Il rischio della Tunisia

giovedì 10 marzo 2016


Ben Guerdane è una cittadina del sud della Tunisia, nel governatorato di Médenine, la più lontana dalla capitale Tunisi, dalla quale dista cinquecentosessanta chilometri ed a soli 32 chilometri dal villaggio libico di Ras Ajdir, proprio sul confine tra i due Stati. Era nota nel passato per il grande numero di cammelli che vi vivevano, 15mila esemplari su una popolazione di ottantamila anime, e per il festival che si teneva nel mese di giugno e che attirava appassionati e commercianti di dromedari da tutti i Paesi arabi.

Gli uomini di Ben Guerdane, i “Touazini” in dialetto arabo, sono sempre stati considerati fieri combattenti e hanno dimostrato il loro valore di guerrieri nelle tante occasioni nelle quali hanno respinto con successo gli attacchi dei predoni stranieri. Anche ai giorni d’oggi i Touazini vengono portati ad esempio, nel mondo dell’estremismo arabo, come temerari guerriglieri d’altri tempi. Il mito è così cresciuto tanto da far dire nella primavera del 2004 - dopo la battaglia di Falluja, combattuta duramente per settimane tra le truppe americane e gli insorti iracheni - da Abu Musab al-Zarqawi, il sanguinario terrorista giordano, capo di Al Qaeda in Iraq e ispiratore di Daech, ucciso nel 2006 dai Navy Seals della Marina statunitense, che se la città di Ben Guerdane fosse stata nei pressi, Falluja non sarebbe mai caduta e l’Iraq sarebbe stato liberato dai coraggiosi combattenti Touazini.

Devono dunque aver pensato al grande impatto mediatico che avrebbe avuto nel mondo arabo, i terroristi di Daech che l’altro giorno, mentre i due nostri connazionali liberati in Libia dopo otto mesi di sequestro rientravano in Italia, hanno attaccato in forze, a bordo di numerose jeep, le caserme dell’esercito nella zona di Jallel, alla periferia della città, e i commissariati della polizia e della Guardia nazionale nel centro di Ben Guerdane. Almeno ventuno i terroristi uccisi e molte le vittime anche tra soldati, poliziotti e civili. La gran parte dei guerriglieri jihadisti, che indossavano tute mimetiche ed erano armati pesantemente e ben organizzati, sarebbero di nazionalità tunisina e forse qualcuno tra loro anche originario di Ben Guerdane. Non è la prima volta che gli jihadisti di Daech attraversano facilmente la frontiera con la Libia e compiono azioni di stampo terroristico in Tunisia. Veniva proprio dal confine di Ras Ajdir il commando che attaccò il museo del Bardo nel marzo del 2015, seminando la morte tra i turisti stranieri, tra loro anche quattro italiani, e così anche Seiffedine Rezgui, il terrorista che colpì il resort turistico di Sousse nel giugno dello scorso anno.

Eppure il primo ministro tunisino Habib Essid, nell’estate del 2015 annunciava con orgoglio la costruzione di un muro, fatto di sabbia e di fossati scavati nel deserto, che avrebbe dovuto sigillare 196 chilometri della frontiera con la Libia, a partire dalla costa, con stazioni di controllo a intervalli regolari. Il “vallo di Essid”, come è stato denominato non senza ironia da alcuni giornali di Tunisi, è stato ultimato dai genieri dell’ esercito tunisino nel febbraio scorso. Con il muro sono certamente diminuiti i numeri dei passaggi clandestini degli jihadisti nei due sensi, che nel corso del 2013 erano arrivati anche a centinaia al giorno. Anche dalla parte libica sono aumentati i controlli delle milizie vicine al governo autoproclamatosi di Tripoli. Ma il flusso non è mai stato interrotto del tutto: oggi i passaggi sono molto più difficili, ma i jihadisti continuano ad andare e venire, utilizzando le vecchie strade e le compiacenze comprate dei contrabbandieri, tunisini e libici che vivono nei villaggi a cavallo della frontiera.

Il governo tunisino ha rafforzato il dispositivo di sicurezza alla frontiera inviando reparti scelti dell’esercito e della polizia e sono stati anche dispiegati elicotteri e arei di ricognizione. Ma il muro, in realtà, sembra estremamente facile da attraversare e da aggirare e ancor più facile è passare semplicemente la frontiera al valico controllato di Ben Guerdane e Ras Ajdir. Da lì infatti con una semplice carta d’identità transitano decine di giovani tunisini, non ancora identificati come jihadisti, senza che nessuno li fermi. E tanti, diverse migliaia, sono inoltre i jihadisti che già si trovano sul suolo tunisino, tornati dalle zone di guerra dell’Iraq, della Siria e della Libia, che si sono rasati la barba e si sono nascosti, pronti a colpire di nuovo: sarebbero, poi, più di 5mila i cittadini tunisini che ancora combattono nelle file di Daech in Siria, Iraq e Libia e che presto proveranno a tornare nel loro Paese di origine, dove potrebbero compiere azioni terroristiche. Tra quelli che già vi vivono, nascosti, e quelli che vi torneranno, la Tunisia potrebbe scivolare in un vortice pericolosissimo. I jihadisti possono già contare su ingenti quantitativi di armi, sottratte dagli arsenali di Gheddafi, che sono state contrabbandate in Tunisia tra il 2011 e il 2013, approfittando di una certa tolleranza delle autorità tunisine del tempo.

L’episodio di Ben Guerdane, l’ultimo di una serie di scontri tra l’esercito tunisino e i miliziani di Daech lungo il confine, avvenuti nelle settimane scorse, può dunque essere un allarmante indicatore del deterioramento delle condizioni di sicurezza in Tunisia. Qualche analista pessimista arriva perfino ad azzardare il pericolo nel Paese di una rivolta jihadista, che potrebbe contare anche sul sostegno di numerose comunità musulmane estremiste, diffuse nelle città periferiche. E a pochi chilometri dal suolo tunisino, nella vicina Libia, si stima militino nelle file di Daech almeno 1000, 1500 tunisini e altri starebbero arrivando dalle brigate dell’Isis che si sono sciolte in Siria e in Iraq. Tra quelli jihadisti, i tunisini sono i più determinati e secondo alcune testimonianze anche i più violenti ed efferati. Se la comunità internazionale non interviene al più presto, al fianco delle autorità tunisine e in Libia, la minaccia dei jihadisti di Daech rischia di allargarsi come una macchia d’olio.


di Paolo Dionisi