Il muro di Cuba non è ancora crollato

venerdì 19 dicembre 2014


Non è ancora caduto il muro di Cuba. A ventiquattr’ore dallo scambio di spie fra Stati Uniti e il regime castrista, dopo l’annuncio di Barack Obama su un prossimo appeasement fra Washington e L’Avana, quel “muro” resta intatto.

Prima di tutto, lo scambio di prigionieri è una mossa ad alto impatto mediatico, ma non ha immediate conseguenze politiche. Gli Usa hanno ottenuto la liberazione di Alan Gross, dipendente di Us Aid in carcere da cinque anni e in gravi condizioni di salute e di un altro, mai nominato, agente dell’intelligence. Cuba ha ottenuto la restituzione di tre su cinque cubani incarcerati dopo una condanna di spionaggio. Di scambi di prigionieri, spie e dissidenti, ce ne sono stati tanti, nella lunga storia della Guerra Fredda. Ma nessuno di essi ha determinato la caduta del Muro di Berlino. La cortina di ferro si è dissolta solo dopo un processo del tutto non intenzionale, con il collasso dei regimi comunisti nell’Europa orientale, causati dal fallimento delle riforme di Michail Gorbachev. L’attuale leader cubano, Raul Castro, fratello di Fidel, non intende ripetere gli “errori” (da un punto di vista comunista) di Gorbachev nei Caraibi, non intende lasciare campo libero alla democrazia, ma è pronto a concedere solo piccole aperture, spesso simboliche, per mantenere in piedi il suo regime. Sarà soprattutto lui a dover decidere quale corso prendere nei prossimi anni. Se accettare la mano tesa dagli Stati Uniti, o conservare il suo potere assoluto.

Barack Obama, dal canto suo, sin dal 2008 annunciava la sua politica di appeasement con Cuba. L’attuale presidente democratico non ha mai considerato l’embargo, imposto da John F. Kennedy (democratico pure lui) dopo la crisi dei missili del 1962, come una strategia vincente. Ritiene, al contrario, che l’apertura allo scambio, di merci e persone, possa aiutare una riforma interna a Cuba. Di sicuro la fine dell’embargo potrebbe togliere un alibi al regime: quello sull’arretratezza economica. Finora, infatti, la propaganda comunista cubana ha sempre attribuito ogni colpa della povertà dei cubani all’embargo e non al fallimento del proprio sistema economico. Senza più embargo, non ci sarà più questa giustificazione. Di fronte alla loro innegabile miseria, i cubani dovranno rivolgersi direttamente al proprio regime, per chieder conto. Ma la fine dell’embargo, comunque sia, non si deciderà in questi giorni e non la deciderà Obama, che pure promette di esercitare la massima pressione possibile per ottenerla. La palla passa ora al Senato, che da gennaio sarà dominato dai Repubblicani e che, anche oggi, nelle ultime due settimane di maggioranza democratica, non ha un parere dominante. I repubblicani, a partire da Marco Rubio (cubano d’origine), non hanno affatto accettato l’appeasement, lo considerano come una ritirata strategica degli Stati Uniti, come una vittoria immeritata concessa al regime di Raul Castro.

Le reazioni all’estero, confermerebbero i timori dei repubblicani, condivisi pienamente dalla comunità di dissidenti cubani in esilio. La mossa a sorpresa di Obama, è stata salutata felicemente da Maduro, il successore di Chavez e dalle Farc (il movimento di guerriglia marxista in Colombia): tutti costoro sono felici per la “vittoria” cubana dopo una prova di forza di quasi sessant’anni. Non vanno confusi con Papa Francesco, con il premier canadese Stephen Harper e i leader europei unanimi che, in questa apertura a Cuba, vedono una speranza di pace e di riforma del regime: i vecchi e nuovi castristi sottolineano, al contrario, l’umiliazione degli Stati Uniti. In questa enfasi si può notare un’assoluta mancanza di volontà di riformare il sistema castrista, ora dipinto come il vero vincitore.

Le reazioni dei cubani sono miste, ovviamente, a seconda di dove si trovano. Chi si trova in esilio, come i cubani di Miami e della diaspora europea, non gioisce affatto. Dopo aver subito anni di persecuzione ed essere fuggiti in modo più o meno rocambolesco, ora assistono alla festa dei loro persecutori e si sentono completamente abbandonati. I dissidenti cubani in patria, al contrario, stando alle prime reazioni dei blogger, incrociano le dita e sperano che questa apertura, una volta completata, possa effettivamente portare al collasso del sistema comunista cubano. Probabilmente, pensano, con le merci e le persone arriverà anche la libertà dal Nord America. I cubani castristi (e i loro numerosi amici castristi non cubani, sparsi in tutto il mondo) si percepiscono, per ora, come gli unici veri vincitori.

Ma nessuno di essi considera che il muro di Cuba non è ancora crollato.


di Stefano Magni