La “pace” in Ucraina c’è solo sulla carta

giovedì 19 febbraio 2015


Una buona e una cattiva notizia dall’Ucraina. La buona notizia è che oggi è iniziato il cessate il fuoco. Sia i miliziani pro-russi che i regolari ucraini stanno ritirando truppe e armi pesanti oltre la fascia di sicurezza stabilita dagli accordi di Minsk. La cattiva notizia è che oggi è il 19 febbraio e il cessate il fuoco era previsto per la mezzanotte del 15 febbraio. E in questi quattro giorni la cittadina di Debaltseve è stata conquistata dai miliziani pro-russi, compromettendo forse definitivamente gli accordi di Minsk.

La presa di Debaltseve spiega una serie di ambiguità degli accordi di Minsk. Il presidente russo Vladimir Putin aveva insistito per un cessate il fuoco dilazionato di 70 ore, non immediato come chiedeva il presidente ucraino Petro Poroshenko. Quelle 70 ore scadevano alla mezzanotte del 15, le milizie pro-russe non ce l’hanno fatta a conquistare Debaltseve entro quella data e allora hanno proseguito le operazioni per altre 70 ore, fino a ieri, finché non hanno costretto una brigata regolare ucraina alla ritirata. Spiega anche quei 50 (almeno 50) carri armati russi arrivati attraverso il confine orientale ucraino, proprio mentre i capi di Stato europei erano a Minsk a tentare di ottenere una tregua. E infine, la caduta di Debaltseve spiega perché quella cittadina fosse esclusa dagli accordi di Minsk: due commissioni militari, una per parte, avrebbero dovuto ispezionare l’area e decidere dove far passare la linea del cessate il fuoco. Come sappiamo già, è andata diversamente: non sono state due commissioni militari a stabilire la nuova linea, ma la forza delle armi russe.

A questo punto, si aprono diversi interrogativi. Il primo è, ovviamente, quanto e se potrà continuare il cessate il fuoco. Il presidente ucraino, dopo aver cercato di minimizzare l’accaduto (ha parlato di “ritirata strategica” dalla città) ha anche preannunciato un contrattacco. In questo caso, il copione è già scritto: se i regolari ucraini contrattaccano, i miliziani pro-russi risponderanno con l’annullamento di tutti gli accordi raggiunti, come ha già minacciato il loro leader Alexander Zakharchenko. Il leader di Donetsk ha infatti espresso due concetti: questo accordo di cessate il fuoco è l’ultima chance e la responsabilità di un’eventuale rottura ricade interamente sul presidente Poroshenko. Ora che i suoi uomini hanno preso Debaltseve, un eventuale contrattacco dei regolari ucraini, farebbe cadere gli accordi. Riprenderebbe l’offensiva dei pro-russi, a Mariupol e in altri settori esposti, mentre Putin attribuirebbe la colpa a Kiev. La presa di Debaltseve ha suscitato le vive proteste delle leadership occidentali (il vicepresidente Joe Biden a nome degli Usa, Federica Mogherini a nome dell’Ue, il segretario generale Jens Stoltenberg a nome della Nato). Secondo il ministro degli Esteri russo, invece, la battaglia di Debaltseve non costituisce una violazione del cessate il fuoco. E per dimostrarlo, cita tutti i possibili cavilli e punti oscuri di quell’accordo.

Il secondo interrogativo riguarda, appunto, la reazione della comunità internazionale. Francia e Germania, con la loro presenza a Minsk, si erano fatti garanti del rispetto della tregua. I pro-russi, appoggiati da Mosca (altra garante), l’hanno violata subito. E adesso? Ci sono contromisure pronte? Sanzioni economiche? Gli Usa armano i regolari ucraini, come avevano ipotizzato la settimana scorsa? Sulle prime, l’Europa è divisa. Solo la Gran Bretagna, la Svezia, i Paesi baltici e la Polonia vorrebbero un inasprimento delle sanzioni economiche. Ma tutto il resto dell’Europa è contrario, oppure frena (come le stesse Francia e Germania). Gli Usa potrebbero proporre di nuovo un sostegno militare all’esercito di Kiev, ma Francia e Germania si sono già dette contrarie. In pratica, la comunità occidentale rischia, ancora una volta, di perdere credibilità. Prima degli accordi di Minsk erano stati usati termini duri, senza precedenti, il presidente francese François Hollande aveva anche nominato la parola “guerra” (in caso di fallimento dei negoziati), ma di fronte al primo fallimento degli accordi seguono solo proteste formali.

Vista la scarsa reattività della comunità internazionale, che conferma una tendenza già ben visibile in tutte le fasi della crisi nell’ex Urss, la prossima mossa spetta interamente al governo di Kiev. E questo è il terzo e più grave interrogativo. Se contrattacca, sa che subirà la seconda fase dell’offensiva delle milizie pro-russe. E non ci saranno altre chance di accordo: questa volta i pro-russi andrebbero avanti fino al raggiungimento di tutti i loro obiettivi. Se non contrattacca, sa che il morale delle truppe e della popolazione potrebbe ulteriormente abbattersi, perché l’abbandono di Debaltseve e di ampi territori dell’Est verrebbe vista da tutti come un gesto di resa e di rassegnazione alla sconfitta.


di Stefano Magni