Scott Walker, il (non) laureato

martedì 17 febbraio 2015


Lungo, dettagliato, quasi morboso articolo di David A. Fahrenthold per il Washington Post, sul “mistero” della mancata laurea di Scott Walker alla Marquette University. Il succo, alla fine, è che – arrivato all’ultimo anno di college – l’attuale governatore del Wisconsin ha preferito accettare un buon lavoro (all’American Red Cross) e poi sposarsi piuttosto che aspettare l’arrivo del “pezzo di carta”. A posteriori, non si può certo dire che la sua sia stata una scelta sbagliata. A quanti giovani reaganiani laureati è capitato di battere i democratici per tre volte in quattro anni nello stato blu che ha inventato il sindacalismo a stelle e strisce?

Eppure, statene pur certi, l’argomento diventerà uno dei cavalli di battaglia preferiti dai mainstream media nel caso in cui Walker scegliesse – come ormai sembra probabile – di scendere in campo. Secondo Russ Smith, su SpliceToday, si tratta di un sintomo del panico che serpeggia tra i giornalisti, terrorizzati dall’ipotesi che un “terzo incomodo” posso rovinare il reality show politico che stanno già organizzando in caso di sfida tra le dinastie Clinton e Bush. E non c’è dubbio che l’estemporanea uscita di Howard Dean su Msnbc, di fronte a uno sbigottito Joe Scarborough, punti decisamente nella stessa direzione.

Qualunque sia il motivo di tanto accanimento (naturalmente non si può neanche escludere il semplice bias anti-GOP che caratterizza la grande maggioranza dei media tradizionali), l’aspetto paradossale di tutta la vicenda è che – come fa notare Joe Cunningham su Red State – stiamo uscendo dal doppio mandato di un presidente che, a differenza di Walker, l’università l’ha finita. Ma che al college si è distinto soprattutto per aver sniffato più cocaina di un mulo colombiano affetto da priapismo. Eppure, nel caso di “Barry” Obama – da candidato o da presidente – i media si sono ben guardati dall’andare a scavare nel suo passato universitario, limitandosi a passare le veline degli Axelrod di turno. Con Walker, invece, che candidato ancora non è, già sappiamo il suo voto in “introductory french” (D-). Grazie al cielo, per i militanti repubblicani andare male in francese (e probabilmente anche non puzzare di Ivy League) è un tratto positivo del carattere di un candidato. Ma questo, i mainstream media, non lo capiranno mai.

Tratto da rightnation


di Andrea Mancia