Nato, ritorno al futuro (della guerra fredda)

giovedì 4 dicembre 2014


Bruxelles, il maggior risultato della riunione dei ministri degli Esteri della Nato, è l’approvazione della nuova task force di intervento rapido, la Spearhead Force. Si tratta di una struttura nuova, composta, a rotazione, da truppe fornite dai Paesi membri dell’Alleanza. I primi ad aderire sono Germania, Olanda, Norvegia. In cosa consisterà questa nuova formazione? Sarà multi-arma: includerà forze aeree, navali e terrestri, delle dimensioni di una brigata. Di fatto, si tratta della maggior innovazione nella strategia della Nato negli ultimi anni: una forza mobile di primo intervento, molto mobile, sempre in stato di allerta, pronta ad essere impiegata in qualunque settore di crisi, a confine orientale dell’Alleanza (in caso di guerra con la Russia) o su quello meridionale (in caso di rischio terrorismo dalla Libia, minacce dal Califfato o altri scenari di là da venire).

La composizione, l’organizzazione e la struttura logistica delle unità sono ancora oggetto di dibattito. Questa nuova forza di reazione rapida sarà operativa solo nel 2016. Nel frattempo è stato deciso, in questa stessa sede, di costituire una Spearhead Interim Force, di cui esistono già unità, comandi, logistica, costituita da contingenti offerti dai Paesi membri.

In teoria la nuova brigata di intervento rapido serve per coprire ogni emergenza, ma in pratica (ed è impossibile girarci attorno) è nata per rispondere alla minaccia della Russia. Una fonte ufficiale della Nato ci spiega, infatti, che la conquista della Crimea da parte di forze irregolari russe e il dispiegamento rapido di truppe regolari ai confini orientali dell’Ucraina, hanno mostrato quanto rapidamente Mosca può mobilitare e schierare le sue truppe. L’esercito russo può dispiegare un’unità delle dimensione di un’armata in meno di una settimana in qualunque punto del suo fronte occidentale, a ridosso della Nato. L’Alleanza, al momento, non dispone di questa capacità di pronto intervento, ovunque, lungo il suo fronte orientale. La Spearhead Force, dunque, nasce proprio per colmare questo gap.

Ci si può chiedere, piuttosto, cosa possa fare (nel caso per ora remoto che scoppi veramente una guerra con la Russia) una sola brigata mobile, per quanto ben addestrata e composta da truppe d’élite, contro un’intera armata corazzata. La nuova unità, ci spiega la stessa fonte ufficiale della Nato, è sia operativo che politico/deterrente. Dal punto di vista politico, prima di tutto, la composizione multi-nazionale della nuova forza di intervento rapido serve a far capire al nemico che l’attacco ad un Paese è (non solo simbolicamente) un attacco a tutta la Nato. Quindi dovrebbe scoraggiare l’attacco ad un singolo Paese membro dell’Alleanza nel tentativo di isolarlo dagli alleati. Da un punto di vista operativo, invece, è da intendersi solo come una forza “tappa-buchi”, pronta ad essere dispiegata in pochissimo tempo e abbastanza forte da reggere il primo urto nemico. A questa forza, però, ne seguiranno altre di rinforzo, mentre la Nato completerà la sua mobilitazione. Ogni guerra contemporanea è una corsa contro il tempo e l’occupazione immediata di punti-chiave, in cui resistere in attesa di rinforzi, è di fondamentale importanza.

L’introduzione di questa nuova forza mobile, ci aiuta a capire come potrebbe essere una guerra del futuro. E scopriamo che non è dissimile da quella del passato recente, quella che si preparò per decenni in vista di un conflitto contro l’Urss. Ciò che cambia è la maggiore mobilità. Fino agli anni 80, infatti, la prima linea di difesa era costituita da grandi eserciti permanenti di leva (quello tedesco occidentale, prima di tutto) che avrebbero dovuto fermare e contrattaccare il nemico il più a occidente possibile. In caso di sfondamento nemico di questa prima linea, si sarebbero usate le armi nucleari. Solo nei primi anni 80 sono state introdotte prime innovazioni per una maggiore strategia di manovra (la dottrina della Air Land Battle): non solo l’esercito di prima linea avrebbe retto l’urto, ma forze più professionali e mobili, appoggiate dall’aviazione, avrebbero dovuto penetrare in territorio nemico e incunearsi fra la prima e la seconda ondata sovietiche. Si era constatato, osservando le manovre del Patto di Varsavia, che il nemico fosse sì molto più numeroso, ma rigido, burocratizzato e maldestro, una specie di ciclope con una pesante clava, ma un solo occhio e poco cervello. La strategia Nato era concepita apposta per farlo inciampare e crollare su se stesso, con forze numericamente molto inferiori, ma meglio addestrate, più mobili e dotate di armamenti più sofisticati. Fortunatamente per tutti, abbiamo visto questa strategia messa alla prova solo in libri di fantapolitica, come “La Terza Guerra Mondiale” di Sir John Hackett e “Uragano Rosso” di Tom Clancy. Nella realtà, non ne abbiamo mai avuto bisogno e non sappiamo se e come avesse potuto funzionare.

Oggi abbiamo eserciti solo professionali, mentre i grandi eserciti di leva sono scomparsi da un pezzo. L’unica esperienza di combattimento che i nostri militari hanno vissuto è quella delle piccole e lontane guerre “asimmetriche” contro il terrorismo islamico, oppure le lunghe missioni di peacekeeping, dove i militari agiscono alla stregua di poliziotti armati. La guerra in Georgia nel 2008 e quella in Ucraina in questi ultimi mesi, hanno invece fatto capire ai vertici della Nato che la vecchia minaccia è, almeno potenzialmente, ancora lì: un grande esercito di leva, permanente, continentale, dotato di decine di migliaia di carri armati, pezzi d’artiglieria e missili, addestrato per travolgere l’Europa in poche settimane. Di fronte a questo vero revival delle paure degli anni 80, si torna al futuro, con i mezzi e le risorse di oggi. Con una piccola forza mobile, il meglio delle concezioni militari Nato sviluppate in un ventennio di guerre “asimmetriche”. Sperando che funzioni.


di Stefano Magni