mercoledì 25 maggio 2016
Il quotidiano “Il Giornale” ha recentemente pubblicato un articolo di Gian Micalessin intitolato “Viaggio tra gli avamposti di una guerra dimenticata”, che tratta del conflitto del Nagorno-Karabakh, indicando l’Azerbaigian come l’unico responsabile del conflitto ritornato all’attenzione dell’opinione pubblica da qualche settimana.
Mentre Micalessin accusa gli azeri, l’Ambasciata dell’Azerbaigian in Italia rende pubblico un dossier, intitolato “Non chiudere gli occhi nei confronti dell’aggressione armena e dei crimini contro l’umanità”, che cerca di chiarire cosa sta avvenendo nella regione del Caucaso. “A partire dalla prima mattina del 2 aprile 2016, le forze armate dell’Armenia hanno intensificato gli attacchi dalle loro posizioni nei territori occupati dell’Azerbaigian, sottoponendo le aree densamente popolate adiacenti alla linea di contatto al fuoco intenso con artiglieria pesante e armi di grande calibro. Come risultato degli attacchi dell’Armenia e delle successive ostilità, 34 città e villaggi lungo la linea di contatto con la parte azerbaigiana sono stati colpiti, 6 civili, compresi bambini, sono stati uccisi e 34 feriti. Danni ingenti sono stati inflitti alle proprietà private e pubbliche. Con queste azioni l’Armenia ha commesso crimini contro l’umanità. Con le sue deliberate azioni offensive, l’Armenia ha minato il regime di cessate il fuoco stabilito nel 1994 e ha danneggiato le prospettive di una soluzione pacifica del conflitto. Il 5 aprile 2016 il cessate il fuoco è stato ancora una volta concordato tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Nonostante ciò, l’Armenia continua a violare tale accordo sparando sulle posizioni delle forze armate dell’Azerbaigian e sulle città e i villaggi situati lungo la linea di contatto con l’uso di armi di grosso calibro, mortai, lanciagranate e sistemi di artiglieria”. Il dossier è accompagnato da una serie di foto e documenti che narrano di feriti, vittime azere e numerosi edifici distrutti dai bombardamenti dell’esercito armeno. Vengono registrate vittime e ingenti danni nella zona di Tartar, nel villaggio di Mahrizli, nel villaggio di Benovsheler, la scuola di Sarijali, ad Aghdam, frequentata da 220 alunni è stata distrutta e numerosi sono i feriti vittime dell’attacco.
La Repubblica dell’Azerbaigian sollecita la Comunità internazionale a condannare l’Armenia per la palese violazione del diritto internazionale e insiste sull’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 822 (1993), 853 (1993), 874 (1993) e 884 (1993). Secondo informazioni diffuse dal ministero della Difesa dell’Armenia e dalla stampa armena, tra il 1 e il 5 aprile sono stati uccisi 83 soldati, di cui 65 erano originari dell’Armenia, pari a circa il 78 per cento. Questi fatti provano ancora una volta che i territori della Repubblica dell’Azerbaigian sono stati occupati dalla Repubblica dell’Armenia e che le forze di occupazione sono state arruolate dallo stesso commando. Un conflitto che per molto tempo è stato “congelato”, ma che negli ultimi tempi è tornato a mietere vittime. La Comunità internazionale più volte ha espresso la sua, lanciando la proposta di risoluzione a questo scontro che ha le radici nel secolo scorso. Per risolvere il conflitto è necessario eliminare il motivo principale dello scontro che consiste nell’occupazione da parte dell’Armenia del territorio azerbaigiano, un fatto riconosciuto a livello internazionale. Ci sono quattro risoluzioni del Consiglio delle Nazioni Unite, vi è la decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, documenti del Consiglio d’Europa e del Parlamento europeo che chiedono chiaramente all’Armenia di ritirare le forze di occupazione. L’Azerbaigian ha offerto all’Armenia di lasciare pacificamente tali distretti, per potere avviare di conseguenza i negoziati di pace sul futuro della regione del Nagorno-Karabakh. Un’analisi della documentazione sulle relazioni diplomatiche nella regione del Caucaso evidenzia l’impegno dell’Azerbaigian, che ha più volte portato all’attenzione internazionale il motivo principale della tensione nella regione: la presenza irregolare delle forze armate armene nei territori riconosciuti come azeri.
Negli ultimi mesi le istituzioni armene, come l’articolo di Micalessin, accusano l’Azerbaigian di ospitare membri dell’Isis tra le fila del proprio esercito e di praticare amputazioni proprio come lo Stato islamico. Ma l’Azerbaigian possiede un esercito regolare che agisce nel rispetto della normativa internazionale. Ci sono invece fonti che segnalano la presenza nell’esercito dell’Armenia di rappresentanti del gruppo terroristico armeno Asala, che è stato responsabile anche di attentati in vari Paesi, oltre che di crudeli uccisioni di civili azerbaigiani. Risalgono inoltre alle scorse settimane le minacce, espresse dalle parole dell’ex primo ministro ed attuale membro del Parlamento armeno Grant Baghratian, di utilizzo di armi nucleari da parte dell’Armenia: secondo le sue parole l’Armenia possiederebbe armi nucleari e avrebbe il potenziale per crearne di ulteriori. Secondo una dichiarazione del ministero degli Affari Esteri dell’Azerbaigian, del 17 maggio, l’Armenia ha utilizzato contro obiettivi umani e materiali civili armi chimiche (fosforo bianco), durante le ostilità del mese di aprile ed esistono prove di ciò.
Inoltre, proprio in Azerbaigian nelle scorse settimane si è tenuto il Forum dell’Alleanza delle Civiltà (25-27 aprile) delle Nazioni Unite, che ha avuto come tema: “Vivere insieme in una società inclusiva, una sfida e una meta”. Dell’evento ne ha parlato l’onorevole Luca Volontè: “Il Forum dell’Organizzazione legata a doppio filo alle Nazioni Unite, e fondata anni orsono dalla volontà della Spagna e della Turchia, ha visto nella capitale azera sfilare centinaia di esperti e autorità di Stati di tutto il mondo per discutere un tema tanto attuale, quello della vita insieme, nel rispetto delle differenze culturali e religiose, in una società inclusiva e non omologatrice. Tra i più di trenta rappresentanti degli Stati presenti, oltre ai presidenti di Turchia e Malta, ai ministri degli Esteri di Turchia e Spagna, vale la pena ricordare la Rappresentanza della Santa Sede, l’Organizzazione Islamica di Cooperazione, l’Organizzazione Internazionale Francofona, il Segretariato dell’Organizzazione Ibero-Americana, la Fao, l’Organizzazione di Cooperazione Economica del Mar Nero e, ovviamente, le Nazioni Unite. A dimostrazione della infondatezza di talune polemiche strumentali nei confronti dello spirito e del rispetto della libertà religiosa in Azerbaijan, venuta alla luce in Italia recentemente, un ruolo molto significativo ha avuto il seminario sul impegno dei leader religiosi nel prevenire la sfida dell’estremismo violento”.
Invece, non molta informazione è stata registrata sul referendum costituzionale che si è svolto in Armenia la prima settimana del dicembre scorso. Una delegazione del Consiglio d’Europa ha espresso profonda preoccupazione per la deriva autoritaria in corso nella Repubblica di Armenia. Nel Paese non si è svolto un dibattito pubblico e il referendum ha confermato i cambiamenti costituzionali chiesti dal governo, nonostante abbia partecipato alle consultazioni meno del 50 per cento della popolazione. La delegazione del Consiglio d’Europa denuncia i contenuti referendari, che rappresentano più gli interessi dell’attuale classe dirigente politica che le esigenze della popolazione. Il referendum prevede il passaggio istituzionale da una Repubblica presidenziale ad un sistema centralistico e per molti osservatori non raffigura altro che un mezzo dell’attuale presidente per restare al potere, dopo la conclusione del suo secondo, e doveva essere l’ultimo, mandato. Si sono registrate proteste da parte dell’opposizione e della società civile, per cui il governo dell’Armenia ha avviato le ostilità nella zona di conflitto per distogliere l’attenzione dai risultati del referendum e placare le proteste interne. Semplicemente dobbiamo invitare ad esercitare quel “diritto alla conoscenza” per una giusta e dovuta comprensione anche dei conflitti internazionali.
di Domenico Letizia