Rivoluzione iraniana e integralismo islamico

mercoledì 11 febbraio 2015


L’11 febbraio 1979 il regime monarchico dei Pahlavi e con esso la monarchia in Iran venivano relegati alla storia. Gli iraniani, con una poderosa rivoluzione, voltavano pagina. La rivoluzione, frutto dell’impossibilità di riformare il regime dello sciah, aveva le sue radici nell’aspirazioni profonde alla giustizia sociale della società iraniana e nelle istanze democratiche rivendicate dalla popolazione.

In Iran i primi germogli della democrazia, nella sua accezione moderna, risalgono alla fine dell’Ottocento quando, dopo secoli di letargo, i persiani vessati e umiliati dai despoti di turno, decisero di rivendicare i loro diritti e difendere i loro interessi. Dopo i primi successi di questo movimento, si formò in Persia il concetto Nazione che si materializzò nel 1906 nella formazione del Parlamento che, con tutti i suoi limiti del tempo, formulò la Costituzione. Con la costituzione, non soltanto le leggi fondamentali venivano redatte con i presupposti dello Sato laico, ma per la prima volta i diritti dei cittadini si concretizzavano attraverso la scrittura. Siamo al principio del Novecento, quando la Gran Bretagna dominava col suo colonialismo e la Russia zarista, paese confinante con la Persia, era in vena di avventurose espansioni.

Le influenze sul neonato parlamento persiano furono tali che si riempì di filo inglesi, mentre i russi, addirittura pensarono di bombardare il Palazzo del Parlamento il 23 giugno del 1907. Insomma, dopo pochissimo tempo l’embrione della democrazia in terra persiana venne soffocato sotto i malefici e pesati stivali delle pedine interne guidate dalle ingerenze straniere. Della Costituzione rimase una carta sbiadita e dimenticata. Il Paese entrò nel caos dell’instabilità da cui nacque nel 1926 la monarchia dei Pahlavi, con una marcia su Teheran del suo fondatore Reza Khan. Durante la II guerra mondiale, nell’agosto 1941, furono sempre gli interessi stranieri inglesi, a destituire il fondatore dei pahlavi e a sostituirlo con suo figlio ventiduenne, dal carattere assai fragile.

Mohammad Reza Shah, cresciuto in balìa del carattere prepotente del padre e tra le severità della balia tedesca e le scuole svizzere, una volta sul trono non poté soffrire il carisma dell’incorruttibile patriota Mohammad Mossadeg. Quando quest’ultimo nazionalizzò l’industria del petrolio, nell’aprile 1951, tirandola fuori dalle mani della Gran Bretagna, lo sciah della Persia assecondò il volere dei paesi stranieri, e “acconsentì” al golpe della CIA contro il governo amatissimo di Mossadeg. Con il colpo di Stato in Iran gli Stati Uniti d’America s’incoronano come superpotenza. Con il golpe dell’agosto 1953 contro il governo laico e democratico, a Teheran si attivò uno straordinario catalizzatore di integralismo islamico che si propagò in tutto il Medio Oriente.

Da lì nacque la teoria della “cintura verde” per arginare l’influenza dell’Unione Sovietica (siamo nel 1972). L’architetto del progetto fu Zbigniew Brzezinski, che nel ’76 diventò il consigliere di Sicurezza di Carter e, rimane tuttora, ascoltassimo da Barack Hossein Obama. Via le brutali dittature dichiaratamente filooccidentali, viva i regimi di ispirazione islamica in Medio Oriente sotto il controllo dell’Occidente. Nel Medio Oriente dovevano andare al potere regimi di ispirazione islamica; una sorta di partiti simili ai partiti di ispirazione cristiana che andarono al potere in Italia e in Germania negli anni immediati dopo la II guerra mondiale. La prima pedina fu l’Iran, ma l’arrivo di Khomeini, con la sua foga oltremodo reazionaria, ha complicato tutto. La rivoluzione democratica iraniana del 79, che avena istanze democratiche e laiche, fu usurpata e deviata da Khomeini verso lo Stato islamico con la complicità esplicita dell’Occidente.

Non a caso la prima contestazione contro l’imposizione integralista fu fatta a Teheran dalle iraniane e dagli iraniani l’8 marzo, contestazione che dura tuttora. Anni luci separavano Khomeini da De Gaspari, oltre alle abnormi differenze storico-ambientali. Dall’insediamento dello Stato islamico a Teheran è partita una guerra di sopravvivenza di questo regime, mai stabile, che ha rotto gli argini e ha invaso tutto il Medio Oriente e, oggi, quella guerra è integrata dalla versione sunnita dell’Isis. Queste guerre sono contro il mondo intero. Nonostante l’adozione della becera politica d’appeasement dei governi occidentali nei confronti del regime iraniano, quest’ultimo non ha nelle sue corde i presupposti per una possibile convivenza nel terzo millennio.

È il regime iraniano che, oltre a reprimere il suo popolo, ha infestato tutto il Medio Oriente. Il paradosso è che, quando i governanti occidentali devono curare gli affari con i despoti disseminati qua e là, vanno a testa china mostrando “fraternità” e gettando via tutti i valori “occidentali”, salvo poi versare lacrime di coccodrillo dopo gli orrendi episodi di terrorismo e ripetere il loro algoritmo sui valori, che loro per primi calpestano. Così innalzano un muro tra gli “occidentali” e il resto del mondo, mostrando la loro ignoranza e malafede. I mass media occidentali sono pieni di upupe che svolazzando sorvegliano quel muro.

Se il divide et impera paga, ora a furia di dividere l’Umanità in occidentali e non, cristiani e non, bianchi e non, in sciiti, sunniti, salafiti, wahabiti eccetera siamo alla confusione più totale della povera opinione pubblica. Ma la mia impressione è che tutta questa confusione non sia frutto di “errori” della parte dominante del pianeta, semmai di un errore premeditato. Insomma c’è tanta ignoranza e grossolanità ma non si tratta di errore. Siamo sicuri che gli interventi militari dei paesi Alleati in Medio Oriente, che hanno causato il caos, siano stati semplicemente errori? Dobbiamo veramente credere che l’abbattimento dei vari Saddam e Gheddafi sia scaturito dall’amore per la democrazia? Possiamo formulare queste domande senza suscitare il dubbio di essere nostalgici di quelle dittature? L’instabilità mediorientale giova ai padroni del mondo, salvo quando le schegge colpiscono il cuore di New York, Londra, Madrid e Parigi. Dopo la seconda metà del Novecento nei paesi mediorientali, con la definizione e stabilizzazione dei confini, s’andava consolidando un’identità di nazione, preambolo per arrivare alla democrazia.

Esaltare la religione, certo l’ambiente era fertile, affidarle un ruolo da protagonista nella vita politica di quei popoli e fomentare le divisioni è stato un gioco facile per tenere tutto allo stato fluido in quelle terre dove i popoli, appartenenti alle varie religioni, avevano convissuto per secoli. Come giustificherà l’Occidente il golpe contro il governo laico e democratico di Mossadeg e l’appoggio pieno all’ascesa di Khomeini nel 79? Come giustificano le cancellerie democratiche la loro totale indifferenza verso le istanze democratiche del popolo iraniano e l’aver incatenato nella loro perversa lista terroristica la sua resistenza organizzata? Come si giustificano i mass media dei paesi democratici a non dare la voce a chi si batte per la libertà e la democrazia in Iran? Questi fanno i portavoce del ridicolo balletto messo in scena in Iran che divide gli uomini di regime in “moderati” e “oltranzisti”, ignorando del tutto la volontà dei cittadini.

A tutto questo c’è una soluzione? L’Iran e il Medio Oriente potrà avere pace e democrazia? Gli obiettivi della democrazia della rivoluzione iraniane del 79 sono ancora validi? La risposta è sì e c’è una soluzione: la laicità nei rapporti tra Stato e religione e la democrazia nei rapporti tra Stato e cittadino. Lo sa bene chi in Medio Oriente non ha alternativa tra il cimitero, il carcere e l’esilio. Solo in un sistema laico c’è il pieno rispetto per le religioni e il rispetto totale della libertà di espressione. I governi occidentali devono semplicemente e senza cedimenti rispettare i valori universali nel mondo e nei loro paesi applicare senza indugi le leggi dello Stato.

La classe politica sembra poco propensa ad assolvere questo compito. Non rimane altra scelta che sperare nella società civile e nella partecipazione dei cittadini alla vita politica, ma questo non è altro che l’applicazione della Democrazia. Questo era l’obiettivo dei patrioti persiani alla fine dell’Ottocento, era la politica del governo di Mossadeg, erano i desideri degli iraniani nella rivoluzione del 79 e a questa punta il Movimento di resistenza iraniana guidata da una donna musulmana Maryam Rajavi.


di Esmail Mohades