L’Armenia e le minacce all’attivista Vanyan

martedì 15 marzo 2016


Un Paese molto vicino all’Italia, storicamente culla del cristianesimo, che dovrebbe condividere valori europei, nasconde casi ignoti di intimidazioni e minacce. Il regista teatrale e attivista per i diritti umani e per la pace, Georgi Vanyan, merita estrema attenzione da parte della stampa e dell’informazione occidentale. Vanyan è il presidente di un’organizzazione non governativa “Centro di Iniziativa per la pace del Caucaso” (Ccpmi) con sede nella capitale armena, Jerevan, che dal 2003 intraprende una serie di progetti e iniziative volte a sostenere un dialogo nonviolento tra la società armena e la società azera e per un processo di riconciliazione tra Armenia e Turchia. Tale attività non è gradita dalle autorità armene che con il sostegno di gruppi ultranazionalisti hanno minacciato di morte il regista che ha deciso di fuggire ad Amburgo per evitare ripercussioni e violenze.

All’inizio di marzo di quest’anno, Georgi Vanyan ha accettato l’ospitalità offertagli in Germania, per un anno, dalla Fondazione a sostegno delle persone perseguitate per motivi politici (Hamburger Stiftung fur politisch Vertolfte). I nazionalisti simpatizzanti dell’attuale governo armeno insieme con le forze ultranazionaliste non governative da tempo minacciano di morte l’attivista pacifista. Nel 2012, Vanyan fu tra gli organizzatori di un festival per la pace sostenuto e coordinato da organizzazioni inglesi, americane e tedesche, ma a causa delle minacce e della propaganda nazionalista filo-armena, il festival venne cancellato. Anche nel 2007, l’organizzazione di Vanyan sostenne e progettò un’iniziativa culturale intitolata “Giorni dell’Azerbaigian” in una scuola di Jerevan.

L’evento fu finanziato dall’Ambasciata britannica e non aveva precedenti nel paese armeno, che continua a conservare rancori nei confronti del vicino Azerbaigian, ma fu bloccato da un gruppo di blogger e attivisti nazionalisti. Minacce di morte non sono una novità per Vanyan. Da anni si svolge una campagna di diffamazione da parte dei media locali armeni che utilizzano l’etichetta di “traditore” per descrivere le attività e le idee pacifiste di Georgi Vanyan. Gli sono state rinfacciate come sovversive perfino le regolari interviste rilasciate ai media azeri, nonostante Vanyan non sia l’unico attivista armeno a rilasciare interviste per la parte “avversa”. Ad aumentare l’acredine armena contro Vanyan c’è anche la sua posizione nei confronti del genocidio di Khojaly - quando, tra il 25 e il 26 febbraio 1992, le truppe armene assalirono la città azerbaigiana causando più di 600 vittime tra i civili. Lo stesso Vanyan ha definito il genocidio d Khojaly un crimine contro l’umanità, augurandosi che i colpevoli un giorno siano in Tribunale. “In Armenia - ha dichiarato - c’è un tabù a parlare di Khojaly”. Tale situazione non l’aiuta poiché tra gli autori del massacro ci sono esponenti attuali delle istituzioni armene.

Nel corso di un dibattito pubblico, Georgi Vanyan con enfasi ha dichiarato: “Armeni e azeri sono prima di tutto esseri umani e hanno un fondamentale desiderio di pace. Ciò che dobbiamo fare è rendere pubblico questo desiderio e dare inizio ad una discussione aperta. Invece di organizzare seminari, parliamo alle persone al mercato o nei centri culturali. Per questo speriamo che eventi come il nostro festival del cinema possano avviare una discussione nella società”. Una discussione che a partire dal “conflitto freddo” del Nagorno-Karabakh, le autorità armene sembra che non vogliono intavolare.

L’anno scorso, marzo 2015, il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, nel rendere pubblico il rapporto sui diritti umani in Armenia ha sottolineato come tra le problematiche vi sia proprio quello del rapporto tra il non processo equo per i dissidenti, e non, e una parzialità della magistratura: “In Armenia c’è un generale problema di parzialità delle Procure, e di predominio delle Procure stesse all’interno del sistema. Devono essere rafforzate le prerogative della difesa nel quadro di un processo equo. Ci sono anche problemi di giustizia selettiva o politicizzata. Parliamo però soprattutto di una media di assoluzioni, per l’Armenia, intorno al 3 per cento, cioè molto bassa. Ci sono poi legami molto stretti tra procuratori e giudici, spesso un procuratore diventa giudice. In generale, il ruolo della difesa nel sistema è estremamente debole”.


di Domenico Letizia