Parigi, fine incubo durato due giorni

sabato 10 gennaio 2015


Mentre sui media e social media si svolgevano i soliti, estenuanti, dibattiti sui “limiti della libertà di espressione” e sull’“Islam moderato”, in Francia si consumava la tragedia. Quella vera. La fine della caccia ai terroristi che hanno massacrato la redazione intera del Charlie Hebdo.

L’8 gennaio, il giorno dopo il massacro, mentre centinaia di migliaia di parigini manifestavano la loro solidarietà scendendo in piazza, a commemorare le vittime, la caccia ai terroristi iniziava.

Dopo aver massacrato la redazione del Charlie Hebdo, il commando di jihadisti crivella di colpi un’auto della polizia e fredda un poliziotto accorso sul luogo della strage, un francese di origine araba, Ahmed Merabet, quarantaduenne, musulmano. E’ l’atto finale della strage, ma il primo episodio di una lunga e rocambolesca fuga. I tre uomini che compongono il commando attraversano tutta Parigi, dal centro al nordest della capitale. Dopo tre chilometri, abbandonano la loro auto e ne sequestrano una seconda, una Clio bianca, costringendo il proprietario a cederla. Si diffonde subito la notizia che potrebbero avere un ostaggio con loro.

In serata vengono diffusi dalla polizia francese i primi dati sui terroristi. Sono due i presunti killer, due fratelli di 34 e 32 anni, più un terzo uomo di 18 anni. I due fratelli hanno lasciato la loro carta di identità nella prima auto usata per la fuga. Distrazione grossolana o depistaggio deliberato? Secondo i documenti si tratta, comunque, di Said e Cherif Kouachi, due fratelli noti alla polizia e ai servizi di intelligence francesi. Secondo la polizia, i due fratelli sono nati a Parigi, e hanno "un profilo di piccolo delinquenti che si sono radicalizzati". Il più giovane, Cherif, era stato arrestato nel 2008 e condannato a 3 anni di prigione, di cui 18 mesi con la condizionale, in quanto componente di una gruppo che inviava combattenti estremisti in Iraq, basata nel 19/o arrondissement di Parigi. Nei mesi scorsi i fratelli Kouachi hanno cercato di sfuggire alla sorveglianza spostandosi da Parigi a Reims, dove avvengono le prime perquisizioni a tappeto delle forze speciali della polizia francese. Dei due, però, neanche traccia.

Il terzo complice viene identificato in un giovane senza dimora di 18 anni, Hamyd Mourad, che, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto da autista. Ma a quanto risulta non c’entrerebbe nulla. Quando il suo nome si diffonde nei notiziari, i social network scoppiano, su Twitter parte l’hashtag “Hamyd è innocente” lanciato dai suoi compagni di classe. Giurano che non sia nemmeno mai andato a Parigi, ma fosse rimasto a scuola a Charleville-Mézières.

Ieri mattina è Mourad stesso a consegnarsi alle autorità locali, con un solido alibi a suo favore. Nella stessa mattinata, il panico si diffonde di nuovo nella capitale francese: sparatoria nella periferia Sud. Secondo una prima ricostruzione degli eventi, due vigili intervengono per un incidente stradale in cui sembra coinvolta una Clio bianca, un’auto simile a quella su cui i due attentatori del Charlie Hebdo. A un certo punto un uomo con addosso uno zaino si avvicina, sfodera un fucile d’assalto e apre il fuoco contro i due agenti per poi fuggire. La vigilessa muore per le ferite riportate, dopo il trasporto in ospedale, un altro agente è ferito. Viene arrestato un sospetto, un nordafricano di 52 anni con precedenti, che andava in giro armato di fucile mitragliatore e indossando un giubbotto antiproiettile. A questo punto le informazioni si confondono. Ci pensa il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve ad affermare che l’uomo arrestato non è l'uomo che ha sparato contro i poliziotti. L’attentatore sarebbe ancora in fuga. Inoltre, la versione diffusa dalla polizia afferma anche che non vi sarebbe alcun legame fra questo fatto di sangue e la strage del Charlie Hebdo. Dopo la diffusione della notizia, mai confermata, di un assedio ai due presunti killer barricati in una casa nel Nord di Parigi, la zona in cui vengono attualmente condotte le ricerche è nell'estremo Nord della Francia, in Piccardia, dove è scattata la massima allerta. I due fuggitivi sarebbero stati segnalati, inoltre, da una pompa di benzina da essi stessi derubata, nella regione dell’Aisne.

Le autorità francesi, comunque, dopo l'ultimo vertice d'emergenza all'Eliseo, ribadiscono la loro politica del silenzio e della riservatezza. Ma la Francia, oltre che essere solidale con le vittime è carica di rancore. Il segno di questa diffusa rabbia popolare si manifesta subito, nella notte fra il 7 e l’8 gennaio, con una serie di attacchi vandalici contro le comunità musulmane. Una bomba è lanciata contro la moschea di Le Mans, un ristorante kebab (di fianco alla locale moschea) viene incendiato a Villefranche-sur-Saone, vicino a Lione, colpi di arma da fuoco sono esplosi contro la sala da preghiera di Port-la-Nouvelle, nel Sud della Francia. Nessun morto, si tratta solo di avvertimenti molto pesanti. Nella serata dell’8 gennaio la mobilitazione raggiunge il picco: 88mila uomini mobilitati. Per dare la caccia a due uomini in fuga.

La giornata del 9 gennaio, ieri, si rivela risolutiva. L’area in cui si sono nascosti i killer risulta essere molto più vicina a Parigi di quanto si sospettasse, a Dammartin-en-Goele, una quarantina di chilometri a Nord della capitale. Dopo un inseguimento in auto, si barricano in una tipografia. Nel capannone c’è un solo tipografo che riesce a nascondersi in uno scatolone di cartone e inizia a comunicare con le forze di polizia. I Kouachi non lo scopriranno mai.

Nel corso della mattinata, nella cittadina francese arrivano forze speciale e polizia, tutte le vie di accesso sono bloccate e inizia l’assedio. Mentre inizia la trattativa, c’è un secondo colpo di scena. Vi ricordate l’uomo, ancora in fuga, che aveva sparato a una vigilessa uccidendola, la mattina dell’8 gennaio? Ebbene torna in azione, sequestrando un negozio di cibo Kosher, a Parigi, nei pressi di Porte de Vincennes, prendendo in ostaggio tutti e 25 i clienti. Minaccia di ammazzarli tutti se la polizia dovesse uccidere i fratelli Kouachi. E’ lui il misterioso terzo uomo e non è neppure solo: con lui c’è anche una donna. Lui si chiama Amedy Coulibaly, originario del Mali. Lei, una ragazza nordafricana, è Hayat Boumeddiene. Alle tre del pomeriggio di ieri, Parigi e i dintorni appaiono veramente come una zona di guerra, attaccata in più punti da nemici che sfuggono alle maglie della sicurezza. Tutto, però, si conclude per il meglio due ore dopo.

Prima che cali il buio, alle 17,25 scattano in simultanea i blitz delle teste di cuoio francesi a Dammartin e Parigi. I tre terroristi vengono eliminati. Scappa solo, assieme agli ostaggi, Hayat Boumeddienne, tuttora latitante. La prima mossa la compiono i fratelli Kouachi, che escono allo scoperto sparando. Vogliono morire da shahid, martiri, e trovano la loro fine. La sparatoria a Dammartin-en-Goele fa scattare automaticamente il blitz delle teste di cuoio anche a Parigi. La polizia sa cosa sta avvenendo a quaranta chilometri di distanza, i due sequestratori del negozio ebraico no: l’area è stata isolata dalle comunicazioni telefoniche. Dunque non riesce a sapere della morte dei Kouachi, né a compiere la sua vendetta in tempo reale. Quando i poliziotti liberano anche quei locali, però, trovano i cadaveri di quattro ostaggi, molto probabilmente uccisi prima del blitz, più probabilmente all’inizio del sequestro. Altri quattro ostaggi sono feriti durante il raid di liberazione, ma comunque gli altri sono liberi.


di Stefano Magni