Di Brexit in Grexit

martedì 23 febbraio 2016


Finita la farsa, (ri)comincia il dramma. Che non è la pur vergognosa pagina della trattativa con David Cameron che ha visto un’Europa sempre più caricatura di se stessa. Il vero dato politico del summit del 18 e 19 febbraio, chirurgicamente ignorato dalla maggior parte della stampa tradizionalmente asservita alle ragioni di Londra e dei suoi derivati, è, come ha titolato sabato le Monde, “la nuova tappa verso l’isolamento della Grecia”. La decisione dell’Austria di fissare unilateralmente delle quote d’ingresso - non più di 80 persone al giorno e un massimo di 3200 in transito verso la Germania – per i richiedenti asilo nel suo territorio, ha rimesso i 28 sulla graticola, anzi su un vulcano pronto a esplodere, come ha affermato una fonte del Consiglio.

E il Paese più vicino al cratere naturalmente è la Grecia, ormai prossima a una crisi umanitaria che potrebbe riconvertirsi e accentuare la sua crisi finanziaria, avvicinare il suo default e più in generale l’implosione di Schengen. Perché se a est gli Stati dovessero chiudere le frontiere in virtù dell’effetto domino potenzialmente scatenato da Vienna, è ora la grande paura di Merkel e Hollande, migliaia di migranti finirebbero “in trappola” in una Grecia già messa sotto pressione dall’incapacità di implementare quella riforma delle pensioni richiesta dai creditori internazionali (tra cui naturalmente c’è la Germania). La Macedonia, per esempio, sta cominciando a filtrare gli arrivi, e potrebbe pure decidere il bocco totale, magari sostenuta da altri Paesi come Polonia, Ungheria, Croazia e Slovacchia.

Il momento è delicatissimo, e un summit straordinario Ue-Turchia è calendarizzato per il 5 marzo a Bruxelles, nella speranza, ha detto la Cancelliera Angela Merkel, che per quella data Ankara avrà mostrato il suo impegno a diminuire i flussi di rifugiati in partenza verso la Grecia. La realtà, brutale, è che la solidarietà tra Stati membri nell’accoglienza ai migranti sta naufragando insieme alle speranze di migliaia di disperati. La terra promessa europea è sempre più divisa e impaurita da se stessa. “Invece di rafforzare gli aiuti umanitari, ci si volta dall’altra parte: l’Europa ormai ha dichiarato guerra ai rifugiati”, osserva il segretario generale della Ces, Luca Visentini. L’Ue, dunque, sta chiudendo le sue porte, osserva la Confederazione europea dei sindacati, perché i suoi leader hanno deciso che chi fugge da guerre e privazioni deve andare a vivere da un’altra parte. “Ecco perché stiamo riempiendo di soldi la Turchia”, rileva Visentini, “per tenerli lontani da casa nostra, ma quello che invece dovrebbe fare una seria comunità internazionale è di proteggere i rifugiati e non di respingerli o tenerli sull’uscio di casa. Ora che la gran parte dell’Ue non vuole più responsabilità, si fanno pressioni su Onu e Nato per aiutare la Grecia e il resto dei Balcani”.

Ed è proprio sull’immigrazione che il partito di David Cameron ha scelto di mettere le maggiori pressioni sul Consiglio, nella trattativa anti Brexit, riuscendo a bloccare quelli che secondo lui sono “gli abusi dei lavoratori europei che sfruttano il nostro sistema di welfare”. Il premier britannico ha ottenuto di poter limitare l'accesso ai benefici (spalmato su quattro anni) per 7 anni fino al 2024. Un vero e proprio “strappo” per l'Europa, che su questi temi non aveva mai ammesso discriminazioni. Cameron è riuscito anche a ottenere l'indicizzazione piena - anche se solo dal 2020 - degli assegni per i figli rimasti in patria dei lavoratori europei emigrati nel Regno Unito, che saranno pagati in base al reddito medio del Paese di residenza.

“Cameron ha avuto ciò che voleva - osserva Visentini - ma ora l’Ue deve evitare che queste stesse eccezioni e restrizioni si applichino agli altri Stati membri. I sindacati europei si batteranno per promuovere maggiori diritti sociali all’interno dell’Unione europea”. I lavoratori britannici, spiega la Confederazione europea dei sindacati, hanno diritto, come tutti i lavoratori comunitari, a una società giusta, a investimenti per un’occupazione di qualità, alla libera circolazione e all’uguaglianza di trattamento. E in questo senso, osserva il sindacato di Bruxelles, l’accordo Ue-Uk va esattamente nella direzione opposta, perché non riflette quel carattere di unità, giustizia e umanità dell’Europa che si dovrebbe tramandare alle giovani generazioni.


di Pierpaolo Arzilla