venerdì 26 giugno 2015
La violenza e l’intolleranza avvolgono il mondo musulmano. Chi commette atti barbarici – come massacrare i cristiani, gli ebrei, i musulmani e gli indù – sostiene di farlo per difendere la legge islamica della sharia dalla “blasfemia”, dall’apostasia e dai “miscredenti”. Questi estremisti islamici si fanno quotidianamente giustizia da soli, uccidendo chiunque voglia pensare liberamente o in modo diverso. Ogni giorno, gli arresti, i processi, le fustigazioni, le torture e le uccisioni di giornalisti, poeti, studenti e attivisti per i diritti umani sono ormai una pratica consueta.
Nel 2013, un professore pakistano di inglese, Junaid Hafeez, fu arrestato e imprigionato per blasfemia, dopo che uno studente affiliato al partito fondamentalista islamico Jamaat-i-Islami lo accusò di aver offeso su Facebook il profeta Maometto, fondatore dell’Islam. Il suo primo avvocato, Chaudhry Mudassar, lasciò il caso a giugno del 2013 dopo aver ricevuto una miriade di minacce di morte. Il suo secondo legale, Rashid Rehman, fu ucciso nel suo ufficio di fronte ai colleghi, il 7 maggio 2014. Il suo attuale difensore, Shahbaz Gurmani, è stato oggetto di minacce di morte, alcuni sconosciuti hanno sparato alcuni colpi d’arma da fuoco davanti alla sua abitazione e ha ricevuto una lettera da parte dello Stato islamico (Isis) che lo avvertiva di abbandonare il caso, altrimenti sarebbe stato decapitato. Junaid Hafeez è ancora in carcere.
Il 28 dicembre 2014, la scrittrice egiziana Fatima Maoot è finita in tribunale con l’accusa di “oltraggio” all’Islam. Il suo “crimine” è stato quello di aver scritto sulla sua pagina Facebook alcuni commenti che criticavano la macellazione degli animali durante l’Eid al-Adha, la festa islamica del sacrificio. “Non sarò sconfitta, anche se sono in carcere”, ha detto alla Reuters la Naoot. “Il perdente sarà il movimento culturale”. Fatima Naoot è una giornalista e una poetessa dall’occhio critico. Ella ha il coraggio di alzare la voce contro le ingiustizie che avvengono in seno alla sua società – caratteristiche, a quanto pare, troppo minacciose per molti musulmani.
L’art. 98 (f) del Codice penale egiziano vieta ai cittadini di “ridicolizzare o offendere pesantemente le religioni e di incitare alla lotta settaria”. In Egitto, però, la legge sembra funzionare solo contro i seguaci di religioni diverse dall’Islam sunnita. Secondo il rapporto annuale del 2014 redatto dalla Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale, “La maggior parte delle accuse prende di mira intrattenitori, personaggi di spicco e giornalisti musulmani sunniti. Tuttavia, la maggioranza di coloro che sono condannati dai tribunali per blasfemia è composta da cristiani, musulmani sciiti e atei, per lo più sottoposti a processi truccati. Circa il 40 per cento degli accusati è cristiano, una percentuale elevata se paragonata alla popolazione cristiana che costituisce pressappoco il 10-15 per cento della popolazione del paese”.
Un religioso musulmano, Hussein Ya'qoub, nel 2009 disse: “Gli ebrei sono nemici dei musulmani a prescindere dall’occupazione della Palestina. Dovete credermi, li combatteremo, li sconfiggeremo e li annienteremo fino a quando non rimarrà un solo ebreo sulla faccia della terra”. Un altro religioso musulmano, Salah Sultan, in un discorso trasmesso dalla televisione di Hamas nel 2012, disse di incontrare ovunque gente “assetata di sangue degli ebrei” e che “Israele usa le ragazze malate di Aids per sedurre i giovani egiziani e infettarli”. Parole pronunciate senza preoccuparsi di verificarne la veridicità, il che è solo un altro esempio di odio gratuito verso gli ebrei.
Nessuno di questi predicatori è ancora finito sotto processo per istigazione al genocidio, mentre Fatima Naoot viene processata per aver criticato la macellazione degli animali durante l’Eid al-Adha. Il 30 agosto 2014, un fotografo iraniano, Soheil Arabi, 30 anni, è stato condannato da un tribunale penale di Teheran a morte per impiccagione per aver “offeso il profeta dell’Islam” (Sabbo al-Nabbi) su Facebook. Il 24 novembre 2014, la Corte suprema iraniana ha confermato la condanna a morte. Nel 2014, Raif Badawi, 31 anni, un blogger saudita e ideatore di un sito web finalizzato a promuovere un dibattito sulla religione e la politica, è stato condannato a 10 anni di carcere, 1.000 frustate e al pagamento di una multa da 1 milione di riyal (circa 267.000 dollari) per aver “propagandato il pensiero liberale” e “offeso l’Islam”. Badawi ha ricevuto le prime 50 frustate il 9 gennaio 2015, davanti a una moschea dopo le preghiere del mattino, “circondato da una folla in delirio che gridava incessantemente ‘Allahu Akbar’ (Iddio è il più grande)” durante la fustigazione. La sentenza è stata confermata la settimana scorsa dalla Corte suprema saudita e l’unica e possibile sospensione della pena ora sarebbe la grazia concessa da re Salman.
Per la legge islamica della sharia, avere una mente aperta è il crimine più imperdonabile nel mondo musulmano. Essere imprigionati, torturati o condannati a morte per averne una è anche il motivo per cui c’è un divario di secoli che separa i paesi musulmani dall’Occidente nell’ambito della liberazione umana. Per Euripide, “la mancanza di libertà di espressione è schiavitù”; per molti paesi musulmani, la libertà di pensiero è sinonimo di morte. Coloro che hanno il coraggio di cercare di abolire questa “schiavitù” nel mondo musulmano sono costretti a pagare un prezzo enorme. La giovane Premio Nobel Malala Yousefzai è stata colpita alla testa da un colpo di pistola perché voleva ricevere un’istruzione. Gli avvocati che rappresentano le persone che tentano di abolire questa “schiavitù” o sono accusate di altri reati – anche falsi – vengono uccisi.
Si possono far saltare in aria i bambini a scuola; investire deliberatamente persone innocenti in nome del jihad; massacrare la gente riunita in preghiera e poi distribuire dolci per celebrare la “vittoria”; svilire le donne in molti modi – ad esempio chi prende quattro mogli, le picchia e poi divorzia da loro viene elogiato da molti musulmani per essere un “eroe”, un “martire” o un “vero musulmano”. Queste convinzioni non hanno nulla a che fare con l’Occidente né con qualsiasi tipo di intervento occidentale. Non sono gli europei, gli Stati Uniti o lo Stato di Israele che diffondono tra i musulmani queste leggi coercitive basate sulla sharia contro l’apostasia e la blasfemia. I regimi musulmani che non conoscono affatto cosa sia la libertà – e la loro sistematica criminalizzazione della libertà di espressione; la soppressione dell’istruzione e della creatività, e le infinite lotte intertribali – sono il vero motivo per cui la gente è rimasta ferma al VII secolo.
L’avanzata dell’Isis in Iraq e Siria; il raggio d’azione dell’Iran che si è esteso in altri quattro paesi (Iraq, Siria Libano e Yemen) mentre gli Stati Uniti indietreggiano da tre di essi (Libia, Yemen e Iraq) e l’indifferenza mostrata da gran parte del mondo musulmano di fronte a questa nuova catastrofe, tutto sta indicare che non c’è ancora molto da sperare in un cambiamento positivo nel mondo musulmano. Ogni appello visionario ad avviare una riforma dell’Islam lanciato dal presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, non è stato accolto pubblicamente da un solo leader occidentale. A parte i paladini della libertà come Hafeez, Naoot, Arabi e Badawi, la situazione sembra essere sempre più scoraggiante giorno dopo giorno. Un opuscolo diffuso dall’Isis risponde a 27 domande come ad esempio: “Tutte le donne miscredenti possono essere fatte prigioniere?” e “È lecito fare sesso con una schiava che non ha raggiunto la pubertà?” L’opuscolo approva anche la schiavitù, gli stupri (perpetrati anche su bambine), le percosse inflitte per raggiungere una gratificazione [darb al-tashaffi] e la tortura [darb al-ta'dheeb].
Un’ideologia che incoraggia i suoi seguaci a prendere parte a sommosse letali, a incendiare ambasciate e uccidere la gente a causa delle vignette satiriche, ma che non si mostra particolarmente addolorata per le bambine vendute e stuprate, molto probabilmente non ha molto da dare al progresso della civiltà. Un’ideologia che tratta le donne come fossero una proprietà, che uccide o imprigiona gli intellettuali e che condanna un blogger a 1.000 frustrate e a 10 anni di carcere – se sopravvivrà – non ha alcun diritto di dare la colpa all’Occidente o a chiunque altro.
Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Uzay Bulut (*)