Libia, la minaccia è ormai alle porte

venerdì 8 maggio 2015


“Libia e il futuro della sicurezza nel Mediterraneo” è il titolo della conferenza internazionale organizzata ieri, a Roma, dal Comitato Atlantico Italiano sul conflitto civile libico, con relatori di entrambe le sponde del Mediterraneo. Due sponde e due percezioni completamente diverse della gravità di quanto sta accadendo in Libia, due differenti modi di vivere l’urgenza. “La Libia era un paese con un uomo solo al comando. Quando quest’uomo solo al comando è crollato, tutti i vicini si sono trovati ad avere a che fare con un territorio completamente privo di istituzioni”, introduce Michael Frendo, già ministro degli Esteri di Malta, una sorta di ponte fra il mondo europeo e quello arabo. “Il fatto che gli europei abbiano aiutato la rivoluzione contro Gheddafi non è infausto, in sé. Il fatto infausto è semmai che abbiano abbandonato la Libia a se stessa, dopo la rivoluzione, lasciandola nel caos”. “Noi dobbiamo perdere il vizio di attribuire la colpa ad altri o di attendere loro soluzioni – ribatte, assumendo la colpa del mondo arabo, il diplomatico giordano Abdul Ilah Khatib, già ministro degli Esteri e inviato speciale dell’Onu per la crisi libica – Se noi guardiamo la Lega Araba, con tutto il dovuto rispetto, l’unica cosa che ha potuto fare per la Libia è stato: emanare una risoluzione, all’inizio del 2011, che chiedeva la costituzione di una no-fly zone a protezione della popolazione dall’aviazione di Gheddafi. Poi appoggiò la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu 1973 che diede il via all’intervento internazionale. Sono stati lanciati innumerevoli proclami all’unità del paese, ma non è stata avviata alcuna azione concreta volta a contenere il caos seguito alla caduta del regime”.

Tripoli e Tobruk sono due governi che si combattono fra loro, dividendo la Libia fra Ovest ed Est. Ma uno solo è il governo legittimamente eletto dai libici: quello di Tobruk. Ed è su questo punto che insiste Mohammed Dahlan, già ministro per la Sicurezza dell’Autorità Palestinese, ben noto a chiunque abbia seguito la cronaca del conflitto mediorientale. “Scusate se non sono un politico e non sono un diplomatico”, esordisce. E poi inizia a parlare fuori dai denti, in lingua araba (tradotto in italiano, per nostra comprensione): “L’Europa ha distrutto la Libia. Gli alleati hanno distrutto il paese e poi se ne sono andati. Hanno liberato il paese da una dittatura, usando lo slogan poco convincente della democrazia, ma hanno solo consentito la formazione di emirati terroristi. E il prezzo peggiore lo sta pagando il popolo libico. Ci sono milizie che hanno il monopolio del potere, che si finanziano con il contrabbando del petrolio e con il traffico degli emigranti nel Mediterraneo, verso le coste italiane”. La prima cosa che dobbiamo fare, se vogliamo sanare questa catastrofe, è, a detta di Dahlan, riconoscere che “Il peggio è riconoscere come ‘Stato’ delle milizie terroriste – dice riferendosi al governo auto-nominato di Tripoli - A Tobruk c’è un governo legittimo, eletto da tutta la popolazione libica. Chi crede che il caos porti beneficio all’Europa si sbaglia. L’emigrazione clandestina parrebbe essere l’aspetto meno pericoloso di questa crisi, ma non è così. In Italia queste persone ci arrivano a causa dell’appoggio di milizie jihadiste. In Italia dovete essere pronti, invece di ricevere solo dei disperati affamati, a ricevere bande armate, che vogliono distruggere l’Europa dall’interno, usando l’Italia come porta di ingresso”.

Un appello dello stesso tenore viene lanciato anche da Mustafa Ali Rugibani, incaricato d’affari dell’ambasciata libica in Vaticano. “Dopo la caduta di Gheddafi, tutti si sono scordati della Libia. Cosa vuole il popolo libico? Ordine, istruzione, democrazia, come tutti i popoli del mondo. Vogliamo vivere. La Libia ha vissuto per 4 anni esperienze molto dure. Ho conosciuto molti terroristi. Non riesco nemmeno a chiamarli con questa parola, sono persone giovanissime, sperdute. Vogliono solo un po’ di istruzione in più, imparare le lingue, imparare un mestiere. Il caos che oggi c’è in Libia è dovuto al fatto che Gheddafi non ha fatto crescere alcuna società civile. Io stesso ho dovuto vivere in esilio, non sono potuto tornare in Libia nemmeno per seppellire mio padre. Cosa può fare l’Italia per stabilizzare la Libia, però? L’interesse dell’Italia è quello della Libia e viceversa. Deve appoggiare al 100% il governo legittimo in esilio a Tobruk, senza ipocrisie. Come? Appoggiando l’esercito regolare. Si dice spesso che non vi sia un esercito vero e proprio. E’ falso: c’è eccome un esercito regolare, che risponde agli ordini del vero governo. Nell’Est della Libia, il governo opera pienamente, in tutti i settori. Da dove partono gli emigranti clandestini? Tutti dalla parte occidentale della Libia, dove dominano le milizie islamiche. E come fare a fermarli? Basterebbe tornare agli accordi stipulati dall’Italia con Gheddafi (nel 2010, con il governo Berlusconi, ndr). Perché non vengono messi in atto? Noi siamo fedeli ai nostri impegni presi. E voi? Vi siete dimenticati di questi accordi?”

In Italia, però, il dibattito sulla Libia segue tempi e parametri completamente diversi. Anche Benedetto Della Vedova, intervenuto quale sottosegretario agli Esteri per la Cooperazione Internazionale, torna ad auspicare un “governo di unità nazionale” accettato da tutta la Libia e ritiene che un intervento militare potrebbe avere pessime conseguenze. La politica italiana è anche rappresentata da Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione Esteri alla Camera, che lamenta come il governo Berlusconi “nel momento in cui era più debole” si sia fatto trascinare nell’intervento in Libia, contro i nostri interessi. E di come le principali potenze interventiste, Francia, Gran Bretagna e Usa, si siano poi disinteressate di quella crisi, una volta fatto il danno.

Eppure l’affaire Libia sembra più semplice da capire e più urgente da affrontare, al tempo stesso, ascoltando gli interventi di parte araba, come quello di Dahlan, quello di al Rugibani, o anche l’appassionato intervento di Noman Benotman, ex jihadista, veterano della prima guerra in Afghanistan (quella contro i sovietici) e ora esperto di radicalismo islamico, che avverte: “La Libia è diventata il paradiso, il rifugio sicuro per tutti i terroristi di seconda generazione. Di un nuovo terrorismo che ha dichiarato guerra all’Occidente e ai cristiani. Se volete decidere un’azione, lo dovete fare adesso”.


di Stefano Magni