La pagella di Rouhani dopo tre anni

martedì 14 giugno 2016


La paura di una nuova insurrezione, come quella in seguito alle elezioni del secondo mandato di Ahmadinejad nel giugno 2009, ha fatto sì che il 14 giugno 2013 uscisse dal cilindro delle urne della Repubblica islamica Hassan Rouhani, candidato non proprio gradito ad Ali Khamenei, il detentore del potere in Iran. In questi tre anni in Iran sono state impiccate almeno 2400 persone, vetta mai raggiunta negli ultimi 25 anni di regime. Sebbene le condanne a morte siano decise dal sistema giudiziario di un regime illiberale, Rouhani ha dato il suo beneplacito definendole “applicazione dei comandamenti di Dio e leggi del parlamento che appartiene al popolo”. Chi conosce la psicologia degli uomini del regime teocratico al potere in Iran sa che la sfacciataggine gli è intrinseca. Ahmed Shaheed, relatore speciale dell’Onu per i diritti umani in Iran ha più volte dichiarato che la situazione dei diritti umani in Iran è peggiorata durante la presidenza di Rouhani. Il 20 e 29 maggio hanno fustigato dei ragazzi durante la festa di laurea e l’8 giugno i lavoratori in sciopero.

Le carceri iraniane ospitano convertiti ai cristianesimo, giornalisti e appartenenti alle minoranze etniche e religiose. Molti prigionieri politici malati di cancro in carcere stanno facendo lo sciopero della fame contro la loro drammatica situazione e quella dei loro compagni. Oltre 600mila persone vengono arrestate ogni anno in Iran e più di 220mila affollano le carceri disumane. Il “conservatore moderato” Motahari, vicepresidente del majlès e sostenitore del “moderato con adagio” Rouhani, in un dibattito recentemente ha bollato i Baha’i come un “prodotto del colonialismo” e per questo privi del diritto alla libertà di pensiero ed a “fare propaganda”. In una Teheran di 15 milioni di abitanti non c’è una moschea per sunniti. In Siria si annoverano oltre 60mila pasdaran iraniani e i loro mercenari e la loro presenza in Iraq schiaccia la popolazione che si trova tra l’incudine dell’Isis e il martello degli uomini del regime teocratico iraniano ed i loro oltre 50 gruppi paramilitari. Anche se assente dai mass media, questa è una drammatica realtà.

Ah, “moderato” Rouhani! Mentre due terzi della popolazione iraniana ha meno di 35 anni il novantenne Ahmad Jannati, fido di Khamenei e principale censore nel Consiglio dei guardiani, il 24 maggio diventa il capo dell’Assemblea degli esperti. Tutto questo non scoraggerà certo i perseveranti analisti mediorientali di suscitare vacue speranze nel riformismo in Iran e che l’Iran di Rouhani porterà pace e stabilità in Medio Oriente. Questi analisti hanno giurato assoluta fedeltà alla strategia mediorientale di Barack Obama, peccato che oltre alla confusione non c’è altro. Null’altro ha danneggiato la lotta degli iraniani quanto un’illusione riformista fabbricata ad arte.

Dopo l’alzata di polvere dell’accordo nucleare del 14 luglio 2015, l’economia del Paese ha continuato nella stagnazione e ha perso del tutto la capacità di allacciare sane relazioni economiche. Il viceministro degli Interni del regime, Morteza Mir- Bagheri ha ammesso, lo scorso 12 aprile, che il tasso di disoccupazione in Iran viaggia tra il 40 e 60 per cento. Secondo i dati del regime, durante la presidenza di Rouhani oltre 15mila aziende industriali e manifatturiere sono state chiuse o sottodimensionate al 50 per cento delle loro capacità produttive, e il numero dei disoccupati è aumentato di un milione. La situazione sociale, oltre quella politica, è sul punto di esplodere e non a caso Ali Khamenei ha ricordato, il 17 maggio, che ulteriori misure repressive in tutto il Paese ora sono “una massima priorità”.

La maggioranza dei due rami del Parlamento italiano ha firmato un documento di denuncia che è stato presentato il 9 giugno nella sala stampa della Camera sulla drammatica situazione dei diritti umani in Iran e sulle ingerenze del regime dei mullà in Iraq e in Siria. La maggioranza esorta il governo italiano e l’Unione europea ad adottare una politica adeguata nei confronti del regime iraniano.

Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, in una messaggio ai parlamentari italiani, ha dichiarato: “Qualcuno in Europa e negli Stati Uniti pensava che dopo l’accordo sul nucleare ci potesse essere un’apertura in Iran. Qualcuno credeva che dopo la farsa delle elezioni del mese di marzo sarebbero arrivati i moderati e che la politica espansionistica del regime si sarebbe attenuata... Il sistema dei mullà è immerso nelle crisi, è debole e non ha alcuna possibilità di apertura nei confronti della popolazione iraniana. Perciò ha sempre più bisogno di continuare nella repressione, nell’esportazione del terrorismo e nel fomentare la guerra... Per queste crisi i mullà non hanno soluzioni. La dittatura, l’oppressione e l’ingerenza nelle guerre non potranno durare in eterno. Per questo, l’iniziativa del Parlamento italiano è molto importante perché indica la via d’uscita”.

La leader della Resistenza iraniana ha auspicato che eliminando l’ostacolo che è il regime teocratico al potere in Iran, si possa rivitalizzare un solido rapporto tra due antiche nazioni, l’Italia e l’Iran.


di Esmail Mohades