democrazia è nata proprio perché qualcuno ha fatto notare che non sempre i più saggi, i più istruiti, i più ricchi, i più cool, decidevano per il meglio… Democrazia significa affidarsi fino in fondo alla volontà dei cittadini. Non sempre la maggioranza ha anche ragione, ma nemmeno ha torto solo perché ne fa parte qualche vecchietto e qualche ignorante in più. Può accadere che sia indotta in errore, come già tragicamente accaduto in Europa, ma bisogna assumersi il rischio, se no che democrazia è? Gli inglesi non si sono mai sbagliati, finora. Forse oggi è il primo errore, o forse no. Chi può dirlo con certezza oggi? Ma il tema non dovrebbe essere se si doveva o non si doveva votare. Il tema dovrebbe essere perché i pro-Ue hanno perso.
di Federico Punzi