Gli scempi a Teheran ed i sorrisi a Roma

martedì 26 gennaio 2016


La giornalista Rai, in estasi, chiede all’amministratore delegato dell’Eni del ritorno trionfante dell’Iran sul mercato mondiale, che ha causato, secondo la giornalista, il crollo verticale del prezzo del petrolio. L’Amministratore dell’azienda più connivente con il regime dei mullà esita; è perplesso. Stenta a credere che un’esperta giornalista possa fargli una simile domanda. Indugia un poco e con una calma e languido diluisce l’entusiasmo ostentato perché fuori luogo, meglio moderare: “l’Iran potrà aumentare nei prossimi due tre anni di 500-600mila barili la sua esportazione di petrolio, però per far questo c’è bisogno di investire 100-150 miliardi di dollari che, visto il prezzo attuale del greggio, non è facile trovare”. La giornalista che mal cela il suo innamoramento verso il “moderato” Rouhani abbozza e passa ad altro. L’appeal del regime del velayat-e faghih infatua l’“antiamericanismo” del Manifesto che si posiziona alla destra de Il Sole 24 Ore nel difendere “l’occasione d’oro” che il mercato iraniano offre agli imprenditori. Sono decenni che il giornale di Confindustria tenta di costruire a fatica il suo castello sulle sabbie del regime liberticida dell’Iran, così anche il giornale comunista si cimenta a costruire il suo castello sul bagnasciuga del regime religioso.

Dei 100, 150, 200 miliardi di dollari iraniani - chi più ne ha più ne metta - che dovevano essere scongelati, il direttore della banca Centrale dell’Iran dice che si tratta di meno di 30 miliardi. Nel frattempo il ministro della Sanità del regime, Hassan Hashemi, nelle sue viste a Beirut e Damasco, dal 7 al 10 gennaio, ha promesso che Teheran avrebbe sanato il deficit della sanità di quei due paesi, e manterrà la promessa. John Kerry ha ammesso: “Sì, parte dei soldi dati all'Iran finiranno al terrorismo". Rouhani ha promesso una crescita del PIL del 5% per il 2016, ma non accadrà perché, affinché ciò avvenga, c’è bisogno di oltre 30 miliardi di capitale estero. In un regime dove neanche le ambasciate dei paesi stranieri sono immuni dalle aggressioni dei gruppi “deviati”, è ragionevole pensare che i capitali stranieri possano arrivare? In Iran oltre il 50% dell’economia del Paese è saldamente nelle mani di Khamenei attraverso fondazioni, holding e cooperative. Questa percentuale aumenta nel commercio con l’estero. Khamenei non ha alcuna intenzione di cedere il monopolio del potere di cui è il detentore assoluto. Per mantenere il suo potere genera crisi: l’attacco all’ambasciata saudita a Teheran, il sequestro dei marines nelle acque del Golfo persico, il rapimento di tre contractor americani nel quartiere di Dora a Baghdad sono chiari segnali di un regime che non può e non vuole avere altro atteggiamento che questo. La strategia della tensione è intrinseca al reazionario regime del velayat-e faghih che vuole, nel 21° secolo, domare un popolo dalla cultura millenaria. Il governo iraniano, di Khatami , Ahmadinejad o Rouhani, è privo di potere reale. Brilla solo della luce riflessa del leader spirituale quando lo incarica di trattare, come nel caso dell’accordo nucleare. In questo ruolo le vacue chiacchere di Zarif e Rouhani equivalgono alle stolte urla di Ahmadinejad. Il regime se vuole rispettare le leggi internazionali deve dapprima rispettare le sue leggi e il suo popolo. Oltre mille impiccagioni all’anno palesano soprattutto l’incapacità del regime teocratico di qualsiasi convivenza con le regole umane.

Calpestare, ignorare i diritti umani in Iran e le leggi internazionali fa parte della strategia del regime ed è del tutto fuori luogo aspettarsi altro. Le nuove sanzioni imposte a 11 società iraniane per i programmi balistici di Teheran, dopo la revoca di quelle sul nucleare, significano che l’Occidente tutto sommato è conscio della natura trasgressiva del regime. I governanti occidentali non possono non sapere che dalla guerra intestina tra le varie fazioni del regime, tra Rafsanjani e Khamenei, non arriverà mai nulla a favore dei diritti umani in Iran e al rispetto dei diritti internazionali. Un vero cambiamento in Iran avverrà solo dalla società civile e dalle forze democratiche di opposizione alla totalità di questo regime liberticida. Non certo Hassan Rouhani, uomo da sempre organico agli apparati della repressione, e Javad Zarif, uomo inventato dalle pesantissime lobby di regime, potranno dare risposte alle istanze democratiche di un popolo in lotta da più di un secolo per la libertà e i diritti. I governi occidentali sanno molto bene che il regime iraniano, con tutte le sue fazioni, non rappresenta il popolo iraniano, né politicamente né moralmente. Le elezioni farsa del regime non ingannano neanche un bambino. La crisi morale, che in questo momento stringe alla gola la politica in Occidente ed è la causa principale del profondo e diffuso malessere che ci investe, spinge i governi occidentali ad una insana connivenza con uno dei peggiori regimi religiosi. Sull’attendibilità morale degli imprenditori dei nostri giorni aspettiamo magari tempi migliori; è fresca la memoria delle risate di alcuni di loro tra le macerie del terremoto, con le vittime che vi giacevano sotto.

Stringere la mano di Rouhani, in Italia o in Francia, da parte delle autorità politiche o del Papa, è uno schiaffo a milioni di iraniani che a costo della vita si battono contro il regime per trovare la loro libertà. Difficile immaginare che in questi incontri si vada oltre le parole di circostanza, foglia di fico per coprire l’imbarazzo di ricevere il rappresentante di un regime despota e sanguinario. Di chiacchere abbiamo le tasche piene. La crisi che investe oggi questa parte del mondo, patria dell’ illuminismo e del progresso negli ultimi secoli, produce politici alla Ponzio Pilato che tutt’al più sono capaci di versare lacrime di coccodrillo, se proprio vogliamo credere alla loro sincerità. Il sole nasce dalle tenebre, dicono i persiani, che non perderanno la speranza di liberare la loro amata patria, anche senza il permesso del Grande Fratello.


di Esmail Mohades