L’altro 11 settembre celebrato in Catalogna

sabato 13 settembre 2014


L’11 settembre è stato celebrato negli Stati Uniti per ricordare gli attacchi di Al Qaeda a New York e Washington del 2001, è stato ricordato dalla sinistra, in tutto il mondo, per ricordare il golpe di Pinochet in Cile del 1973. Ma ai media è perlopiù sfuggito un terzo 11 settembre, quello della Catalogna. L’11 settembre 1714, infatti, Barcellona veniva conquistata dagli spagnoli. Quel giorno è ricordato come “La Diada”, la giornata, per piangere la perduta indipendenza. La Diada, da un po’ di anni a questa parte, non è solo una festa patriottica e nostalgica dei catalani, ma è diventato un evento politico dirompente, per chiedere a gran voce l’indipendenza dalla Spagna. Per questo, due giorni fa, le strade e le piazze di Barcellona si sono riempite di un numero ancora da stabilire di indipendentisti che reclamavano il diritto di voto per decidere la propria autodeterminazione.

In una questione scottante come quella dell’indipendentismo catalano, anche i sondaggi e le statistiche diventano atti politici. E non stupisce che vi siano cifre molto discordi su quanti abbiamo partecipato alla Diada del 2014. La prefettura parla comunque di mezzo milione di persone, che non è poco. Ed è la stima più conservativa in assoluto, perché le autorità catalane, dominate da partiti indipendentisti, stimano la presenza di quasi 2 milioni di cittadini sotto le bandiere giallo-rosse catalane. In questa occasione, le strisce rosse sul giallo del vessillo indipendentista, erano a forma di V. V per Voto, per il referendum per l’indipendenza che, secondo quanto deciso da Barcellona, si terrà il prossimo 9 novembre. Sicuramente la ricorrenza (tre secoli esatti di dominazione spagnola) fa la sua parte.

Ma non è questo il punto: dalle elezioni del 2010 in poi la Catalogna esprime una maggioranza politica netta a favore dell’indipendenza. Perché la Spagna, con Zapatero, è entrata in una crisi economica senza precedenti nella sua storia moderna e la Catalogna, che è la regione più ricca e industrializzata, non vuol più far parte di uno Stato coi conti in rosso. Persino Artur Mas, presidente della Generalitat (parlamento) catalana, leader del partito moderato di maggioranza, Convergencia i Uniò, ha optato per la secessione, invece dell’autonomia che fino a quel momento era nel programma del suo partito. Nel 2011 ha vinto il Popolare Mariano Rajoy, riportando la destra al governo e promuovendo, da subito, una politica di riforme e tagli alla spesa pubblica, per far quadrare di nuovo il bilancio.

La politica sta avendo successo, considerando che la Spagna, contrariamente all’Italia, mostra chiari segni di ripresa. Ma nemmeno questo trend ha scoraggiato l’indipendentismo catalano, che ha continuato a guadagnare terreno. Le elezioni del 2012 sono state perse da Convergencia i Uniò e non pochi commentatori italiani hanno scambiato questa sconfitta per un rifiuto popolare dell’idea indipendentista di Mas. Questi commentatori forse non vedevano che i partiti usciti vincitori dalle urne, fra cui la Sinistra Repubblicana della Catalogna (Esquerra Republicana de Catalunya, Erc) fossero ancora più favorevoli alla secessione.

Le politiche di Rajoy a Madrid e di Mas a Barcellona hanno semmai prodotto uno slittamento della politica catalana a sinistra (verso quei partiti contrari ai tagli alla spesa pubblica), ma non a danno dell’indipendentismo. La realtà secessionista è emersa chiaramente il 27 settembre 2012, quando la Generalitat ha votato per indire un referendum sull’autodeterminazione, con una maggioranza di due terzi: 84 voti a favore, 21 contrari e 25 astenuti. Pochi mesi dopo, il 23 gennaio 2013, la Generalitat ha votato la Dichiarazione di Sovranità, anche in questo caso con una maggioranza schiacciante: 85 voti a favore, 41 contrari e 2 astenuti. “D’accordo con la maggioranza democraticamente espressa dal popolo della Catalogna, il Parlamento inizia un processo per promuovere il diritto dei cittadini catalani a decidere collettivamente del proprio futuro politico”.

In sintesi: un referendum per l’indipendenza in Catalogna, anche senza il consenso del governo di Madrid. Nel 2013 il braccio di ferro col governo centrale si è fatto più duro, col proliferare di municipalità indipendentiste catalane: piccoli comuni che hanno iniziato a far da sé, deliberando in giunta di accettare le leggi spagnole solo come “provvisorie” e in attesa di nuove norme emesse dalla Generalitat. Pionieri di questi Territori Liberi Catalani (Territori Català Lliure) sono stati i comuni di Sant Pere de Torello e Calldentes, che il 3 settembre 2012 hanno dichiarato la propria “secessione” locale. Nei due mesi successivi i Territori Català Lliure erano già diventati 125. Quando il Regno Unito ha concesso alla Scozia il diritto a votare per la propria indipendenza (il prossimo 18 settembre), anche i catalani si sono fatti forza.

Non è dato sapere quanto peso abbia avuto la politica britannica sul secessionismo catalano (c’erano anche tante bandiere scozzesi che sventolavano a Barcellona, l’11 settembre), ma il precedente è chiaro: se vota la Scozia, perché non la Catalogna? Entrambe sono dentro l’Unione Europea, entrambe dentro la Nato, sono nazioni democratiche e non presentano pericoli di derive autoritarie o totalitarie, né metterebbero in discussione i diritti umani finora garantiti dai governi centrali. Eppure Londra ha concesso il referendum alla Scozia (forse pensando di vincerlo facilmente), mentre Madrid ha opposto un netto rifiuto (forse convinta di perderlo). La questione è stata presentata alla Corte Costituzionale spagnola che l’8 maggio 2013 ha sospeso la Dichiarazione di Sovranità e il 25 marzo di quest’anno l’ha dichiarata “nulla e incostituzionale”.

L’imponente marcia di Barcellona dello scorso 11 settembre, dunque, è stata solo l’ultima tappa di un percorso secessionista che sta durando da anni. Il problema inizia adesso, però. Perché Madrid non intende cedere la sua regione più ricca, perché un referendum dovrebbe avvenire contro la legge, nonostante la stragrande maggioranza della popolazione (fino all’80% secondo i sondaggi) sia favorevole al referendum, indipendentemente dal suo esito. E perché, nel caso la Scozia diventi indipendente, anche la Catalogna, votando solo due mesi dopo, vorrebbe emularla. La posta in gioco è pesante e potrebbe cambiare la geografia dell’Europa, ponendo seriamente in discussione il modello dello Stato unitario.


di Stefano Magni