giovedì 26 febbraio 2015
La Sicilia è una terra bellissima, sia per gli aspetti naturali sia anche per l’affinità di cultura, prettamente mediterranea, che la accomuna con le nazioni Maghrebine, in particolare la Tunisia.
Osservando un po’ più attentamente la realtà odierna, ci si accorge che molte tradizioni tunisine sono simili a quelle siciliane e viceversa. Basti pensare che l’unica parte d’Italia dove si mangia il cuscus sia proprio la Sicilia, soprattutto il versante occidentale, così come le migliori tradizioni sulla ceramica leghino da tempo Gibellina a Nabel. A meno della lingua e di alcuni aspetti religiosi, il sistema di vita e la cultura di fondo della Tunisia e del sud dell’Italia si assomigliano molto, al punto tale che noi italiani in Tunisia amiamo spesso dire che la cultura tunisina è tipicamente Mediterranea, identificando in questo mare la “culla” in cui i nostri popoli sono cresciuti.
Per entrare un po’ più nel dettaglio della comune storia bisogna far riferimento alle invasioni dei popoli Arabi in Sicilia e agli spazi di conquista dell’Islam nell’intero Mediterraneo, che la storia indica tra l’Ottocento e il Mille. Periodo in cui la Sicilia iniziò il suo cammino per divenire quell’importante nodo strategico commerciale che ancora oggi occupa nello spazio internazionale. Si passò da una indubbia ed importante roccaforte dell’ortodossia cattolica (tra il 650 ed il 760 tutti i Papi a meno di due furono siciliani) ad una forma di vita assoggettata sì all’invasore arabo, ma molto più simile ai tempi d’oggi di quanto si possa pensare.
La Sicilia si trovò in una realtà multi-religiosa, anticipando quindi di mille e duecento anni quella convergenza di popoli che oggi troviamo sul versante europeo del Mediterraneo. Si era agli inizi dell’800 quando l’ammiraglio di origine spagnola Eufelio, a seguito del fallimento di una sommossa popolare da lui guidata contro il regime ecclesiastico che regnava in Sicilia, chiese aiuto all’Emiro Saraceno, promettendo la sottomissione della Sicilia in cambio di essere nominato suo Governatore.
L’Emiro inviò circa 10mila arabi (le prime furono forze Berbere che sbarcarono a Mazara del Vallo) che acquisirono in breve il controllo dell’isola. La conquista araba non fu certo indolore e trascinò con sé distruzione e disordine. Ma i nuovi conquistatori si rivelarono clementi. A molte città fu concessa l’autonomia amministrativa, mentre su tutto il territorio siciliano fu consentita la libertà di culto. Certamente con molte discriminazioni: i cristiani e gli ebrei dovettero portare segni di riconoscimento, segnare le loro case e, soprattutto, pagare più tasse. In compenso, le aperture applicate dagli arabi alla vita sociale, unitamente alla politica economica dei musulmani, determinarono la fioritura del commercio e fecero della capitale una grande città cosmopolita. Palermo si riempì di orti e giardini meravigliosi, ma fu anche punto di riferimento nello sviluppo dell'agricoltura, dei manufatti tessili e nella marineria della pesca. È da allora, infatti, che la marineria siciliana e araba (tunisina) si fusero, portando efficaci miglioramenti tecnologici ed estendendo il commercio del pesce all’intera fascia nord dell’Africa Maghrebina. La Sicilia “Musulmana” a maggioranza Cristiana fu governata per oltre duecento anni, dagli Aglabiti prima e poi dai Fatimiti, per finire con la famiglia dei Kalbiti, grazie alla quale la Sicilia guadagnò l’indipendenza dall’Impero Bizantino.
Fu quello il periodo di maggiore splendore della Sicilia araba. Palermo divenne il simbolo della civiltà arabo-sicula: popolosa (circa quattrocentomila abitanti) e ricca, con intorno al suo antico centro una fascia di sobborghi agricoli e amministrativi, con più di 100 moschee, che si unirono alle più di 400 chiese cristiane e ai luoghi di culto ebraici. La regione attorno alla città fu un esempio del successo economico della dominazione araba. Malgrado sia stato imposto il frazionamento della proprietà terriera, si sviluppò una conduzione agricola intensiva e raffinata (con canali d'irrigazione già adottati nelle oasi desertiche), arricchita dalla coltivazione di specie preziose e rare, come il cotone, il lino, la canapa, la canna da zucchero, il riso, gli agrumi, l’henné, la frutta secca, i datteri. Nel settore dell’ambiente grazie alla lungimiranza di un Emiro Saraceno Kalbita, onde evitare l’inutile surplus, furono imposte forti restrizioni sul pescato, con severi controlli sui pescatori di allora. Nella sostanza, egli fu un precursore delle politiche ambientali imposte oggigiorno dall’Unione Europea. Altrettanto sviluppo fu dato alla cultura, alimentata dai contatti con la civiltà dell'Islam mediterraneo (l'Andalusia per la cultura letteraria, il Maghreb, l’Egitto e l’Iraq/Siria per la cultura scientifica). Fulgido esempio ne è la splendida letteratura in lingua araba fiorita alla corte palermitana. In particolare fu la poesia ad essere amata e coltivata. Scrive Ibn Hamdis, nel salutare malinconicamente la terra di Sicilia caduta nelle mani dei Normanni: “Un paese cui la colomba prestò il suo collare/e il pavone vestì del manto screziato delle sue penne”.
Nel 1061, i protagonisti del mondo mediterraneo cambiarono nuovamente. Ruggero il Normanno sbarcò a Messina “inaugurando”, così, l'avanzata normanna nell'isola, dando nuovo impulso al coacervo di tradizioni e di cultura che fanno della Sicilia un riferimento, ancora oggi valido per l’intero Mediterraneo.
Il periodo islamico della storia siciliana è comunque da studiare attentamente e rivalorizzare, perché rappresenta il primo modello di convivenza di culture che ha portato a una forma di integrazione che è stato anche modello di sviluppo e di splendore economico. Un orientamento dell’Islam che non ha dunque niente a che fare con quanto propone il sanguinario Islam dell’Isis di oggi.
di Fabio Ghia