giovedì 30 aprile 2015
La domanda che ci si pone di fronte alle reiterate minacce del jihadismo nei confronti dell’Italia - e del Vaticano in particolare - è quella sulla loro reale portata e credibilità. L’intelligence ufficiale italiana, come tutti i servizi di analisi fortemente condizionata dal referente politico, minimizza, parlando più di propaganda che di reale pericolo.
Un giudizio per molti versi non del tutto campato in aria, perché i nostri servizi di sicurezza, nonostante la “letteratura” corrente, sono tra i miglioro al mondo ed il loro livello di attenzione è estremamente elevato e vigile, come dimostrano anche le più recenti operazioni di monitoraggio e prevenzione. Purtroppo è il sistema Italia a presentare crepe che possono rivelarsi perniciose, a cominciare da un apparato giudiziario che interpreta l’autonomia sancita dalla Costituzione nel senso quasi di essere un “pianeta extragalattico”, avulso dal contesto conflittuale e di minaccia jihadista che richiede di venire affrontata con un approccio diverso della “punta di diritto” e del garantismo senza se e senza ma. Anche in questi giorni registriamo sentenze alla “Clementina Forleo”, che con la sua visione non emergenziale vanificò il lavoro di un suo collega noto per il suo fattivo impegno in tema di sicurezza, il Giudice Stefano Dambruoso. Faccio riferimento a questo caso specifico proprio per evitare generalizzazioni qualunquiste, che farebbero torto anche a quei magistrati di cui non condividiamo l’approccio culturale e giudiziario.
Senza volere entrare in polemica con l’intelligence ufficiale, che comunque apprezziamo e stimiamo, ci poniamo invece la domanda sino a che punto la cosiddetta “propaganda” è effettivamente tale e da che punto, invece, essa non diventa provocazione e sondaggio di tenuta e di reazione del potenziale bersaglio, che finisce con l’apparire tanto più vulnerabile quanto più è blanda la sua reazione persino ad un crescendo di minacce o di semplici “propagandistiche” provocazioni. Purtroppo, al livello a cui siamo arrivati, il passo successivo potrebbe essere quello di una prima azione jihadista classica, magari un attentato suicida in un contesto di approccio della sovversione violenta autoctona contigua e in taluni casi fiancheggiatrice, quali area anarchica od omologhe. Una blanda e minimalista reazione al verificarsi di un evento del genere potrebbe innalzare il livello del pericolo, sino all’ipotesi di attentato stragista, in stile 11 settembre.
Fonti che ovviamente è impossibile controllare sostengono che Ayman Muḥammad Rabīʿ al-Ẓawāhirī, il medico egiziano prima luogotenente ed ora successore di Osama bin Laden, abbia personalmente fermato un pianificato attacco stragista con armi chimiche a New York per timore della potenziale rappresaglia, che aveva sperimentato a Tora Bora dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Già, New York è negli Stati Uniti d’America, mentre Roma è in Italia e il Vaticano è nel suo ambito, anche se teoricamente dispone della forza militare delle Guardie Svizzere, armate di alabarde. La comunità internazionale, nel cui ambito il prestigio nazionale italiano è attualmente ai minimi storici, reagirebbe con fermezza ad un attentato stragista sul territorio italiano, Vaticano ad esso assimilato?
Non lo sappiamo, come non lo sanno con certezza neppure i jihadisti che potrebbero metterlo in atto, che pertanto, come da manuale in contesto conflittuale, potrebbero utilizzare una spiralizzazione di provocazioni per sondare le reazioni del potenziale bersaglio (l’Italia) e quello della comunità internazionale a cominciare dal “carrozzone” delle Nazioni Unite, che in questi giorni di fronte all’emergenza “migranti” non riesce a fare di meglio che invitarci all’accoglienza. Una vera presa per i fondelli è, invece, quella del IV Reich della Merkel, che è disponibile a dispiegare navi militari tedesche in Mediterraneo a patto che poi i “passeggeri” sbarchino e vengano accolti in Italia.
In questo crescendo non si può certo escludere il passaggio dalla “propaganda” alla reale, sia pure graduale, pianificazione stragista presumibilmente messa in atto con attacchi con armi chimiche, definite le "atomiche dei poveri". Non è irrealistico o fantasioso pensare al rischio potenziale di lanci di granate chimiche a mezzo di armi a tiro curvo, ad esempio mortai da 81 che hanno una gittata sino a sei chilometri, contro grandi assembramenti di folla, quali quelli che si avrebbero nel corso del prossimo Giubileo straordinario, comunque non l'unico evento simbolo che potrebbe divenire bersaglio del terrorismo jihadista islamico. Mortai e loro dotazione di granate chimiche sarebbero, dato il loro limitato ingombro, di facile introduzione clandestina nel territorio nazionale e facilmente occultabili sino al loro impiego mortale. Nessuno sospetterebbe, ad esempio, di una scassatissima "Apecar" di finti operai edili, meglio ancora se dai, in questo caso funzionali, lineamenti da “migrante”, che fosse intenta ad approntare il lancio da uno spiazzo, al limite da un cortile interno, dando l'impressione di stare per eseguire normali lavori di manutenzione.
Le aree sensibili sono infatti sorvegliatissime ed assai poco penetrabili da “cani sciolti” votati al suicidio, ma esse sono vulnerabili da armi a tiro curvo che hanno appunto una gittata di alcuni chilometri e colpiscono dall'alto, non per traiettoria diretta, con un fattore di rapida ed improvvisa sorpresa. Pochi colpi e sarebbe una strage. Gli attentatori, spogliatisi dei polverosi abiti di camuffamento, potrebbero persino pensare a sottrarsi alla reazione ed alla cattura, mescolandosi a chilometri del punto bersaglio tra la cosmopolita realtà che oggi ci caratterizza.
L’obiezione del lettore a queste considerazioni potrebbe essere che di questi argomenti non si discute in pubblico. Ề vero, ma un cultore indipendente non ha scelta diversa per sensibilizzare alla materia l’opinione pubblica ed una classe decisionale e politica, come quella attuale italiana, magari al limite disponibile a definire l’ipotetico attacco come azione “neopartigiana”. Ci misuriamo con questa realtà e in questo contesto dobbiamo agire.
Comunque l’impiego di mortai è diffusissimo in aree caratterizzate da violenza terroristica; non è certo una nostra idea originale, semmai tutt’altro. Sono armi che, pur utilizzando granate convenzionali, fanno vittime con buona precisione, ad esempio colpendo - sono notizie verificabili in cronaca - fermate di autobus, figuriamoci un grande spazio quale una piazza gremita di folla utilizzando granate chimiche. Il conseguente panico completerebbe l’effetto finale.
di Giorgio Prinzi