Ma esiste davvero un Islam moderato?

venerdì 4 dicembre 2015


Da sempre l’Arabia Saudita ha agito come leader mondiale del proselitismo islamico. Quindi non c’è da meravigliarsi per quanto accaduto in Serbia, Kosovo, Macedonia, Albania, Montenegro, etc., dove a cavallo delle guerre “civili” a fine anni novanta, il numero di musulmani è nella sostanza decuplicato. Mandanti Sauditi offrivano il corrispondente di 1000$ a famiglia affinché inviassero i loro figli presso le locali scuole coraniche, da loro stessi impiantate. Già da allora, soprattutto in Europa, primi tra tutti i rappresentanti del clero cattolico, e in ambito NATO, si diceva: “Perché no”, è una religione monoteista moderata e rispettosa degli altri. I fatti, purtroppo, hanno dimostrato tutt’altra cosa. Senza citare la Serbia a causa di mancanza di dati certi, più di 100 jihadisti dello Stato Islamico (Daëch) sono rientrati in Kosovo, e in Macedonia ben 70 sono rientrati dalla Siria poco tempo prima degli attentati di Parigi. Se questi sono i dati ufficiali conosciuti dei paesi ex Iugoslavia, nessuno può ben chiarire il numero esatto di chi è andato in guerra a fianco Daëch. Guardando il fronte sud del Mediterraneo, la Tunisia e la Libia sono al primo posto come contributo partecipativo a Daëch, cui si vanno ad aggiungere le centinaia di “foreign fighters” europei, di seconda e terza generazione, di radici maghrebine.

La radicalizzazione del pensiero islamico si è progressivamente affermata nei paesi citati per matrici diverse. Nei Paesi ex Iugoslavia l’evento culminante è da attribuire a una visita fatta da Bin Laden (allora ancora nelle grazie degli USA) agli inizi degli anni novanta. Da quella data è nato il prolificarsi di gruppi fondamentalisti, che hanno dato poi origine ai flussi di Jihadisti per Daëch. Per il fronte Maghrebino, invece, la causa principale è da attribuire si all’Arabia Saudita, ma questa volta attraverso la stimata Università Islamica di Al Azhar di El Cairo, da cui, purtroppo ancora oggi, escono i migliori “teologi” islamici e una moltitudine di Imam, destinati al proselitismo sunnita in Africa e in Asia. Tra questi ultimi, per esempio in Tunisia, approfittando della Rivoluzione del 2011, molti radicali tunisini “brevettatisi” al Cairo o addirittura indottrinati da Imam di quella Università, hanno preso possesso delle migliaia di moschee costruite in quegli anni.

Vista la genesi del fenomeno jihadista, l’aspetto che preoccupa di più è l’instabilità politica che, in particolare in Tunisia e in Kosovo, è messa in serio pericolo dalla continua presenza, o dal temuto rientro, di Jihadisti che potrebbero destabilizzare ulteriormente la situazione. In Albania come in Kosovo, sono ben noti i legami tra gruppi ex jihadisti, ambienti criminali albanesi ed ex membri dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK). Questa mistura di persone, che a tutt’oggi sono perfettamente integrate nella società civile e non hanno dato in passato segni di devianza (se non le loro non documentate tradotte in Siria!), si può andare a sommare ai motivi di instabilità (economica, sociale e politica) che oggi è forte motivo di preoccupazione per il Governo di Pristina. La Tunisia è un caso a parte, dove secondo il quotidiano francese Le Mond, l’Europa ha tanto da imparare.

Il terrorismo islamico è un fenomeno da considerare endogeno nell’attuale configurazione sociale del popolo Tunisino. Soprattutto nelle arre interne, al confine con l’Algeria, il seme del terrore islamico ha trovato terreno fertile nella povertà e nella miseria delle locali popolazioni, in passato completamente abbandonate a loro stessi dalla dittatura al potere. Più di seimila Jihadisti sono partiti per la Siria e tra duemila e tremila per la Libia. Il rientro di questi elementi rappresenta ancor oggi motivo di forte preoccupazione per lo Stato che, da parte sua, continua a dimostrare una certa indecisione su quanto fare. I quattro anni di governo di El Nahdha, partito islamista (da noi chiamato “moderato”), ha fortemente inficiato l’organigramma di molti settori istituzionali, a cominciare dal Ministero degli interni, inserendo elementi di suo gradimento. A tutt’oggi, pur non avendo alcuna certezza di connivenze possibili tra gruppi Jihadisti e istituzioni, esistono perplessità su come alcuni quadri e dirigenti delle amministrazioni si comportano. Una sorta di sciopero bianco all’italiana maniera, che ha messo in seria crisi il sistema. Lo Stato d’Emergenza e il Coprifuoco notturno, dichiarato dal Presidente Essebsi, all’indomani del tragico attentato del 24 novembre all’autobus della Guardia Presidenziale con la morte di undici poliziotti, ha messo il Governo in condizioni di poter meglio controllare il territorio e quindi operare per annullare qualsiasi tipo di minaccia Jihadista. Ma, a differenza di quanto occorso in Francia, la popolazione civile in Tunisia non è al momento minacciata, tranne gli europei qui residenti. Da una parte, infatti, i mandanti degli attentati (Daëch e Al Qaeda Maghreb), così come manifestato negli attentati al Bardo, marzo 2015, e a Sousse, maggio 2015, non vogliono alienarsi la popolazione che sperano possa un giorno riunirsi alla loro causa. Dall’altra, però, si fa sempre più evidente un orientamento Jihadista anti-europeo e anti-occidentale in generale. Inoltre, così come i gruppi Jihadisti operanti in Tunisia vogliono dimostrare che sono più forti dello Stato, dichiarandosi pienamente in grado di colpire ovunque essi vogliono, la Tunisia, malgrado alcuni difetti "interni" palesati all’interno delle Forze di Sicurezza, ha dimostrato non solo di saper intervenire in tempo per sventare attacchi terroristici, ma che nel suo insieme l'azione dello Stato appare vincente.

Dal punto di vista politico, le divisioni all'interno del partito del presidente Beji Caid Essebsi, Nidaa Tounes, sono numerose. Gli oppositori della coabitazione tra Nidaa Tounes e il partito islamista An-Nahdha sono in questo momento in grado di manipolare come vogliono il dibattito politico. Alcuni di questi ritengono che il sistema politico e della pubblica amministrazione siano bloccati a causa di una "alleanza contro natura" tra islamisti e persone normali. Altri sentono che il potere politico è esercitato anche da un élite istituzionale ombra, veramente corrotta e quindi senza speranza di miglioramento, che esercita il proprio potere all’interno delle amministrazioni fungendo da cupola di un’organizzazione estremamente radicalizzata.

Questo spiega in parte il livello di de-politicizzazione manifestato ultimamente delle masse. Gli attacchi jihadisti in Tunisia, non hanno reso evidente soltanto il selvaggio e inumano comportamento dell’Islam deviato, ma, purtroppo, anche le oscuri e silenziose anomalie dei fiancheggiatori che, in tutto questo, non vedono altro che una la possibilità di guadagnare potere politico, spesso e sempre di più a titolo personale! Questa è la ragione principale per cui, nonostante le forti opposizioni, la Conferenza nazionale sulla Sicurezza, indetta dal 18 al 26 dicembre, si terrà. In quella sede tutte le componenti politiche della società tunisina saranno chiamate a mettere ben in evidenza la propria posizione e la propria identità nel sentirsi tunisini!


di Fabio Ghia