L’acqua è un obiettivo del terrorismo globale

venerdì 15 aprile 2016


Un bene essenziale

L’oro è da sempre simbolo di ricchezza. Non a caso da vari anni si parla del petrolio come di “oro nero”. Oggi la nuova fonte di ricchezza e di conflitto è bianca: l’acqua, ovvero, “l’oro trasparente”. Nonostante il nostro pianeta ne sia in gran parte ricoperto, molti Paesi sono privi di questa risorsa vitale. A causa dei cambiamenti climatici, della carenza di acqua e dei periodi di siccità sempre più frequenti, anche territori con abbondanza di fiumi e laghi stanno scontando il problema della penuria di acqua. Avere abbondanza di un bene, non significa averlo a disposizione per sempre. Per cui è opportuno tutelare un bene come l’acqua. È urgente pensare a un miglior utilizzo dell’acqua. Facciamo un esempio: in Italia chi ha un giardino lo annaffia con acqua potabile che, una volta bagnata l’erba, torna nuovamente nella falda dalla quale è stata prelevata. In molti Paesi per attività di questo genere si usa la cosiddetta “acqua civile”, cioè un’acqua non potabilizzata che potrebbe essere utilizzata anche per la doccia. Ma tutto questo pare lontano anni luce dalla nostra mentalità, per cui continuiamo a costruire case con un’unica conduttura. La soluzione? Quando si costruisce una casa o la si ristruttura, si dovrebbe prevedere una doppia conduttura per l’acqua civile e alimentare o predisporla per il collegamento al teleriscaldamento: il costo sarà decisamente limitato rispetto ad un intervento su un immobile vecchio.

Come ormai è risaputo nel mondo ogni anno muoiono 29 milioni di persone per eccesso di cibo e 36 milioni per la sua mancanza. Sono 155 milioni le persone obese o in grave soprappeso e 145 milioni coloro che soffrono di sottoalimentazione. Mentre il Terzo mondo lotta contro carestie, fame e povertà, in Occidente si mangia troppo e male e si registra un forte aumento di alcune patologie croniche, come le dislipidemie, il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di tumore, che aumentano i fattori di rischio per la salute dell’uomo e rappresentano un enorme peso socio-economico per la collettività. Dieta e abitudini motorie interagendo con fattori di carattere genetico, ambientale e socio-culturale, assumono un ruolo d’assoluto rilievo. Inoltre, strettamente legato a questo dato è lo spreco alimentare mostruoso che avviene nelle nostre case. Basti pensare che ogni anno in Italia una famiglia in media butta 49 chili di cibo, per disattenzione o negligenza nella gestione della spesa. Una quantità di cibo che, ogni anno, viene acquistato, riposto in frigorifero o nella dispensa, ma poi finisce direttamente nella spazzatura senza essere consumato. Così finiscono in discarica 1,19 milioni di tonnellate di alimenti. Uno spreco che ammonta a circa ben 7,65 miliardi di euro l’anno, 316 euro per ciascuna famiglia. E l’acqua sprecata per produrre cibo che non sarà mai consumato? Solo nel 2012 ne sono stati usati inutilmente 1.226 milioni di metri cubi, pari al 2,5 per cento della portata annua del Po. E di questi ben 706 milioni sono andati persi lungo la filiera alimentare, ancora prima di arrivare nelle case. Insomma, diamo scioccamente sempre tutto per scontato. Pensiamo che le risorse naturali non abbiamo mai fine. L’altro tasto dolente è quello degli acquedotti. I più recenti in Italia sono stati costruiti negli anni Cinquanta e Sessanta, la maggior parte sono stati costruiti tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Non è difficile immaginare che le loro condutture sono ridotte a veri e propri colabrodo. Il risultato è che, su una gran parte del territorio nazionale, oltre il 40 per cento dell’acqua si perde nelle falle delle canalizzazioni. Questo è un problema cruciale in quanto nel futuro prossimo è previsto un aumento esponenziale del costo dell’acqua e, per contenere tali costi, bisognerebbe avere acquedotti che non perdano neppure una goccia d’acqua.

Acqua, bene comune

Spesso in interi quartieri delle nostre città l’acqua non viene erogata. In alcune zone interne della Sicilia, ad esempio, ci sono Paesi che devono usare l’acqua con molta moderazione e spesso in estate viene distribuita con autocisterne. E spostandoci un po’ più a Sud, ancora oggi in molti Paesi dell’Africa il problema della carenza dell’acqua è permanente. Le donne e i bambini devono percorrere molta strada per riempire i contenitori di acqua per poi usarla “a gocce”. In alcune regioni del mondo, la scarsità d’acqua potrebbe diventare una fonte importante di instabilità economica e politica. I Paesi con una rapida crescita demografica e con fonti di approvvigionamento idrico molto limitato sul proprio territorio nazionale devono affrontare quotidianamente il problema. In queste zone la disponibilità d’acqua potabile, reti fognarie, servizi igienici è ancora molto lontana da uno standard accettabile, soprattutto nelle aree rurali, dove meno del 60 per cento della popolazione dispone di acqua potabile e meno della metà di servizi igienici. Tutto questo determina un alto tasso di mortalità. Non a caso, l’età media di un cittadino europeo arriva intorno agli 80 anni (Sogeas)), mentre laddove si fronteggia la penuria di acqua l’età media si aggira intorno ai 40 anni (Sogeas). Detto questo, altro aspetto di drammatica attualità è il tema della protezione dei siti e di tutto quello che riguarda questo settore.

Acqua, bene strategico

La principale fonte di vita dell’umanità si sta trasformando in una risorsa strategica al centro di interessi geopolitici. La sua “rarità” e il suo valore crescente porteranno a conflitti internazionali per la sua attribuzione. Mancano regole di diritto internazionale per la gestione dell’acqua e la sua difesa come bene comune. Prevale invece un approccio della libera regolamentazione del mercato. Il controllo dei bacini idrografici potrebbe far scoppiare, in qualunque momento, un conflitto armato in zone dove già si registrano tensioni politiche fra Paesi. Ecco una mappa dei “punti caldi” dell’acqua nel globo terrestre.

Uno dei possibili scenari di conflitto per il controllo delle risorse idriche è il Medio Oriente. Le acque contese sono quelle del fiume Giordano e dei pozzi sotterranei della Cisgiordania, dai quali dipende il mantenimento dall’agricoltura e dell’industria israeliana. Solo il 3 per cento del bacino del Giordano si trova in territorio israeliano, ma Israele ne sfrutta il 60 per cento della portata a scapito dei suoi vicini libanesi, siriani, giordani e, ovviamente, palestinesi. La guerra dei Sei Giorni del 1967 (quella in cui Israele occupò le Alture del Golan e la Cisgiordania), permise allo stato ebraico di avere anche il controllo sulle risorse d’acqua dolce del Golan, sul Mare di Galilea e il fiume Giordano. Lo storiografo Ewan Anderson ritiene che “la Cisgiordania si è trasformata in una fonte di acqua indispensabile per Israele, e si potrebbe dire che questa questione pesa ben più di altri fattori politici e strategici”. Secondo i dati della relazione “Acqua e conflitto arabo-israeliano” (Osservatorio-EcoSitio del 16-5- 20069), mentre ai palestinesi non è permesso scavare pozzi che superino i 140 metri di profondità, quelli israeliani possono arrivare fino a 800 metri. Il risultato è che le popolazioni palestinesi hanno accesso solo al 2 per cento delle risorse idriche della regione. L’acqua è dunque una questione chiave nel processo di pace del Medio Oriente. Un’altra zona di bacini idrografici in cui è in gioco la sicurezza internazionale è quella del Nilo, che attraversa dieci Paesi africani: Etiopia, Sudan, Egitto, Uganda, Kenya, Tanzania, Burundi, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo ed Eritrea. Le acque di questo storico fiume hanno un bacino di utenza che nel 2025 potrebbe arrivare a 859 milioni di persone. Secondo la Fondazione per l’Investigazione delle Scienze, la Tecnologia e la Politica delle Risorse Naturali, il Nilo Bianco (che nasce in Burundi) e il Nilo Azzurro (che nasce in Etiopia) sono stati motivi di tensione permanente tra Egitto, Etiopia e Sudan. Nel 1970 l’Egitto finì la costruzione della diga di sbarramento di Assuan che determinò lo sfollamento di 100mila sudanesi e la conseguente tensione fra i due Paesi. In seguito l’Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese paralizzò la costruzione del canale di Jongle, un progetto d’ingegneria egiziano-sudanese. Negli anni Sessanta l’Egitto bloccò l’approvazione di un prestito internazionale per la costruzione di 29 dighe per uso idroelettrico e per l’irrigazione sul Nilo Azzurro per l’Etiopia, progetto che avrebbe ridotto di un 8,5 % la capacità dei bacini artificiali egiziani. Nel 1999 si è svolta in Tanzania un’apposita conferenza regionale sulle questioni delle Acque della Foce del Nilo. I dieci stati partecipanti hanno sottoscritto un accordo strategico per superare i loro conflitti: un piano per “ottenere uno sviluppo socioeconomico sostenibile mediante l’utilizzo equo delle risorse idriche, riconoscendo i diritti di tutti gli stati costieri all’utilizzo delle risorse del Nilo per promuovere lo sviluppo dentro le sue frontiere”.

Un altro focolaio di conflitti per il controllo del prezioso liquido si trova nella regione dell’Anatolia, dove Turchia, Iraq e Siria condividono il corso dei fiumi Tigri ed Eufrate. A questo proposito il governo turco (al 3°Forum Mondiale dell’Acqua.Citta del messico marzo 2006) afferma che “l’acqua è nostra quanto il petrolio iracheno è dell’Iraq”. Il conflitto tra l’esercito turco e i militanti curdi ha spinto il primo ministro turco a minacciare la Siria, nel 1989, di tagliare il rifornimento d’acqua se non avesse espulso dal suo territorio i gruppi insorti del PKK che lottavano per il Kurdistan, uno stato curdo. Nel 1990 la Turchia finì la diga di Ataturk, che travasa acqua verso il sud della Turchia per irrigare 1,7 milioni di ettari di terre coltivate. Si teme che nel futuro la portata delle acque dell’Eufrate in Iraq cali dell’80/90 per cento. Per quanto riguarda l’Iraq, durante il ,quinto Forum Mondiale dell’Acqua (Fma) è stato reso noto che “le strutture idriche in Iraq, in seguito all’occupazione delle truppe statunitensi, britanniche e di altri Paesi, hanno sofferto gravissimi danni, anche se avrebbero dovuto essere protette dalle leggi internazionali”.

Il pericolo

I tragici eventi dell’11 settembre 2001, hanno indotto in primo luogo il governo statunitense e tutti gli enti internazionali responsabili per la tutela della salute a rafforzare gli strumenti operativi di sicurezza con lo strascico polemico di tutto quello che è successo con il “Grande Fratello” che tutto ascolta e lo scandalo Nsa. Ma in questi ultimi tredici anni abbiamo assistito alle varie trasformazioni del terrorismo internazionale. Oggi abbiamo strutture criminali che traggono forza e ispirazione da altre organizzazioni che dal Mali alle Filippine si sono rese protagoniste di massacri e attentati in nome della Jihad. Ormai troviamo Al Qaeda nel Maghreb Islamico (la cui influenza è in ascesa tra Libia, Algeria, Mali e Niger), poi nello Yemen, Penisola Arabica, in Afghanistan e in Pakistan. L’Is, o meglio, Daesh, che vuole trasformarsi davvero in uno Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Siria ) e andare oltre, molto oltre... E ancora: Al-Shabaab in Somalia, Jamaah Islamiyah in Indonesia, Tailandia e Filippine. E migliaia e migliaia di “cani sciolti” che vedono nel progetto del Califfato, l’Isis appunto, e nella sua efficacia comunicativa – un astro da seguire.

Ma ancor più subdolo è il nascente terrorismo “molecolare” come viene oggi definito dalla nostra Autorità Delegata per la Sicurezza della Repubblica, che deve portare ad intensificare ancor di più tutti i governi e le strutture interessate a individuare ulteriori strumenti operativi per proteggerci da queste minacce. E’ necessario investire in sicurezza senza indugiare oltre! Bisogna rafforzare gli strumenti di tutela ed elaborare nuove strategie per prevenire e contrastare i rischi e mitigare gli effetti di attentati realizzati mediante la diffusione intenzionale di agenti biologici, chimici e fisici tra la popolazione anche tramite la contaminazione di sorgenti, depositi, dighe, acquedotti ecc. ecc.. Le organizzazioni statunitensi risultano in prima linea in questo tipo di azione e numerose utili informazioni sono reperibili in rete su molti siti istituzionali, tra i quali quelli dell’Awwa (American Water Works Association) Research Foundation, o dello Us Army Center for Health.

Oltre al Medio Oriente e al Nord Africa, ci sono poi altri luoghi del pianeta con tensioni “di bassa intensità” fra più Paesi per l’utilizzo dell’acqua. Si tratta di Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, gli stati bagnati dal Syr Daya (il fiume che affluisce nel Mare di Aral), Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam (che condividono il fiume Mekong sfruttatissimo per la pesca). Sopravvive la Commissione del Fiume Indo, nonostante il permanente dello stato di tensione militare tra India e Pakistan. È utile segnalare, tra tutte, l’azione intrapresa dall’Epa con la recente pubblicazione di una serie di protocolli per la gestione degli eventi di contaminazione intenzionale di sistemi idrici. A livello di Unione europea sono state emesse diverse comunicazioni della Commissione, la prima del 28 novembre 2001, intitolata “Protezione civile − Stato di allerta preventiva per fronteggiare eventuali emergenze”, e la seconda dell’11 giugno 2002, intitolata “Protezione civile − Progresso nell’attuazione del programma di predisposizione ad eventuali emergenze”.

Più di recente è stata presentata una comunicazione sulla cooperazione nell’Ue in materia di predisposizione e reazione agli attentati biologici e chimici (sicurezza sanitaria 3). Quest’ultima riguarda gli aspetti sanitari dell’attività dell’Ue contro il bioterrorismo e descrive le misure prese dai ministri della Sanità e dalla Commissione per potenziare le difese sanitarie contro il rilascio intenzionale di agenti biologici e chimici e i loro sforzi di coordinamento a livello di Unione europea. Per accrescere la sicurezza e la fiducia nell’individuazione tempestiva di agenti infettivi e sostanze tossiche, nel contesto del programma di sicurezza sanitaria vengono promossi i sistemi a barriere multiple, l’utilizzo di marcatori adeguati nei punti chiave nonché l’instaurazione e il rispetto del sistema Haccp da parte dei fornitori.

Sul piano nazionale, in collaborazione tra ministero dell’Interno, ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Federgasacqua, mediante una serie di incontri tecnici e seminari, sono state individuate alcune strategie operative e possibili misure per la prevenzione di possibili attentati biologici e chimici dei sistemi acquedottistici, con particolare riferimento alle realtà locali.

Insomma, oltre alla prevenzione se vogliamo evitare nuove guerre, i Paesi che condividono corsi d’acqua dovranno imparare a condividerli e a proteggerli con l’aiuto della comunità internazionale, affinché “l’oro trasparente” non sia causa delle guerre già scatenate dall’”oro nero” e soprattutto non diventi facile obiettivo del terrorismo internazionale.

 

(*) Dirigente d’azienda, docente a contratto in Scienze criminologiche per la difesa e la sicurezza


di Biagino Costanzo (*)