Provaci ancora, Barack

giovedì 31 marzo 2016


Matteo Renzi incontrerà Barack Obama a margine del vertice internazionale sulla sicurezza nucleare, convocato a Washington per domani. È scontato che il presidente americano riaprirà il dossier libico. La Casa Bianca non accetta che l’inquilino di Palazzo Chigi possa continuare a fare il pesce in barile sulla crisi del Paese nord- africano nel quale sta crescendo la presenza dell’Is per effetto del principio fisico dei vasi comunicanti. Le sconfitte che le milizie jihadiste stanno subendo in Siria e in Iraq le spinge ad insediarsi in luoghi più ospitali dove poter continuare la guerra all’Occidente. E la Libia, che di fatto è nella totale anarchia, si presta perfettamente a interpretare il nuovo scenario. Lo “scatolone di sabbia” è ricco di materie prime. Mettere le mani sul petrolio e sui metalli preziosi di quella terra significherebbe assicurarsi una considerevole fonte di reddito da destinare al finanziamento della guerra globale. Inoltre, sulle sue coste prolifera il lucroso business del traffico di migranti. Averne il controllo consente non soltanto di gonfiarsi le tasche di denaro, ma anche di poter infiltrare in Europa colonne di combattenti in grado di agire dietro le linee nemiche.

Ora, la situazione in Libia stride con l’ambizione di Obama a concludere il suo secondo mandato presidenziale con un successo vero nella lotta al terrorismo jihadista. Ma, per poterlo ottenere, ha bisogno dell’aiuto italiano. Aiuto che il nostro pavido Renzi continua a negargli. C’è poco da fare, il governo di centrosinistra ha paura di accollarsi il peso di un intervento serio nella crisi libica. Per mesi Palazzo Chigi e, di conserva, la Farnesina, si sono nascosti dietro la foglia di fico della preventiva costituzione in loco di un governo di pacificazione nazionale quale condicio-sine-qua-non per la partecipazione ad un’azione militare sul suolo libico. Lo hanno detto ben consapevoli che sarebbe stata una premessa irrealizzabile. I libici si stanno scannando tra loro e non hanno la benché minima intenzione di mettersi d’accordo.

Nel frattempo, con l’arrivo della bella stagione e la contestuale chiusura della rotta balcanica, una massa gigantesca di migranti si prepara ad invadere l’Italia dalle spiagge della Libia. Stando così le cose, Obama sa di non avere più tempo per star dietro alle furbizie del partner italiano. Quindi non è escluso che, nell’incontro di domani, userà toni meno amichevoli del solito. I ragazzi della Via Pàl, insediati a Palazzo Chigi, sentendosi scaltri come volpi del deserto, avevano creduto di prendere per il naso gli yankees con la storia della rivendicazione della leadership della missione. Invece, gli americani hanno rispedito al mittente la furbata rispondendo positivamente alla pretesa italiana. Se non fosse drammatica, la situazione sarebbe ridicola: c’è un Paese, l’Italia, che ha chiesto e ottenuto la guida di un intervento che, però, rifiuta di compiere. Per Renzi e soci si tratta della patetica sorte toccata al suonatore che andò per suonare e fu suonato. Per placare l’ira di Barack, Matteo il chiacchierone ha escogitato l’ennesima trovata: l’impiego di un gruppo di Tornado, un sommergibile d’appoggio e alcune unità delle truppe d’élite per blitz mirati e sporadici. In concreto: niente boots on the ground, nessun dispiego di mezzi e di uomini in grande stile. Più della sicurezza dell’Occidente, più degli interessi di lungo periodo del nostro Paese, più del futuro della Libia, più della stima del suo mito Obama, Renzi tiene a non rompersi le ossa alle prossime elezioni amministrative. Anche i sampietrini di Roma sanno che il Premier ha una paura del diavolo a mandare al voto gli italiani nel bel mezzo di un’azione bellica nella quale siano coinvolte le nostre forze armate. Ma l’incavolato Obama si accontenterà della soluzione al ribasso che l’amico Renzi gli sventolerà domani sotto al naso?


di Cristofaro Sola