L’ira del Sultano sopra Berlino

martedì 7 giugno 2016


Strana crisi, quella nei rapporti fra Ankara e Berlino, quella indotta la settimana scorsa dalla decisione del Parlamento tedesco di votare, pressoché all’unanimità, il riconoscimento ufficiale del “genocidio armeno” perpetrato dall’Impero Ottomano nel corso della Grande Guerra. Decisione che ha suscitato le ire del governo turco e in particolare del presidente Erdogan, al punto di richiamare l’Ambasciatore in Germania e minacciare pesanti ripercussioni nelle relazioni bilaterali. A tutti i livelli. Ed è, appunto, per questo che la presa di posizione tedesca è risultata quanto mai inattesa ed inopportuna. Infatti anche prescindendo dal fatto che la Turchia rappresenta un importantissimo partner commerciale, e che per altro nella Repubblica Federale vivono da molti anni oltre quattro milioni di immigrati turchi – per altro ben inseriti – il pronunciamento del Parlamento interviene in un momento in cui Berlino sembrava avere tutto l’interesse a mantenere buone, anzi migliorare il più possibile le relazioni con la Turchia. Interesse strettamente connesso alla, problematica, gestione del critico “dossier profughi”, che ha visto la Cancelliera Angela Merkel prima aprire le porte ai migranti che fuggivano dalla Siria, e poi, dopo breve tempo, pressata dall’opinione pubblica interna e sorpresa dalle dimensioni del fenomeno, cercare, in qualche modo, di richiuderle e di arginare la marea montante. Argine che, però, richiede necessariamente la collaborazione di Ankara, visto che la Turchia rappresenta il naturale ponte che connette il tormentato Medio Oriente con i Balcani, via privilegiata della migrazione in direzione dell’Europa centrale tedesca.

Senza dimenticare, peraltro, il (non) piccolo particolare che da anni, ormai, il territorio turco ospita oltre due milioni e mezzo di profughi, fino ad ora assistiti – per quanto possibile – senza alcun aiuto da parte dell’Europa. E proprio il timore che Ankara, stremata, finisse con lo spalancare le porte della dorsale balcanica ai flussi migratori – stimabili in diversi milioni di profughi provenienti non solo dall’area siro- irakena ma anche dall’Afghanistan e dalla stessa Africa maghrebina e sub-sahariana – aveva indotto la Merkel a patrocinare un accordo fra Unione europea e Turchia. Un accordo che prevede in prima istanza circa sei miliardi in euro di aiuti e, in prospettiva, uno “scivolo” per facilitare l’ingresso della Turchia nella Ue. Ingresso a lungo sospirato ad Istanbul ed Ankara, ma sempre vanificato dall’opposizione di Parigi e Berlino , che hanno – per loro fini, prevalentemente dettati dalla politica interna – utilizzato come testa di legno del voto contrario di Cipro. O meglio della Cipro greca, la cui presenza nella Ue continua a rappresentare uno dei misteri (in)gloriosi di Bruxelles. Tuttavia, l’urgenza del problema profughi sembrava avere radicalmente cambiato la posizione tedesca, servendo finalmente una mano di carte vincenti ad Erdogan.

Poi, però, è saltata di nuovo fuori l’annosa questione armena, e tutto sembra essere nuovamente in discussione. Ora, al di là della diatriba storica – la Turchia ha sempre riconosciuto il massacro degli armeni, ma nega recisamente che vi fosse all’origine l’intento di perpetrare un genocidio, ascrivendo i fatti al contesto del conflitto mondiale – su cui anche autorevoli storici sono da sempre divisi, e del senso o meno di cercare di imporre una verità storica per legge, appare evidente come la scelta del momento sia stata quanto meno infelice. E rischi – nonostante i tentativi di smorzare i toni della Cancelliera, volutamente assente dal Bundestag il giorno del voto – di avere pesanti ripercussioni non solo sulle relazioni bilaterali fra Germania e Turchia, ma anche sui precari equilibri dell’intera Ue.

Secondo Valeria Giannotta – che insegna relazioni internazionali all’Università dell’Aeronautica Turca di Ankara – i tedeschi avrebbero voluto, più che altro, marcare il territorio e dimostrare, con questo atto, di non essere, come molti li accusano, completamente proni di fronte al “Sultano”. Tuttavia, aggiunge, lo hanno fatto nel modo meno intelligente possibile. Può essere comunque che, dopo la tempesta diplomatica di queste ore, le acque tornino a placarsi, tant’è vero che le ultime dichiarazioni di Erdogan appaiono meno drastiche. In effetti così come la Turchia ha bisogno della Germania, anche la politica tedesca, e quella europea in generale, non possono fare a meno di mantenere buone relazioni con Ankara.

(*) Senior fellow de “Il Nodo di Gordio”


di Andrea Marcigliano (*)