martedì 20 ottobre 2015
Dieci anni fa, il direttore delle pagine culturali del quotidiano danese Jyllands-Posten aveva sentito dire che nessun vignettista del paese avrebbe raffigurato il profeta dell'Islam per una serie di libri per bambini sulle più grandi religioni del mondo. Forse tale autocensura esisteva veramente nella moderna Danimarca? E così egli tentò di scoprirlo, pubblicando una serie di dodici vignette destinate a raffigurare il fondatore dell'Islam. Ne seguirono una serie di attacchi contro il giornale – il tentativo più esplicito di imporre la censura dopo le minacce di morte lanciate contro Salman Rushdie per il suo romanzo I versi satanici pubblicato nel 1998 e l'uccisione di Theo van Gogh nel 2004 per il suo cortometraggio, Submission (Sottomissione). Il coltello affondato nella schiena del cineasta tratteneva un documento con minacce di morte a Ayaan Hirsi Ali, che all'epoca era una deputata olandese e a Geert Wilders anch'egli parlamentare olandese.
Alcune delle vignette pubblicate dal Jyllands-Posten portarono agli attacchi contro il giornale per averle pubblicate. Qualcuna delle caricature non raffigurava nemmeno Maometto. Una in particolare, quella che ritraeva il profeta con una bomba al posto del turbante, divenne famosa. Gli imam danesi aggiunsero poi alcune vignette più offensive e le fecero il girare in tutto il Medio Oriente, cercando di suscitare sentimenti di rabbia contro la Danimarca. Come molti ricordano, l'istigazione funzionò. Per un certo periodo, a parte tutti i saccheggi, gli incendi e gli omicidi, il mondo intero sembrava paralizzato da queste vignette e dalle reazioni che avrebbero potuto scatenare.
In vari paesi, ci furono mini-crisi delle vignette. La decisione di Ezra Levant di pubblicare le caricature in Canada causò subbuglio in tutto il Nord America. Come pure la decisione di alcuni quotidiani norvegesi di ristampare le caricature, in solidarietà con i loro vicini, portò alla crisi norvegese delle vignette. E naturalmente la scelta della redazione parigina del magazine Charlie Hebdo di continuare a raffigurare tutte le figure storiche ha portato alla strage in cui persero la vita dieci giornalisti e due poliziotti nel gennaio di quest'anno.
Ora probabilmente sembra il momento giusto per fare alcune domande, anche se c'è qualcosa che abbiamo imparato. Certamente, i non musulmani di tutto il mondo hanno imparato molto sulla sensibilità islamica quando si tratta di rappresentare il loro Profeta. Dalle comunità musulmane in Europa e ovunque nel mondo è emerso che esiste un esiguo ma inconfutabile numero di persone che sono disposte a uccidere e talvolta a morire pur di imporre la loro idea di blasfemia ai non musulmani di tutto il mondo. A parte i tentativi di uccidere i membri dello staff del Jyllands-Posten, nel mirino dei censori sono finiti il vignettista danese Kurt Westergaard e quello svedese Lars Vilks, autori di altre caricature di Maometto. Sono in molti quelli che si sono visti bussare alla porta dalla polizia antiblasfemia. A Londra, l'editore di un libro sulla vita amorosa di Maometto (The Jewel of Medina di Sherry Jones) è sopravvissuto a un attentato dinamitardo. Se c'era un posto sulla terra dove si poteva pensare di non ricevere alcuna visita dalla polizia antiblasfemia, beh, questo luogo era il Texas. Ma all'inizio di quest'anno, in seguito a una gara di vignette su Maometto organizzata a Garland, gli assassini hanno fatto la loro comparsa e per fortuna sono stati uccisi.
Quindi, una lezione da trarre è che forse nessun luogo della terra è ora al sicuro dai più rigorosi guardiani dell'Islam. Possono saltar fuori nelle remote lande della Scandinavia o nel cuore dell'America. Possono presentarsi nella redazione di un quotidiano o a casa di una persona. E consapevoli di questo, abbiamo imparato la lezione più chiara degli ultimi dieci anni. La settimana scorsa, a dieci anni dalla pubblicazione delle prime vignette su Maometto, lo Jyllands-Posten ha ripubblicato la stessa pagina di allora. Una cosa però mancava: le fatidiche vignette, e al loro posto c'erano solo spazi bianchi. Ciò che era stato possibile nel 2005 non lo è più nel 2015. Difficilmente si può addossare la colpa alla redazione. Dopo dieci anni di sorveglianza e sicurezza e dopo aver dovuto lavorare in quella che forse è la redazione del quotidiano più minacciato al mondo, lo staff dello Jyllands-Posten ritiene di aver ricevuto abbastanza minacce e di aver corso parecchi pericoli. E pertanto si è censurato.
Ci sono voluti dieci anni alla maggior parte degli occidentali per imparare qualcosa in merito alla blasfemia islamica e rispettare le sue leggi. Oggi, ci potrebbero essere migliaia di persone disposte a pubblicare vignette su Maometto sui loro account Twitter, ma molte di loro si nascondono dietro pseudonimi e poi si lamentano della vigliaccheria degli altri. Pochi giorni prima del decimo anniversario della pubblicazione delle vignette su Maometto, Mark Steyn, Henryk Broder e il giornalista e direttore norvegese Vebjoern Selbekk hanno partecipato a una conferenza in Danimarca per commemorare questo anniversario. L'evento si è svolto nel parlamento danese, l'unico edificio ritenuto abbastanza sicuro per resistere a un attacco ormai tradizionale da parte della polizia che opera contro la blasfemia islamica. Prevedendo un attacco terroristico, il Foreign Office britannico e il Dipartimento di Stato americano hanno messo in guardia i loro cittadini dall'avvicinarsi quel giorno al luogo ove ha sede il parlamento. Il ristorante dove avremmo dovuto cenare ha annullato la prenotazione avendo capito, quando la polizia e gli agenti di sicurezza hanno preventivamente perlustrato l'edificio, chi potessero essere gli ospiti.
Dieci anni fa, si potevano pubblicare le rappresentazioni di Maometto su un quotidiano danese. Dieci anni dopo, è difficile per chiunque sia legato a questa vicenda trovare un ristorante a Copenaghen dove poter cenare. Ma non sono solamente gli artisti e gli scrittori ad aver imparato la lezione – l'ha imparata chiunque: dalla stampa alle persone che servono cibo nei ristoranti. Alle nostre società piace pensare che il terrorismo e le intimidazioni non hanno successo. Ce l'hanno o possono averlo, ma solo se glielo permettiamo. Negli ultimi dieci anni, con l'eccezione di qualche breve esplosione di bigottismo, è la paura – e non le vignette su Maometto – che è diventata virale.
La libertà, però, non è mai stata difesa da più di una manciata di persone. La maggior parte della gente preferisce una vita confortevole e tranquilla anziché qualcosa che assomigli a una lotta. Tuttavia, nel mondo c'è ancora più di qualche brava persona e più di un paio di queste si trovano in Scandinavia. Se nei conflitti precedenti si guardava ai piloti o agli statisti per indicare la strada, in questa guerra contro la nuova "Inquisizione islamica", sono i giornalisti, i vignettisti, gli scrittori e gli artisti a trovarsi in prima linea e a dover dare l'esempio. Alcuni di loro potrebbero essere sorpresi di trovarsi in questa posizione. Non dovrebbero esserlo. La libertà di espressione e di pensiero hanno sempre avuto nemici feroci. Ma la verità li sconfigge sempre, e lo farà ancora.
(**) Nella foto Stéphane Charbonnier, il coraggioso direttore ed editore di Charlie Hebdo, che è stato ucciso il 7 gennaio scorso insieme ad altri suoi colleghi, in una foto che lo ritrae all’esterno della redazione del giornale, subito dopo l’attentato dinamitardo del novembre 2011.
Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Douglas Murray (*)