venerdì 1 maggio 2015
Quei patrioti, perché così si definivano e non partigiani termine successivo e in taluni casi termine dispregiativo con cui nel Nord Est venivano indicati gli infoibatori titini, che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 presero le armi richiamandosi alla tradizione risorgimentale per ricostruire una Italia libera, liberale e democratica, lo fecero non fuggendo la difficile e pericolosa realtà e migrando in “terre felici”, ma combattendo l’ex alleato divenuto invasore ed oppressore, affrontando i rischi di processi sommari o di sommarie esecuzioni da parte di un nemico che da questo punto di vista si comportava in maniera che ricorda l’inumano comportamento delle attuali milizie jihadiste. I migranti sarebbero i nuovi partigiani se, invece di venire a cercare “rifugio”, però pretendendo di assimilarci a loro, avessero preso le armi per combattere nelle loro terre di origine e di provenienza.
Peggio, nazismo, fascismo, stalinismo ed islamogenocidio hanno matrice comune e sinergica. Se le vicende belliche non avessero avuto uno sviluppo diverso in Palestina sarebbero sorti “opifici” per la “soluzione finale” (campi di sterminio) con cui attuare anche in quell’aria quell’olocausto che ancora invocano quanti affermano di volere cancellare Israele dalla carta geografica, sotto certi aspetti una riedizione del genocidio armeno che venne preso a modello dai nazisti che tuttavia non vi presero parte, anzi i tedeschi del tempo testimoni lo condannarono.
Da questo punto di vista una continuità storica e parentale, perché tra i fondatori della 13a. Waffen-Gebirgs-Division der SS "Handschar", le “SS” islamiche, troviamo lo zio di Yasser Arafat, il Gran Mufti di Gerusalemme Amīn al-Ḥusaynī, ritratto in inequivocabili atteggiamenti nazisti mentre passa in rassegna le SS islamiche, che ebbe un ruolo predominante nella formazione del giovane nipote.
Come i membri del cosiddetto Stato Islamico Yasser Arafat era di confessione sunnita, plasmata nella sua giovanile militanza nella Fratellanza Musulmana, organizzazione che prima trova diffusione e si afferma in Egitto, per poi diffondersi nel resto del mondo arabo islamico, nella prima metà del secolo scorso. Questa la definizione che da in rete dell’organizzazione l’Enciclopedia Treccani: «Sul piano religioso propugna il ritorno al Corano secondo i principi del modernismo islamico. Sul piano sociale chiama i musulmani alla solidarietà e all’impegno attivo, da un lato per superare il sottosviluppo economico, dall’altro per individuare le possibili forme di una lotta di classe. Sul piano politico teorizza lo Stato islamico, interpretando l’Islam come un sistema totalizzante senza distinzione tra la sfera religiosa e quella civile».
In questa chiave religiosa va vista anche l’incertezza del luogo di nascita che il mito alimentato dallo stesso Arafat in età giovanile vuole a Gerusalemme, città santa per l’islam come per le altre due religioni monoteiste, cristianesimo ed ebraismo, ma che la biografia ufficiale indica nato il 24 agosto 1929 a il Cairo, città sede della Università al Azhar (la Luminosa) fondata dagli ismailiti nel X secolo, immediatamente dopo la conquista dell'Egitto, è diventata con il passare del tempo, dopo la riconquista da parte sunnita, la più prestigiosa sede di elaborazione del pensiero sunnita, sia pure vissuta in chiave moderna e per molti versi razionale, quale si confaceva ad un tecnico. Arafat si era infatti laureato in ingegneria civile.
Questo simbolismo nel richiamo della più radicata tradizione islamica si ritrova nell’acronimo dell’organizzazione da lui fondata, il Movimento di Liberazione della Palestina, in arabo Ḥarakat al-Taḥrīr al-Filasṭīn, la cui sigla viene letta al rovescio in quanto suona Fath, “conquista”, termine usato ai primordi dell’islam per indicare l’espansione militare del nuovo credo religioso verso Nord. L’organizzazione di Arafat ha quindi insita un’idea panislamica, la versione in chiave religiosa del panarabismo come almeno si andava caratterizzando nei suoi anni giovanili. Un filone del panarabismo, quello laico che si caratterizzerà nel partito Ba‛th, attecchito in numerosi Paesi arabi, tra cui la Siria e l’Egitto di Nasser, che spinse i due Paesi a dar vita alla Repubblica Araba Unita, suscitando gli entusiasmi di chi vedeva in essa un primo approccio di “califfato” laico, sulla scia della visione dell’intellettuale siriano Abd al-Rahman al-Kawakibi (1849-1902), il primo teorizzatore del panarabismo, che nelle sue opere esaltò il primato degli arabi nella creazione della civiltà islamica e rivendicando il loro diritto al califfato. Probabilmente chi celebra il 70° Anniversario del compimento in Italia del Secondo Risorgimento sventolando le bandiere che contraddistinguono quel progetto e aggredendo anche fisicamente i reduci e gli eredi della Brigata Ebraica, costituita in Italia nel 1944 ed inquadrata nelle truppe che combatterono la Guerra di Liberazione contro il regime del genocidio, ignora la storia, come probabilmente la ignora la Presidente della Camera Laura Boldrini.
Si dirà che tali manifestanti erano assimilabili semmai a nostalgie veteromarxiste, ma questo non fa la differenza. Con il Patto Ribbentrop-Molotov l’antisemitismo che si era già manifestato nella Russia stalinista con chiusura di scuole e centri culturali ebraici e con deportazioni, queste estese a tanti altri gruppi etnici dopo l’introduzione nel 1932 dell’indicazione della “nazionalità” sui passaporti interni, si assimilò a quello nazista. Come effetto collaterale del Patto Ribbentrop-Molotov gli ebrei, alla stregua di come avvenne con le leggi razziali in Italia, vennero epurati dall’esercito, dalla diplomazia, dal commercio estero.
Illuminante al riguardo la testimonianza dell’ingegnere Mark Lasarewitsch Gallai (1914 – 1998), pilota collaudatore di chiara fama, anche se quasi sconosciuto in Italia, che nelle sue memorie scrive al riguardo: «Molti di noi accettarono il trattato come il prendere una medicina cattiva: era orribile, ma necessario. Ma la firma del trattato fu seguita da avvenimenti che erano invece incomprensibili. I fascisti non erano più chiamati fascisti. Ciò che il Komsomol ed i pionieri ci avevano insegnato ad odiare come ostile, cattivo e minaccioso, divenne improvvisamente neutrale. Non fu detto con molte parole, ma il sentimento si diffuse nelle nostre anime quando guardavamo le foto di Hitler accanto a Molotov o quando leggevamo del grano e del petrolio sovietico che andava alla Germania fascista o quando vedevamo il passo dell'oca prussiano che veniva adottato proprio allora dal nostro esercito. Sì era molto difficile capire allora cosa stesse succedendo».
E concludiamo con una citazione dal “Mein Kampf” di Adolf Hitler. «Sino ad oggi ho creduto di agire in conformità dell’Onnipotente Creatore, difendendo me stesso ebrei. Ora sto combattendo per il disegno di Allah».
Inutile esortare a leggere e studiare la Storia. L’ideologia vissuta come fede e la fede vissuta come ideologia sono fattori irrazionali, non emendabili. Altrimenti a cominciare dalla Terza Carica dello Stato non sarebbero venute fuori certe “strambe” affermazioni e comportamenti coerenti con queste “stramberie”.
di Giorgio Prinzi