venerdì 25 marzo 2016
No, non è l’Isis, non sono le milizie sciite a scatenarsi. È la diga di Mosul, la più grande dell’Iraq, che con il suo possibile crollo potrebbe provocare milioni di morti. Gli esperti sono preoccupati del fatto che la catastrofe possa consumarsi in primavera, quando le nevi si scioglieranno causando un aumento incontrollabile della pressione dell’acqua.
Costruita frettolosamente in tempo di guerra all’epoca di Saddam Hussein da un consorzio italo-tedesco, la diga di Mosul si trova lì dov’è perché uno dei compari di Saddam era originario del posto e aveva usato le sue conoscenze, nonostante gli ingegneri sapessero fin dall’inizio che la sua porosa base di gesso non avrebbe potuto sostenere il peso di una struttura così enorme. Quella che fu poi chiamata diga di Saddam venne inaugurata nel 1984 e nel giro di due anni ha avuto costante bisogno, giorno e notte, di grouting ossia iniezioni di cemento ad alta pressione – ne sono state infiltrate più di 90mila tonnellate nel corso dei decenni – per evitarne il crollo. Le iniezioni di cemento servono a consolidare le fondazioni, ma non risolvono il problema.
Col passare degli anni, per fortuna, non c’è stato alcun disastro sotto il controllo americano. Poi, durante i fatidici dieci giorni del 7-17 agosto 2014, lo Stato islamico (Isis) ha preso il pieno controllo della diga. Il gruppo non ha sabotato né ha fatto saltare in aria la struttura, ma per sei settimane il grouting è stato sospeso e non sono state effettuate riparazioni. Pertanto, nel corso degli ultimi 19 mesi, la diga è diventata sempre più instabile fino al punto che gli esperti temono che un aumento delle acque per il disgelo delle nevi causerà il crollo della struttura. Il fatto che le due “saracinesche” di scarico siano rotte e non possano essere aperte per ridurre la forte pressione rende la situazione ancora più preoccupante.
Le conseguenze di un crollo sono terrificanti: un muro d’acqua di circa 14-21 metri raggiungerebbe nel giro di quattro ore Mosul, una città di quasi un milione di abitanti. Poi, l’onda di piena proseguirebbe lungo la valle del fiume fino a travolgere altre città inclusa la capitale Baghdad, prima di inondare catastroficamente tutto. Questo causerebbe una perdita significativa di vite umane cui farebbero seguito aridità, malattie, mancanza di acqua potabile ed elettricità, caos e criminalità, assicurando calamità e morti di portata biblica. Per anni, le ordinarie iniezioni di cemento e le sconsiderate rassicurazioni hanno mascherato la precarietà della diga di Mosul. Ma gli accresciuti allarmi lanciati dal governo americano dall’inizio del 2016, che si basano principalmente sulle stime del genio militare statunitense, sembrano aver finito per aver aperto gli occhi agli iracheni sui rischi che corrono. L’ambasciata americana a Baghdad ha anche diffuso un’insolita “scheda informativa sulla gestione dell’emergenza della diga di Mosul” contenente i consigli (purtroppo solo in inglese) sulle misure di evacuazione, le esigenze educative e le operazioni di soccorso.
Al contrario, il governo iracheno non fa che rassicurare in modo disonesto che non c’è alcun problema. Secondo Mohsen al-Shimari, ministro delle Risorse idriche dell’Iraq e responsabile della diga, “il pericolo non è imminente, è lontano. Il pericolo è solo una possibilità su mille” (di per sé, un rischio non accettabile). Oppure egli insiste a dire che la diga di Mosul “non è più” in pericolo delle altre dighe. Altre volte, Shimari afferma che “non c’è alcun problema nella diga che può portare al crollo”. Si noti l’incoerenza, segno di falsità.
In linea con questa irresponsabile noncuranza, nonché criminosa, le autorità irachene non hanno fatto pressoché nulla per prepararsi a un possibile crollo. Sì, è vero, esse sostengono che esiste un piano di emergenza, ma nessuno lo ha mai visto, e men che meno si è conoscenza dei suoi dettagli; pertanto, che utilità può avere in tempo di crisi? Sì, è stato firmato un accordo da 300 milioni di dollari con la Trevi, la compagnia italiana che ha vinto l’appalto per i lavori di riparazione e manutenzione della diga, ma questo è un palliativo non una soluzione a lungo termine.
A peggiorare le cose, Mosul, la città che è più vulnerabile all’inondazione causata dal cedimento della diga, è sotto il controllo dell’apocalittico Stato islamico, il cui disprezzo per la vita umana e l’estrema ostilità verso il mondo esterno vanificano la pianificazione della gestione della crisi e gli aiuti internazionali. Ma in questo c’è un risvolto positivo: il regime mostruoso dell’Isis ha causato un calo della popolazione urbana che è passata da 2 milioni e mezzo di due anni fa a circa un milione di abitanti, e questo riduce il numero delle potenziali vittime in loco.
Ipotizzando che la diga resista al disgelo di quest’anno, esiste un’unica soluzione a lungo termine: completare la diga di Badush a valle della struttura pericolante che mitigherebbe le conseguenze di un crollo. Questa seconda diga, i cui lavori di costruzione sono iniziati nel 1986 e poi interrotti nel 1990, costerebbe 10 miliardi di dollari, che il governo iracheno non può permettersi di sborsare. Ma questa dovrebbe essere la massima priorità del Paese.
(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Daniel Pipes (*)