Isis, strategia del caos

sabato 21 marzo 2015


Si tirano le somme dopo l’attentato al museo Bardo di Tunisi e son cifre da capogiro. Nel paese sono presenti almeno 9mila jihadisti, altri 3mila sono partiti volontari per la Siria e l’Iraq. Di questi ultimi, l’80% risulta essere arruolato nelle file dell’Isis e il restate 20% in quelle di Al Nusrah (branca siriana di Al Qaeda). Il locale gruppo armato qaedista tunisino, a settembre, aveva giurato fedeltà allo Stato Islamico e dichiarato guerra al governo secolare di Tunisi. Quel che è avvenuto mercoledì, il duplice attacco al parlamento (fallito) e al museo archeologico Bardo, è il primo frutto di questa dichiarazione di guerra. Non sarà l’ultimo.

Per renderci conto delle dimensioni del fenomeno, fra gli jihadisti aspiranti volontari tunisini che sono stati fermati alla frontiera prima di partire per la Siria e quelli che ci sono andati e potrebbero tornare, stiamo parlando di 12mila uomini. Potrebbero essere solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più vasto, ma comunque sono già quasi numerosi quanto i soldati (13mila in tutto) dispiegati da Tunisia e Algeria lungo il confine libico, per il pattugliamento contro le infiltrazioni degli jihadisti. Dodicimila jihadisti (per parlare solo di quelli segnalati dalle autorità di Tunisi) sono troppi. Troppi per essere contenuti dal governo locale. E non si può prendere neppure la Tunisia come un caso isolato nella regione magrebina. Dal Marocco, infatti, sono partiti 1500 volontari jihadisti, dall’Algeria 250, dalla Libia ne sono partiti circa 600, ma è un caso speciale: lo “scatolone di sabbia”, ormai privo di governo, è diventato un luogo di addestramento e smistamento per gli jihadisti di tutto il Nord Africa. E il numero di volontari che partono per la jihad siriana e irachena, a farsi le ossa in una guerra vera e a contribuire all’edificazione dello Stato Islamico, sono, appunto, solo un aspetto ben visibile di un fenomeno molto più vasto. E anche molto vicino a noi: dall’Italia sono partiti solo 50 volontari, ma dalla vicina Francia ben 400, dalla Gran Bretagna quasi 500, dalla Germania 240.

Quando colpiranno da noi? Tanti se lo sono chiesti, anche sulle colonne di questo giornale, dopo un attentato compiuto in un luogo così vicino a noi, in cui 4 nostri connazionali hanno perso la vita. Il problema del terrorismo dell’Isis, però, è proprio la sua imprevedibilità. Mercoledì ha colpito a Tunisi, ma in un giorno indeterminato del futuro potrebbe colpire in un altro punto qualsiasi del mondo. Se osserviamo una mappa dei loro attentati più recenti, non riusciamo a individuare alcuno schema. Parigi, Copenaghen, Tunisi non hanno alcun legame fra loro, ma aggiungiamoci anche i “lupi solitari” che hanno colpito dopo essere rimasti infatuati dalla causa jihadista e otterremmo un quadro ancor più caotico: Montreal, Ottawa, New York, Sydney, giusto per citare i casi più recenti e celebri. Il problema dell’Isis, dal nostro punto di vista, è che il suo è un terrorismo senza piano. Anche gli jihadisti tunisini hanno improvvisato. Hanno fallito l’attacco al parlamento e hanno ripiegato sul loro secondo obiettivo, un museo pieno di turisti stranieri. I bersagli potenziali sono infiniti: istituzioni, opere d’arte ed edifici dal grande valore simbolico, musei, vignettisti, turisti, chiese, sinagoghe e comunità ebraiche, luoghi affollati, locali pubblici … qualunque cosa. La strategia dell’Isis consiste proprio nel creare caos e ci sta riuscendo bene. Come? Semplicemente non dotandosi di una struttura. Lo Stato Islamico è una realtà, sia chiaro: ha la sua struttura i suoi approssimativi confini tracciati a cavallo di Siria e Iraq. Ma fuori di esso ognuno si organizza come vuole. Chiunque abbia idee islamiche rivoluzionarie e voglia iniziare a menar le mani, dalla Nigeria alla Norvegia, si aggrega all’Isis, ne adotta bandiera, slogan e programma e agisce in modo autonomo.

Di fronte a un nemico del genere non esiste ancora una risposta pronta. L’intelligence occidentale aveva combattuto contro Al Qaeda che, pur essendo policentrica e flessibile, ora, al confronto, appare già come una struttura più rigida e gerarchizzata, dunque più prevedibile. Di fronte a un nemico così fluido come quello attuale, nessuno si è ancora abituato. Resta però ancora un mistero come mai non sia ancora stato affrontato il toro per le corna: come mai, fuor di metafora, non sia ancora stato distrutto lo Stato Islamico. Senza quell’esempio, unico nel suo genere, di Stato jihadista compiuto e realizzato, di “islamismo reale”, per usare una definizione presa a prestito dal marxismo, non assisteremmo neppure ad una proliferazione così vasta, rapida e ramificata di movimenti jihadisti ovunque nel mondo.


di Stefano Magni