Costringere Germania ad uscire dall’Euro

sabato 10 gennaio 2015


Nel 2015 Danimarca, Finlandia, Grecia, Polonia, Portogallo, Spagna, Gran Bretagna e si spera Italia andranno a votare e di riflesso l’Europa avrà una nuova fisionomia. Finchè l’integrazione non è divenuta stringente come oggi, cioè finchè non si è messo mano ai conti, l’Europa è stata un ideale di integrazione nobile. Oggi che è la realtà vera dell’economia e delle economie tutte ad imperversare, l’Europa è in piena crisi e si pone il problema della propria stessa sopravvivenza.

Questa Europa di oggi è una sorta di stipendificio istituzionale al di sopra e in aggiunta a quello nazionale che serve davvero a poco per i cittadini europei intesi quale popolo d’Europa unito. Con una burocrazia strapagata e soverchiante, questa Europa presenta ben poca omogeneità, non vi è quasi più alcuna motivazione comune né alcun valore aggiunto apportato al progetto integrativo originario. Tappe del processo si sono avute proprio grazie al nostro Paese quando l’Europa era di dimensioni notevolmente più piccole e soprattutto intrisa di spinte ideali di coesione continentale. Nel 1985 è stata proprio l’Italia, al vertice di Milano, a dare il via alla riforma dell’Atto unico, cioè al Trattato che nel 1992 ha dato vita al mercato comune europeo; nel 1990 è stata l’Italia, al vertice di Roma, a porre il primo tassello del processo giunto, nel 1999, alla introduzione dell’euro.

Oggi questa Europa è in crisi sia di identità che di futuro, travolta da economia, finanza, rigorismi e tecnicalità, a fronte dell’inesistenza dell’Europa politica, e soprattutto del consenso stesso dei suoi cittadini, privi di senso di appartenenza o anche solo di qualsivoglia direzione da intraprendere. L’Italia da decenni non ha più influenza economica o politica atta ad incidere, influenzare, tantomeno dirigere, essa è unicamente il contributore di prima istanza, vero e proprio ufficiale pagatore per tutti, talvolta più di tutti. Il nostro Paese ha non solo infatti contribuito abbondantemente economicamente alla riunificazione della Germania, ma ha sempre contribuito sommamente e contribuisce grandemente tuttora con ingenti capitali a favore e per l’Europa, un vero e proprio travasamento di somme dal nostro Paese, tra i più ricchi d’Europa, ai più poveri nuovi arrivati e scriteriatamente troppo presto acquisiti. La presidenza italiana del semestre europeo, a metà gennaio 2015 conclusa, è stata la rappresentazione plastica della estrema debolezza e inconcludenza istituzionale e governativa dell’Italia odierna in Europa.

L’Italia avrebbe potuto e dovuto dare nuova linfa vitale al progetto comune mentre al contrario si è occupata mestamente e malamente solo di ambiente, di efficienza di trasporti e ogm, temi interessanti ma a condizione che fossero stati risolti in precedenza temi più urgenti e fondamentali quali l’economia (made in Italy), la crescita (eurounionbond), lo sviluppo (investimenti) e il benessere continentale comuni. Non c’è stata invece nessuna iniziativa politica, nessuna strategia geopolitica, nessuna crescita economica, o politiche per l’occupazione, né di contenimento della disoccupazione preoccupantemente crescente, nessuna revisione o ricontrattazione di alcuna regola, nessun investimento effettivo, nessuno sviluppo. Solo perdita di tempo e orpelli istituzionali, gratifiche d’oro per vanagloriosi.

L’Italia ha sbagliato da tempo e sta tuttora sbagliando in Europa. Ridotta a pietire astrusamente quanto inutilmente flessibilità, allo stato attende il voto d’esame che le verrà dato da un’Europa tedesca sui propri margini interni di manovra del bilancio nazionale. Non avendo saputo ragionare, prevenire, comprendere e agire, a marzo 2015 sarà alla deriva, insieme a tutta l’Unione europea, e all’idea originaria di coesione e vigore comuni. Quando l’Unione è diventata effettiva, cioè ha toccato le tasche degli Stati membri, la Germania si rivelata essere storicamente uguale a se stessa, cioè ha commesso sempre gli stessi errori.

Unificata grazie a noi europei, ingrata del passato e avida e ingenerosa nel presente, oggi considera blocco europeo effettivo unicamente se stessa e un insieme di Paesi storicamente a sè vicini quali la Finlandia, l’Austria, l’Olanda e il Belgio, Stati aventi oggi rating economico finanziario AAA; al contempo da ultimo non disdegna che Paesi scomodamente economicamente deboli quali il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna e la Grecia (dalla stessa Germania distrutta) escano dall’euro; sta a guardare, compiacendosene, l’Inghilterra in costante manifesta uscita dall’Unione e lo fa perché ciò le fa comodo, giocando a favore dei suoi stessi interessi; trattiene a sé la Francia sua vera foglia di fico nello scenario europeo poiché diversamente si ripresenterebbero gli schieramenti tali e quali delle pregresse guerre mondiali; mentre osserva con paura ciò che fa, decide di fare ed è (continua ad essere nonostante tutto) l’Italia all’interno della composizione economica mondiale.

E’ l’Italia infatti il vero problema della Germania e dell’attuale Europa a trazione tedesca, non solo perché noi siamo la seconda potenza industriale europea, dunque suoi concorrenti diretti spesso vincitori, ma soprattutto perché, alleati alla bisogna, e costituito un forte e stretto nocciolo duro di Paesi quali la Francia e l’Inghilterra, l’Italia può dare vita e fare esistere un’area di libero scambio da cui può essere fatta rimanere fuori, esclusa, la stessa Germania.

Se un’Europa politica viene oggi impedita all’Unione tutta proprio a causa della Germania, niente esclude la possibilità di creare le condizioni tali da invogliare o invitare la Germania ad uscire all’euro. La storia, come è noto, non si fa né con i “se” né con i “ma”. La storia si fa con i fatti, possibili o immaginati, concretatisi in realtà vera, come può essere l’invito de facto rivolto alla Germania, da parte degli Stati membri “alleati” e maggiormente di “peso”, ad uscire dall’euro.


di Francesca Romana Fantetti