La Nato guarda a Sud: accolto il Montenegro

giovedì 3 dicembre 2015


Nessun ritorno al “business as usual” con la Russia. Il “fianco Sud” è pericoloso almeno quanto il fianco Est. Questa è la conclusione principale del vasto programma dell’incontro dei ministri degli Esteri della Nato a Bruxelles. Tanta carne al fuoco, tantissimo lavoro ancora da compiere da qui a luglio, quando i capi di governo dei paesi membri si incontreranno nel summit di Varsavia.

Sicuramente, il primo pensiero nella mente dei ministri degli Esteri riguardava il jet russo abbattuto dall’aviazione turca il 24 novembre scorso. Dopo che ai reporter è venuto un micro-infarto, quando si è diffusa la notizia (infondata) della chiusura degli Stretti da parte della Turchia, a mente fredda si è ragionato sull’incidente e sui possibili modi di uscire dalla crisi. La Nato è stata unanime a sostenere il suo alleato orientale. “Le informazioni che abbiamo sull’incidente – commenta il segretario generale Jens Stoltenberg – sono coerenti con la versione dei fatti fornita dalla Turchia. La Turchia ha diritto di proteggere la sua sovranità e il suo spazio aereo”. La Spagna fornirà batterie anti-missile e anti-aeree e la Danimarca le sue navi per la difesa della Turchia, mentre Usa e Gran Bretagna schiereranno forze aeree. La Germania non ha ancora confermato un suo impegno nell’area, attendendo un voto parlamentare. E gira voce (per ora solo sulla stampa turca) che anche l’Italia stia progettando l’invio di rinforzi, probabilmente sotto forma di batterie anti-aeree. “Nessun Paese può chiedere le nostre scuse. La nostra è stata un’azione difensiva. – aggiunge il premier turco Ahmet Davutoglu, nella conferenza stampa congiunta con Stoltenberg - Le nostre regole di ingaggio sono molto chiare e dichiarate in anticipo”. Davutoglu afferma che l’abbattimento del cacciabombardiere russo sia avvenuto dopo altre tre violazioni dello spazio aereo turco da parte dell’aviazione di Mosca “…e il confine turco-siriano è una questione di sicurezza nazionale prioritaria per la Turchia”.

“Noi comunque non abbiamo alcuna intenzione di affrontare un’escalation – prosegue Davutoglu - siamo pronti al dialogo al fine di prevenire situazioni simili in futuro sul confine turco-siriano. La Turchia vuole mantenere buone relazioni con la Russia e siamo pronti a collaborare con chiunque combatta contro l’Isis, ma voglio precisare che i bombardamenti russi in quell’area non sono rivolti contro l’Isis. Non c’è una sola postazione dell’Isis in quell’area della Siria. E i bombardamenti russi contro i civili stanno creando una nuova ondata di profughi ai nostri confini”. Ora, però, come afferma anche Stoltenberg, il compito difficile sarà quello di gettare acqua sul fuoco ed impedire un’escalation ancora peggiore. Ciò che è avvenuto in Turchia “ci fa comprendere quanto sia necessario sviluppare nuovi canali di comunicazione con la Russia”, spiega il segretario generale. Secondo il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, “Per quanto sia stretta la strada da percorrere, con la Russia stiamo condividendo un tentativo di trovare una soluzione politica alla crisi siriana, che è poi la madre di tutti i problemi. Si è aperto uno spiraglio: in Arabia Saudita si terranno i prossimi incontri per cercare di mettere in piedi la delegazione delle forze di opposizione ad Assad, quella che poi parteciperà al negoziato e c’è speranza che un terzo incontro a Vienna si tenga prima di Natale. Il secondo incontro di Vienna prevede che, all’avvio dei negoziati, corrisponda il cessate il fuoco. E questo è il mio primo auspicio. Il secondo, che esporrò domani (oggi, per chi legge) al mio collega turco, è che l’incidente del caccia russo, un incidente grave che coinvolge un nostro alleato della Nato, non abbia ripercussioni negative sul percorso di Vienna. Continuo ad augurarmi che giovedì si tenga un incontro di alto livello fra la diplomazia russa e quella turca a Belgrado. L’invito dell’Italia è quello alla de-escalation”.

Se si parla di riattivare, in qualche modo, il Russia-Nato Council, sarà solo per questioni tecniche, per evitare ulteriori incidenti. La cooperazione, come era concepita prima della crisi ucraina, è da escludere al momento. Mosca fa sapere, in modo non ufficiale, di essere in allerta anche per l’accesso del Montenegro alla Nato. In questi due giorni, a Bruxelles, infatti è stato formalizzato l’invito al piccolo paese balcanico, nato appena 9 anni fa da una pacifica secessione da Belgrado. “L’invito al Montenegro riguarda solamente il Montenegro e la Nato – dichiara Stoltenberg in risposta a un giornalista che gli fa presente le riserve della Russia – come abbiamo più volte precisato, la Nato non è un’alleanza rivolta contro qualcuno. L’invito al Montenegro è il culmine di una storia di successo di questi ultimi nove anni, in cui il paese è riuscito a portare a termine tutte le riforme necessarie nell’ambito della sicurezza, della difesa e del governo della legge”. Da un punto di vista strategico, la Russia è preoccupata per il semplice fatto che un altro paese europeo, il 29mo, entrerà ben presto nella Nato. Non sarà l’ultimo. Anche in questo meeting, è stata ribadita l’apertura alla possibilità di accesso di Bosnia, Macedonia e anche Georgia, paese in cui le truppe russe stazionano ancora nelle regioni auto-proclamatesi indipendenti di Abkhazia e Ossezia meridionale.

Benché siano al di fuori dell’area di intervento della Nato, la Siria e l’Iraq costituiscono la peggiore spina nel fianco dell’Alleanza. L’abbattimento del jet russo dimostra anche quanto sia facile che la guerra siriana dilaghi e possa provocare uno scontro fra grandi potenze. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni definisce la crisi siriana come “la madre di tutti i problemi” attuali, inclusi i rapporti tesi fra Nato e Russia. Il segretario di Stato americano John Kerry, un giorno dopo aver dichiarato apertamente l’invio di forze speciali americane in Iraq settentrionale e in Siria (il ché può sembrare scontato, ma è un vero punto di rottura col passato), chiede collaborazione agli alleati della Nato, ciascuno a seconda delle sue possibilità, con forze combattenti e/o non combattenti. Si mira a un regime change? “Non di un regime change – risponde Kerry – ma del rispetto degli accordi di Vienna”, che prevedono una transizione dal regime di Assad alla democrazia tramite cessate-il- fuoco e libere elezioni. Ma senza Assad. “Parlerei piuttosto di un Assad-change”, dice ironicamente Kerry, sottolineando il fatto che il dittatore, con i suoi numerosi crimini di guerra e contro l’umanità (barrel bombs, uso dei gas, massacri di civili) costituisce un’alternativa ormai improponibile.

E poi restano i due conflitti ancora in corso, anche se di fatto congelati, fuori dai confini della Nato, ma capaci di coinvolgere l’Alleanza: Afghanistan e Ucraina. Per quanto riguarda l’Afghanistan, dove la Nato è presente come forza di sostegno alle truppe nazionali, l’impegno dei militari sarà rinnovato anche per tutto l’anno prossimo. Gli italiani partecipano con 900 uomini, nelle province occidentali, in particolare in quella di Herat. Con questo meeting dei ministri degli Esteri si è poi raggiunto un accordo per continuare a finanziare le forze nazionali afgane fino al 2020.

Per quanto riguarda il conflitto ucraino, invece, l’Alleanza non è direttamente coinvolta, ma ora possiamo ben parlare di cooperazione comprensiva fra Nato e Ucraina e una serie di cooperazioni bilaterali con i singoli membri. “Noi abbiamo avuto incontri con i vari gruppi di lavoro, per discutere sul sostegno della Nato – spiega il ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin - Il nostro obiettivo è di riformare il nostro settore della difesa e dalla sicurezza e scambiare informazioni sulla guerra ibrida. Perché purtroppo abbiamo una tragica esperienza in merito. Ora sappiamo quale sia il pericolo della propaganda russa, abbiamo visto quanto abbia avuto successo e c’è ancora molto da imparare”. La “guerra ibrida”, condotta dalla Russia con metodi bellici tradizionali e non (un misto di agitazione politica, cyberwar e guerra di informazioni, sabotaggi e guerra aperta) è al centro dell’attenzione degli strateghi della Nato. In questo incontro ministeriale si è deciso, per lo meno, di dedicare risorse allo studio di una contro-guerra ibrida. Da un punto di vista strettamente militare si tratta soprattutto di accelerare i tempi di mobilitazione e schieramento di forze regolari ovunque si presenti un pericolo di sovversione. Da un punto di vista politico, la Nato sta invece chiedendo maggiore cooperazione all’Ue. Perché non si può pensare di combattere la guerra di informazioni e l’agitazione politica pro-russa con metodi militari.


di Stefano Magni