mercoledì 27 agosto 2014
Non è un segreto che molti Paesi arabi disprezzano i palestinesi e li sottomettono alle leggi dell’apartheid e a severe misure di sicurezza che negano loro i diritti più elementari.
Il maltrattamento dei palestinesi per mano dei loro fratelli arabi è un problema che viene raramente menzionato dai media occidentali. La maggior parte dei giornalisti preferisce volgere lo sguardo altrove quando una notizia è priva di una prospettiva anti-israeliana. Una notizia è importante solo quando Israele arresta, uccide o espelle. Ma quando paesi arabi come la Giordania, la Siria e il Libano agiscono contro i palestinesi i giornalisti stranieri preferiscono nascondere la testa sotto la sabbia, come nel caso della Giordania e dei maltrattamenti che essa infligge ai palestinesi che costituiscono la maggioranza della popolazione del Regno.
Il dilemma di Amman è il seguente: permettendo ad altri palestinesi di entrare nel paese, il Regno, dove i palestinesi sono in maggioranza, sarebbe trasformato in uno Stato palestinese. Ma bistrattando i palestinesi e privandoli dei loro diritti fondamentali, la Giordania e altri paesi arabi li stanno spingendo tra le braccia aperte degli estremisti, soprattutto dei gruppi islamisti come i Fratelli musulmani e Hamas.
I giordani hanno scelto di seguire la seconda opzione, ossia tenere lontano dal Regno il maggior numero possibile di palestinesi. Per quanto riguarda re Abdullah, è meglio che i palestinesi legati al fondamentalismo islamico radicali restino fuori dal Paese piuttosto che permettergli di entrare nel Regno, dove potrebbero causargli più problemi.
I giordani ravvisano nei palestinesi una “minaccia demografica” e sono alla ricerca di una soluzione a questo problema. La paura più grande della Giordania è che il Regno un giorno possa diventare uno Stato palestinese. Le autorità giordane sembrano determinate a fare tutto il possibile per evitare uno scenario del genere, anche se questo significa essere biasimati dai gruppi per i diritti umani. I giordani sanno che le agenzie dell’Onu non li denunciano se espellono i palestinesi o revocano loro la cittadinanza. La Giordania vuole risolvere il problema palestinese in silenzio e lontano dai riflettori. Una serie di misure adottate dalle autorità giordane nel corso degli ultimi tre anni servono come indicatore della crescente preoccupazione di Amman per la “minaccia” palestinese. Queste misure comprendono la revoca della cittadinanza a molti palestinesi e l’espulsione forzata in Siria di quelli che erano riusciti a entrare in Giordania.
Paradossalmente, i giordani dicono che questi provvedimenti hanno lo scopo di aiutare i palestinesi. La Giordania vuole che i palestinesi credano che privarli dei diritti fondamentali e cacciarli dal Regno giovi alla causa palestinese. I giordani sostengono di non capire perché i palestinesi non accettino le misure antipalestinesi. Ma come fanno i giordani a giustificare la loro politica antipalestinese? Sostenendo che se aiutano i palestinesi fornendo loro riparo e passaporti, questa politica servirebbe gli interessi di Israele. “Non vogliamo essere uno strumento israeliano per trovare una nuova sistemazione ai palestinesi che arrivano in Giordania, garantendo loro la cittadinanza”, ha spiegato l’ex ministro degli Interni giordano Nayef al-Qadi. “Se facessimo diversamente, diremmo ai palestinesi di dimenticare la Palestina”.
Al-Qadi, che ha avuto un ruolo importante nell’elaborazione della politica della revoca della cittadinanza ai palestinesi, ha detto di essere altresì contrario a garantire la cittadinanza ai figli delle donne giordane sposate con palestinesi e con altri cittadini non-giordani. “Perché non considerarli figli degli uomini sposati con donne giordane? Perché a questi bambini non viene concessa la cittadinanza dei loro padri? Abbiamo circa 500mila donne giordane che sono sposate con uomini che non sono giordani. Se moltiplichiamo questa cifra per 3-4, dovremo lasciare questo paese a Israele e andarcene via. Non avremo lasciato nulla qui”.
Il tentativo dell’ex ministro giordano di giustificare il giro di vite fa immediatamente seguito alla pubblicazione di un rapporto di Human Rights Watch che descrive in dettaglio i maltrattamenti che la Giordania riserva ai profughi palestinesi che scappano dalla Siria. Il rapporto intitolato “Non siete i benvenuti: il trattamento riservato dalla Giordania ai palestinesi in fuga dalla Siria”, che ha conquistato poca attenzione da parte dei media internazionali, accusa i giordani aver violato i loro obblighi internazionali. Purtroppo per i palestinesi (ma fortunatamente per i giordani) il rapporto che biasima la Giordania è stato diffuso il 7 agosto, in un momento in cui l’attenzione mondiale era concentrata sulla guerra fra Hamas e Israele.
Secondo il rapporto, Amman, in una chiara violazione degli obblighi internazionali, vieta l’ingresso ai palestinesi in fuga dalla Siria oppure, se essi riescono a entrare nel Regno, li espelle. “La Giordania ha ufficialmente vietato l’ingresso ai palestinesi provenienti dalla Siria dal gennaio 2013, espellendone oltre un centinaio che erano riusciti a entrare nel paese dalla metà del 2012, tra cui anche donne e bambini”, ha rivelato il documento. Il rapporto contiene la testimonianza di Basma, una donna palestinese proveniente dal campo profughi di Yarmouk, in Siria, che descrive come i giordani l’abbiano rimandata indietro insieme ad altri. “Ci hanno detto: Sei palestinese, non ti è permesso entrare”, ha raccontato la donna. “Ci hanno fatto salire su un autobus e ci hanno portato sul lato siriano del confine alle due di notte”.
Un’altra testimonianza è quella fornita da un altro profugo palestinese di Damasco, il 47enne Abdullah, che ha raccontato: “Mentre stavamo attraversando il confine, l’esercito giordano ha iniziato a sparare contro di noi. Ci siamo distesi tutti a terra per evitare i colpi di arma da fuoco. Dopo qualche istante due camion con ufficiali dell’esercito sono venuti verso di noi e prima che capissimo cosa stava accadendo un ufficiale dell’esercito ha sparato a cinque di noi alle gambe. Stavamo cercando di scappare”. Nel corso degli ultimi tre anni, la Giordania ha accolto milioni di profughi siriani. Ma quando si tratta dei palestinesi, la storia è diversa. I giordani non hanno paura dei profughi siriani perché sanno che una volta che la crisi nel loro Paese è finita, essi faranno ritorno alle loro case. A differenza dei palestinesi, i siriani non chiedono la cittadinanza giordana né cercano di rifarsi una nuova vita nel Regno. I siriani considerano la loro presenza in Giordania una situazione temporanea. Non si parla di trasformare la Giordania in uno “Stato siriano”, al contrario si è chiesto di creare nel Regno una patria per i palestinesi. Pertanto, per i giordani il problema è rappresentato dai palestinesi, e non dai siriani o dagli altri arabi.
Fayez Tarawneh, a capo della Corte reale ed ex premier, ha difeso le misure antipalestinesi durante un incontro dello scorso anno con Human Rights Watch. Egli ha detto che un massiccio afflusso di palestinesi dalla Siria altererebbe l’equilibrio demografico del Regno causando instabilità. Il gruppo per i diritti umani ha asserito che a causa della politica del Governo giordano, molti palestinesi in fuga dalla Siria non sono in possesso dei permessi di soggiorno, “il che li rende vulnerabili allo sfruttamento, all’arresto e all’espulsione”. Inoltre, Human Rights Watch ritiene che “i palestinesi in fuga dalla Siria privi di documenti non osano cercare protezione dal governo giordano contro lo sfruttamento e altri abusi”.
La Giordania, il Libano e la Siria possono continuare a mettere in atto le loro pratiche oltraggiose contro i palestinesi senza doversi preoccupare delle reazioni della comunità internazionale. Nessuno scende nelle strade delle città americane ed europee per condannare gli arabi che bistrattano i fratelli arabi.
(*) Gatestone Institute
Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Khaled Abu Toameh (*)